Proseguendo nell’analisi della documentazione conservata negli archivi zapatisti ci siamo imbattuti in questo racconto davvero significativo e interessante. Così scrive Marcos commentando l’accaduto: «La prima rivolta dell’EZLN è stata nel marzo 1993 ed è stata guidata da donne zapatiste».
Il racconto, di seguito riportato, ci mostra il grande lavorio fatto dagli zapatisti dal 1983 al 1993: dieci anni di preparazione alla rivolta. La grande dignità di Susana, la sua presa di posizione forte nell’assemblea, mostra le difficoltà delle donne a essere riconosciute in una società tradizionalmente patriarcale ma, al contempo, evidenzia la tenacia e la lotta per imporre la loro visione delle cose. Per questo motivo Marcos afferma che la prima rivoluzione zapatista è avvenuta all’interno delle comunità zapatiste; è stata quella della dignità delle donne.
Il racconto, inoltre, mostra uno spaccato del lavoro politico e sociale condotto dalle compagne, responsabili del gruppo chiamato a realizzare la legge rivoluzionaria sulle donne. Non esiste infatti alcuna valigetta con la combinazione segreta contenente un tasto rosso che, una volta premuto, dà il via alle rivolte. I racconti epici si infrangono davanti alla realtà di anni di incontri, assemblee, viaggi per parlare con tutti e raccogliere il pensiero di tutte. La fatica della lingua, diversa in ogni comunità indigena, la volontà di pensare insieme il mondo futuro costruito tassello per tassello attingendo a una sapienza collettiva custodita nell’esperienza dell’ultima contadina così come in quella del primo comandante.
Rivoluzione, specialmente nel mondo contemporaneo, significa come primo passo ritessere le relazioni distrutte dall’Idra capitalista, abbandonare la postura individualista, capire, nel lungo lavoro militante, se ci sono le basi minime per contrattaccare e vincere quel sistema che ci tiene divisi e schiavi. Significa studiare e capire quello stesso sistema in cui si è immersi, comprenderne le tendenze, provare a piegarle a nostro vantaggio. Interessante in merito un documento d’archivio del 1992 che analizza minuziosamente l’economia, la società, le forze in campo per lo sfruttamento del Chiapas. Significa adottare un nostro calendario appropriato alla nostra geografia senza rimanere soggiogati dall’agenda capitalista. Significa sudare e molte volte, dopo aver tanto faticato, arrivare fino alla fine e accorgersi di aver stretto nel pugno solo qualche inutile mosca. Alcune volte però, dopo dieci anni, a un 1993 segue un 1994… ed è rivolta.
Susana, “tzotzil”, è arrabbiata. L’hanno presa in giro tempo fa perché, dicono gli altri del CCRI, lei ha avuto la responsabilità della prima rivolta dell’EZLN nel marzo 1993. «Starò buona», mi dice. Io, mentre cerco di capire, mi nascondo dietro una roccia. «I compagni dicono che sono la causa della sollevazione dell’anno scorso». Io comincio ad avvicinarmi con cautela. Dopo un po’ scopro di che cosa si tratta: nel marzo 1993 i compagni discutevano quelle che poi sarebbero state le «Leggi rivoluzionarie».
A Susana toccò raggiungere decine di comunità e parlare con gruppi di donne per dare forma al loro pensiero, e articolarlo nella «Legge delle Donne». Quando il CCRI si è riunito per votare le leggi, sono state ascoltate una ad una tutte le commissioni, quella della giustizia, della legge agraria, delle imposte di guerra, dei diritti e degli obblighi dei popoli in lotta e quella delle donne. Susana ha dovuto leggere le proposte che aveva raccolto dai pensieri di migliaia di donne indigene. Iniziò a leggere e, mentre leggeva, l’assemblea del CCRI divenne sempre più irrequieta. Si sentivano vocii e commenti.
In Chol, Tzeltal, Tzotzil, Tojolabal, Mam, Zoque e “Castigliano”, i commenti saltavano da una parte all’altra. Susana non era intimorita e continuò, investendo tutto e tutti: «Non vogliamo essere obbligate a sposare chi non scegliamo noi. Vogliamo avere solo i bambini che desideriamo, dei quali possiamo prenderci cura. Vogliamo il diritto ad avere una posizione nella comunità. Vogliamo il diritto di esprimere le nostre opinioni e che siano poi rispettate. Vogliamo il diritto allo studio e anche di fare gli autisti». Andò avanti così finché non terminò. Alla fine lasciò un silenzio pesante. Le “leggi delle donne” che Susana aveva appena letto significavano una vera rivoluzione per le comunità indigene. Le incaricate stavano ancora ricevendo la traduzione nei loro dialetti di quanto aveva detto Susana. Gli uomini si guardarono l’un l’altro, nervosi, irrequieti. All’improvviso, quasi contemporaneamente, i traduttori finirono e, progressivamente, le compagne responsabili iniziarono ad applaudire e a parlare tra loro. Inutile dire che le leggi sulle “donne” furono approvate all’unanimità. Qualcuno degli incaricati Tzeltal ha commentato: “La cosa buona è che mia moglie non capisce lo spagnolo, altrimenti!”. Un ufficiale insorto, uno Tzotzil con il grado di maggiore di fanteria, gli rispose: “Ti sbagli! Stiamo traducendo in tutti i dialetti». Il compagno così abbassò lo sguardo. Le leader cantano, i maschi si grattano la testa. IO, dichiaro prudentemente una sospensione.
Questa è la storia che, secondo quanto mi racconta Susana, è uscita quando qualcuno del CCRI ha letto un articolo nel quale si affermava la prova che l’EZLN non fosse autenticamente un movimento indigeno, pareva infatti impossibile che le popolazioni indigene avessero accettato di iniziare la loro rivolta il 1 gennaio. Qualcuno scherzosamente disse che quella non era stata la prima rivolta; la prima era stata nel marzo 1993. Schernivano così Susana che rispondeva con un deciso “vai al diavolo” e qualcos’altro in tzotzil che nessuno osava tradurre. Questa è la verità: la prima rivolta dell’EZLN è stata nel marzo 1993 ed è stata guidata da donne zapatiste. Non ci sono state vittime e hanno vinto. Cose di queste terre.