PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #13. DOMANDE SUL FUTURO

In una lunga intervista rilasciata al settimanale uruguayano progressista Brecha[1] e pubblicata il 27 ottobre 1995, Marcos, rispondendo alle sollecitazioni di Samuel Blixen e Carlos Fazio, traccia un’articolata analisi dell’insurrezione zapatista indicando al contempo la strada che l’Ezln prova a percorrere:

L’insurrezione zapatista sta indicando una strada?

Credo di si. Come se fossimo un dito indice che segnala: qui c’è un problema. Penso che su questo problema ci saranno molte dichiarazioni ed esperienze. Nel 1993 prima dello zapatismo, c’è stata la manifestazione per la terra in Ecuador, quella degli indigeni dell’Amazzonia brasiliana e in Paraguay. Noi diciamo che il neoliberismo è un processo di riconquista della terra. Sono i conquistatori moderni. Per l’indigeno ha assunto questa connotazione. In realtà, sono gli stessi conquistatori di 500 anni fa, contro i quali si sono sollevati i nostri antenati. Di qui la faccenda dell’«Adesso basta» e delle armi. Ma è certo che la conquista della terra non seguirà l’andamento della conquista spagnola. Sarà come la conquista dell’ovest americano. Comporta l’annientamento fisico, culturale e storico della classe dei contadini. La previsione del capitalismo avanzato da Marx, ovvero la scomparsa della classe dei contadini, è stata adesso completata di fatto dal neoliberismo in modo brutale. Oggi il sangue è indigeno, ma domani potrà essere meticcio. Tu sei un intralcio. Non solo sei già trascurabile ma costituisci anche un ostacolo per il progresso. 

Marcos prova a decostruire la lettura lineare che vede come diretta conseguenza dello sviluppo capitalistico la nascita spontanea del soggetto rivoluzionario. Alla domanda se i contadini sono i nuovi soggetti rivoluzionari risponde negativamente spostando l’asse del ragionamento sui rapporti sociali reali, su come sovvertirli e come la soggettività principale non sia ancora definita ma sarà il frutto del processo rivoluzionario: 

I contadini sono dunque la nuova classe rivoluzionaria?

No, penso proprio di no. Noi stiamo proponendo una rivoluzione che faccia possibile la rivoluzione. Stiamo progettando una pre-rivoluzione. Per questo ci accusano di essere dei revisionisti o dei riformisti armati, come dice Jorge Castaneda. Stiamo parlando di creare un movimento sociale ampio, violento o pacifico, che modifichi radicalmente i rapporti sociali in modo che il suo prodotto finale sia un nuovo spazio di rapporti politici. Credo che l’attore principale non sia ancora definito. E quella che chiamiamo società civile e che non si può etichettare come borghesia, proletariato, contadini, classe media. Questo processo di mondializzazione, a livello dello Stato nazionale, tocca tante ferite e tante parti che sono tutte malate dello stesso male, anche se uno ha la pelle bianca e l’altro scura, anche se uno è professore universitario e l’altro proletario…

Secondo Marcos i cambiamenti potranno sorgere a partire dagli effetti della loro insurrezione, ma non necessariamente da un sistema sociale nuovo. Questo nuovo sistema sociale sarà il prodotto del nuovo gioco politico, ma nessuna linearità esiste tra il crollo del neoliberismo e il sorgere di un nuovo sistema sociale. Nulla è dato con certezza e tutto dipende dai nuovi rapporti di forza creati contro la nuova fase finanziaria del capitalismo:

Non è, in definitiva, lo stesso concetto delle fasi della lotta per il socialismo degli anni sessanta e settanta in America Latina, la fase della liberazione nazionale, dove gli attori erano molteplici? 

Non è lo stesso. Noi stiamo dicendo che nella nuova fase del capitalismo, il neoliberismo, si verifica una distruzione dello Stato nazionale. Per noi, una tesi fondamentale del fronte nazionale è l’esistenza di una borghesia nazionale. Noi diciamo che la patria non c’è più. Si sta distruggendo il concetto di nazione, di patria, e non soltanto nella borghesia, ma anche nelle classi governanti. È molto difficile pensare che vi siano settori del governo che difendano il concetto di nazione. Coloro che difendono il concetto di nazione sono assassinati o espulsi. Il progetto neoliberista esige questa internazionalizzazione della storia; pretende di cancellare la storia nazionale e farla diventare internazionale; pretende di cancellare le frontiere culturali. Il costo maggiore per l’umanità è che per il capitalismo finanziario non c’è niente, né patria né proprietà. Il capitale finanziario possiede solo dei numeri di conti bancari. E in tutto questo gioco viene cancellato il concetto di nazione. Un processo rivoluzionario deve cominciare a recuperare i concetti di nazione e di patria. L’errore principale del neoliberismo è pensare che si possa andare contro la storia. Questa ingerenza sul problema della terra pretende di prescindere dalla storia e fare come se qui non ci fosse stata storia né cultura né niente. 

In uno dei suoi comunicati del 1995, chiamato «la lettera delle lettere» il subcomandante Marcos formula, alla fine, tre domande a cui non dà risposta: Sappiamo dove andiamo? Sappiamo cosa ci attende? Vale la pena? I giornalisti di Brecha tornano a formulare direttamente a Marcos le tre domande e il «sub» risponde:

Sappiamo dove andiamo? Andiamo a fare la nostra parte per la costruzione di un nuovo spazio. La nostra missione – la settima missione, come la chiamiamo – finisce nel momento in cui in questo paese nasce un nuovo rapporto politico. Noi diciamo che è l’anticamera di un mondo nuovo in Messico. Andiamo in questa direzione. E il prezzo del nostro sangue. Li ci fermeremo. 

Sappiamo cosa ci aspetta? Si, lo sappiamo. Per noi non c’è più ritorno né rientro. Abbiamo fatto un passo dal quale non è più possibile ritornare indietro. Noi usiamo l’immagine del torrente. Il torrente non ritorna mai indietro, scende soltanto. Non ritorna più alla montagna. Proprio come noi. Nel momento in cui siamo usciti allo scoperto e abbiamo scelto questa strada, solo dopo aver distrutto quello che ci ha resi possibili, vale a dire il sistema del partito-Stato, possiamo ritornare. Non c’è più ritorno alla vita civile, al passato e nemmeno a quello che siamo stati prima. Quello che ci aspetta è l’incertezza, la paura, la persecuzione, vivere alla giornata, ci neghiamo a qualsiasi possibilità di futuro, e sentire ogni giorno che ce la portiamo sulle spalle pesa molto, molto, molto. Cioè, la felicità … (e prorompe in un’altra grossa risata scherzosa che ironizza sul suo stesso destino). 

Vale la pena? Si, vale la pena.

La redazione di Malanova


NOTE
[1] Fra i collaboratori di Brecha è possibile trovare Eduardo Galeano, Mario Benedetti, Raúl Zibechi, Ivonne Trías, Gennaro Carotenuto. Il periodico è consultabile al seguente URL: https://brecha.com.uy.


LE PUNTATE PRECEDENTI

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #1 (1993)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #2 (1994/1)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #3 (1994/2)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #4. IL SOGGETTO DI CAMBIAMENTO

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #5 (1994/3)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #6 (1994/4)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #7. LA POETICA RIVOLUZIONARIA

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #8. FAVOLE PER INTERROGARSI

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #9 (1994/5)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #10 (1994/6)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #11 (1994/7)

PER UNA STORIA DELLA RIVOLUZIONE ZAPATISTA #12 (1994/8)

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