LA RIVOLTA DI PIAZZA STATUTO (VI)

Nel sesto appuntamento con il testo di Dario Lanzardo, La rivolta di piazza Statuto (Feltrinelli, 1979), in occasione dei 60 anni della rivolta, proseguiamo con un primo estratto del quarto capitolo Quelli di Piazza Statuto (pp. 101-204), caratterizzato dallo stile dell’inchiesta militante attraverso la quale l’autore raccoglie le testimonianze dei protagonisti diretti delle tre giornate torinesi e ai restituirci un quadro complessivo degli avvenimenti.

Attraverso il metodo dell’inchiesta, dunque, lo scrittore spezzino riesce a mettere a confronto fra di loro (ma anche con le ricostruzioni dei giornali e delle organizzazioni politico-sindacali, come abbiamo avuto modo di evidenziare nelle precedenti puntate) alcuni tra i protagonisti di “Piazza Statuto”. Questo sesto capitolo è attraversato infatti dalle testimonianze di operai, attivisti sindacali e giovani militanti del PCI e del PSI, ma soprattutto di operai provenienti da altre fabbriche, giovani proletari e studenti che raggiunsero la piazza o che, passando casualmente, vi rimasero.

Le nuove testimonianze che proponiamo sono quelle di Sante Notarnicola – allora giovane operaio chimico –  e di Arturo Bonetto, operaio metalmeccanico di 22 anni. Emergerà, anche in queste interviste, il ruolo centrale degli operai meridionali e il consolidarsi delle divergenze tra la nuova composizione operaia e le organizzazioni, politiche e sindacali, del movimento operaio di allora.

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Sante Notarnicola, di anni 25, operaio chimico

“… i dirigenti ci aggredirono con aspre critiche, dicendo che ci eravamo lasciati trascinare dai fascisti…”

…Cominciai a lavorare sul serio, al mattino mi alzavo alle 5 per il primo turno; oppure rientravo a casa a mezzanotte quando facevo il secondo stanco morto, abbattuto. Al circolo continuavano a rompermi le scatole perché facessi attività di partito. Il Capra ingenuamente arrivava perfino al ricattino involontario: “Come, noi ti abbiamo aiutato a trovare un posto, ora datti un po’ da fare.” Cosi cominciai a lavorare per la cellula, il sindacato, la commissione interna. Ma in modo svogliato.

Poi vennero i fatti di piazza Statuto.

Fu il primo segno del risveglio. Nell’estate del 1962, per la prima volta la base rivoluzionaria scavalcò apertamente il partito, mandò affanculo i vecchi tromboni. La battaglia durò tre giorni e l’Unità ci chiamò teppisti allineandosi coi borghesi. Fu il crollo per molti compagni delle ultime illusioni di un ravvedimento rivoluzionario del Pci. Mi ricordo di Pajetta; era con noi, non sapeva cosa fare, il grande dirigente non era più davanti a una folla entusiasta, ma in mezzo a gente esasperata che gli stava mangiando il piedistallo eretto in tanti anni sul suo passato di combattente. Quando gli arrivò una pietrata, allora si risvegliò mettendosi a sbraitare contro i padroni e gli sbirri, spingendoci all’attacco. Il suo passato di partigiano riemergeva dall’inconscio. Poi, a mente fredda, il giorno dopo, su l’Unità ci chiamò fascisti! Demmo tante botte, in quei giorni e ne prendemmo.

Alcuni compagni del gruppo come “Piero il tranviere” erano addirittura arrivati con le pistole. Mi ricordo bene di Adriano in quei giorni, si batteva contro tre o quattro poliziotti per volta. La delusione più grossa l’avemmo l’ultimo pomeriggio; la polizia, quelle carogne fasciste del battaglione Padova avevano arrestato uno dei nostri più cari compagni della Fgci, Garino. Si era rimasti in pochi, eravamo alla fine; durante una delle ultime cariche Garino si era buttato avanti da solo, contro i plotoni che avanzavano compatti. Lo chiusero in mezzo pestandolo selvaggiamente, cercammo di strapparlo ai poliziotti, ma erano in troppi, ci ritirammo tutti pesti. Poi, la sera, andammo alla festa dell’Unità rionale: cercammo di fare una colletta per Garino e per gli altri. I dirigenti ci aggredirono con aspre critiche dicendo che ci eravamo lasciati trascinare dai fascisti e dai teppisti provocatori . Ricordo quella scena con rabbia e con dolore. C’era la tavolata solita, di “capoccia” . Le bottiglie di barbera, gli agnolotti, i salamini caldi: la classica tavola piemontese a cui si riduceva ormai tutta la prassi rivoluzionaria di un partito che aveva innalzato un tempo su tutta la merda fascista e borghese la bandiera rossa della speranza e della rivolta. Tra un agnolotto e l’altro ci rimproveravano con disprezzo, loro che non si erano mossi dalla botte del vino per tutto il giorno. “Se quelli che si sono battuti contro la polizia sono fascisti”, gridammo, “siamo fascisti pure noi!”. “Certo che quasi quasi vi siete comportati da teppisti.” Fu la rottura. Prendemmo un tavolo con salamini e vino e bagna cauda e lo sbattemmo in faccia ai dirigenti. E quella sera, per la prima volta fra compagni, fini con altre botte.

Questo episodio mi riempie di disgusto. Per qualche tempo avevo cercato di reinserirmi nell’attività politica e pensavo che la fabbrica me lo avrebbe permesso; forse, pensavo, era stata la mia condizione di artigiano a farmi vedere le cose in modo estremista e anarcoide.

Ma mi accorsi che ormai c’era dappertutto la tendenza al riformismo, al compromesso, anche nella fabbrica; fu un’esperienza nuova, certo, ma alla fine si trasformò in un rafforzamento della convinzione che fosse necessaria veramente l’azione individuale. Dopo piazza Statuto riuscimmo a ritrovarci tutti e tre per una messa a punto delle rispettive intenzioni e dei progetti per il futuro.

Arturo Bonetto, di anni 22, operaio metalmeccanico

“Proprio lì cominciai a sentire il distacco fra questo dirigente che noi amavamo… e lo trovai proprio in contraddizione… come, qui siamo della Fiom, i giovani si battono con la polizia e tu, dirigente…”

In quell’anno ho partecipato ad alcuni momenti dello sciopero della Michelin e poi della Fiat (la nostra ditta aveva fatto un contratto diverso ed avevamo partecipato insieme al partito anche ad altre manifestazioni). Mi ricordo che è stata una lotta molto dura, con alcuni episodi di rottura che venivano dai famosi 10 anni di Fiat dove non si scioperava più, dove a Torino la parola sciopero era ascoltata soltanto dai membri delle Commissioni interne . Queste lotte della Michelin e della Lancia, avevano secondo me già aperto una piccola breccia, una certa situazione si era creata anche nella classe operaia che cercava un punto di rottura come poi è avvenuto.

La nona sezione, allora era diretta da Guido Gamba, un ottimo organizzatore; aveva una personalità per cui era riuscito a concretare anche nei giovani un certo attaccamento, un certo entusiasmo, e mi ricordo, per arrivare a piazza Statuto, che durante lo sciopero c’eravamo preparati, organizzati; alcuni compagni erano stati destinati alle varie fabbriche e io fui destinato alle Acciaierie Fiat di via Cigna (Sima). Anch’io avrei preferito andare alla Spa di Stura dov’era il punto caldo.

Comunque ci eravamo organizzati per questo sciopero, e anche il partito aveva dato molto. Con me non c’erano molti giovani, eravamo 3 o 4, poi c’erano dei vecchi compagni; c’era un gruppetto con Conti, che era della Commissione interna; arrivati lì trovammo già la polizia schierata davanti ai cancelli e attorno, da una parte trovammo il gruppo dei compagni con quelli del sindacato, i simpatizzanti; dall’altra parte vi era un gruppo staccato che seppi, poi che erano quelli della Uil che si dissociò da questo sciopero così con alcuni pretesti, dicendo anche che era politico; naturalmente questo fece una certa impressione perché per la prima volta ci si presentava con uno sciopero unitario e poi come al solito all’ultimo momento…

Comunque mi trovai già con la polizia schierata, il gruppetto dei compagni, il gruppetto che seppi che erano della Uil e il gruppo della massa. Naturalmente erano tutti con la borsa e il baracchino per cui erano ancora indecisi. Io arrivai con la mia macchina, che era molto conosciuta in barriera perché era una “macchina rivoluzionaria”; una vecchia Ardea, con volantini e materiale che adoperavamo per i vari festival e così via; come arrivammo noi già la polizia incominciò a essere un po’, così, in movimento, ci teneva d’occhio, allora noi ci avvicinammo agli operai e cominciammo sulle cinque e mezza a fare opera di volantinaggio, cercammo di intavolare discussione con questi operai con il gruppo degli indecisi: questi prendevano i volantini e per la prima volta non li buttavano via come era successo negli anni precedenti, però diciamo così, non riuscimmo a intavolare una discussione, non parlavano; questo per me era un sintomo non certo entusiasmante. Passavano i minuti e io mi avvicinai con Conti e lui non diceva niente, anche lui non sapeva non poteva fare una previsione. A un dato momento vidi un movimento di questi della Uil che si avvicinavano al gruppo della massa che aveva deciso di entrare. Ora, c’era un certo sbarramento di compagni per non far attraversare la strada, e poi c’era la polizia con tutte le guardie Fiat schierate e questi della Uil si avvicinarono alla massa dicendo: “entriamo tutti assieme qui è inutile”, e facevano propaganda antisindacale e anticomunista; il gruppo degli indecisi non rispose, non gli disse né si né no, e io non sapevo più che cosa fare perché per opporsi eravamo troppo pochi; poi c’era la varia polizia; allora decisi una mia piccola iniziativa personale; saltai sulla mia Ardea e mi buttai con grande sgomento dei vari Commissari proprio davanti al cancello della Fiat, saltai sopra il tetto della macchina e lanciando dei volantini mi misi a gridare: 

“Compagni dalla Fiat Mirafiori c’è giunto che tutti gli operai sono in sciopero, la Fiat dopo anni…” un discorso così, cioè mentendo perché non sapevo ancora niente — benché eravamo collegati con delle staffette; e gli operai si avvicinavano, cominciavano a parlare e anche i Commissari restarono stupiti perché non avevano previsto questa mossa; e mentre io discutevo, mi arrangiavo un piccolo discorso così, improvvisando, passarono i minuti e si notò un certo entusiasmo dei vari compagni presenti, la polizia cercò di intervenire, ma quando si trovò davanti a questa massa – erano tutti arrivati in mezzo alla strada – non intervenne e io continuai con il discorso, tutto sudato perché non sapevo le notizie di com’era successo alla Spa. Fu così che passò la fatidica ora X cioè le sei, cominciarono ad arrivare le 6,05, le 6,10 e io continuavo ad andare avanti nel discorso impappinandomi, inciampandomi, comunque avevo visto, consultando l’orologio, “ce l’abbiamo fatta”, per cui ero molto contento, e quando arrivò la staffetta che ci disse che alla Spa era riuscito e anche alla Mirafiori, tirai un grosso respiro di sollievo.

Quando arrivò la staffetta ripetei le frasi. La polizia si era accantonata in un angolo, e io poi scesi dalla macchina, ma intanto la gente, gli operai, si erano convinti, era nato un certo entusiasmo e cominciammo le discussioni, e notai per la prima volta che questi giovani operai erano molto accalorati, incominciavano a discutere, cominciavano a conoscersi, a parlare del sindacato, la situazione della fabbrica e intanto ci organizzammo; facemmo dei gruppi e invitammo tutti a essere presenti per il picchetto delle due. Intanto con il passare delle ore giungevano le staffette con le notizie sulle proteste operaie contro la Uil i cui iscritti erano anche lì presenti, e cominciammo ad attaccare l’atteggiamento di questo sindacato, dicevamo anche che era del padrone, così; notai anche che molti della Cisl che conoscevo personalmente erano abbastanza decisi a condannare questo atteggiamento, prima non parlavano. Intanto così arrivò mezzogiorno e già però i collegamenti mi dissero – mi ,pare che parti dalla Spa l’indicazione – di trovarci, di fare la manifestazione, di andare in piazza Statuto e protestare verso la Uil; anch’io avvertii tutti i compagni e dissi: guarda andiamo, ma non viene dal partito ma dal sindacato, dai compagni del sindacato; e così facemmo, io cercai, invitai gli operai, fummo presenti di nuovo al picchetto delle due che riuscì abbastanza bene perché le notizie del mattino avevano dato un certo entusiasmo e tutto un ingranaggio si era messo in moto. Trovammo della gente lì che poi non riuscivamo più a tenere. E così decidemmo di andare per la manifestazione; già molti della Uil avevano strappato la tessera, io parlavo dell’esigenza di formare il sindacato specialmente nei giovani, che era giusto, che c’era lo sfruttamento, tutte quelle cose che portiamo in quel momento dentro. E al pomeriggio partimmo e arrivammo alla manifestazione, però io arrivai leggermente in ritardo, non partecipai direttamente al corteo con loro: non mi ricordo per quale motivo, arrivai con mezz’ora, quando già il corteo era arrivato in piazza Statuto e la massa, lì erano tutti i compagni. Arrivai da solo con la mia sempre fedele Ardea proprio dinnanzi alla Uil e trovai anche molti vecchi compagni che non vedevo da molto tempo; però molti del partito dicevano “ma chi vi ha detto di venire qui”. Ma la situazione era molto calma, molti avevano preso delle tessere, si era fatto un piccolo falò, si era chiesto di parlare con i dirigenti della Uil, ma questi avevano sprangato il portone e ci schernivano dai vetri con le solite accuse. Quel che mi ricordo che ci fu un giovane, uno di questi che loro schernivano che gli lanciò un sasso che spaccò un vetro, ma fu tutto lì. Poi cominciò ad arrivare la polizia che si schierò a lato del monumento e notammo per la prima volta questi nuovi gipponi e conoscemmo per la prima volta il famoso battaglione Padova… dei fatti del ’60…

Poi improvvisamente notammo questi giovani che atleticamente si buttavano giù dai camion; in pochi minuti li vedemmo lanciarsi così, come diceva Garino, senza neanche gli squilli di tromba; mi ricordo che lì c’era un maggiore che mi sembrava il Duce per il suo fisico robusto, e così che lanciò immediatamente in tre direzioni questi qui. Naturalmente i compagni furono così presi di sorpresa e ci fu un arretramento generale perché pensammo che volessero schierarsi di fronte alla Uil e invece attaccarono proprio coi moschetti coi manganelli, anche con un tipo nuovo di manganello. Ci fu un arretramento generale proprio verso i lati di corso Principe Oddone e via Cibrario, poi immediatamente ci fu una reazione da parte dei giovani, dei compagni che avevano una rabbia… per la prima volta, da 10 anni – che ci era riuscito… questo entusiasmo … ci pareva proprio che volessero toglierci la gioia; così ci fu una reazione molto violenta e arretrò la polizia forse perché non se l’aspettavano; questo scatenò l’entusiasmo per questa polizia che aveva arretrato, allora poi ci fu l’intervento dei compagni e del sindacato.

Mario Garino: Prima era stato fatto un comizio di accusa pubblica proprio davanti alla Uil; è stato così momentaneo, era salito sopra la panchina e col megafono, adesso non mi ricordo più chi era, uno del sindacato, che ha lanciato l’accusa contro la Uil: “con la Uil è finita, noi sappiamo con quanta forza abbiamo lottato contro questa gente, ed è gente che l’operaio stesso ha condannato con mucchi di tessere strappate anche davanti alla Fiat, sono immagini che tutti quanti hanno potuto vedere, ora sciogliamo questa manifestazione” e allora noi in quel momento l’abbiamo finita. Poi la polizia ci aveva caricato subito dopo perché eravamo un po’ restii ad andarcene vedendo lì che continuavano a battere a macchina e storie varie. La prima carica della polizia è stata effettuata verso le quattro e un quarto quattro e mezza, non so dirti l’ora precisa; nel frattempo un altro nostro compagno, Anna, si era scagliato addirittura contro dei giornalisti che si erano dichiarati della Gazzetta del Popolo o della Stampa, che scattavano fotografie: ha strappato la macchina e gliel’ha frantumata; intanto noi abbiamo respinto la polizia, abbiamo accampato il nostro diritto di accusare come operai la Uil di aver tentato di rompere l’unità sindacale ecco, noi la condannavamo pubblicamente con il nostro comizio improvvisato così sulla piazza; eravamo non tanti e non pochi, il numero non te lo posso dire, sembravano due-tre mila, quattromila, non so, la maggior parte era gente che arrivava dalla Spa Stura, dalla Mirafiori… non tanti, pochissimi anche per la lontananza che c’è… mentre invece noi della Spa Stura, essendo molto più vicino, eravamo tutti ben organizzati.

B. A .: Qui, secondo me, finisce la prima parte diciamo normale di questa manifestazione; così, fedeli alla disciplina – dopo infatti si era sciolta in vari piccoli gruppetti – ritornammo a casa. Io poi alla sera andai alla sezione dove trovai di nuovo Garino e già si discuteva anche della giornata, come era andata…; poi arrivò questo compagno che ci disse che in piazza Statuto continuano gli scontri e ci sono centinaia di giovani e ci dice, “ma come, qui nessuno…”, allora improvvisamente avvisiamo tutti, io comincio a prendere il telefono, poi il nostro gruppo salta sulla mia macchina, ho caricato piú che ho potuto e siamo andati a vedere cosa succedeva, così di nostra iniziativa, dicevamo, “ma chi sono questi”; fermo in una via lì vicino a via S. Donato, attraversiamo corso Principe Oddone dove c’è l’edicola dei giornali; c’era una nube di gas, grida, sentivamo pietre che volavano e così via, così rimasi molto stupito perché dicevo, “ma non dovevamo essere noi a organizzare?” e mentre ci avvicinavamo, vedo che avanza una pattuglia della polizia con due giganti, vedo che abbrancano Garino e lo tirano sopra e noi che eravamo un po’ arretrati non abbiamo avuto neanche il tempo di fare una minima reazione che abbiamo visto Garino entrare sul camion, tutto avvenne in pochi minuti.

Mario Garino: Sì, infatti non ho avuto il tempo di rendermi conto perché già ero stato menato e buttato su un furgone e via.

B. A.: Allora ritornammo indietro con gli altri compagni e cominciammo a girare la piazza, a trovare altri compagni, altri giovani che non conoscevi . Questo fu il primo impatto. Poi man mano che passavano le ore cominciavano ad arrivare altri compagni e verso le 11, così, si erano formate delle piccole squadre e dalla parte verso il ponte della ferrovia, dove incomincia corso Inghilterra, avevano proprio disselciato il pavé e formato delle piccole barricate da dove lanciavano dei sassi contro la polizia che arretrava, lanciava bombe; proprio degli scontri diciamo a un buon livello di… guerriglia e così questo movimento andò avanti tutta la notte e la polizia incominciò ad arrestare anche gente lì attorno e sparava coi candelotti anche dentro le case… i giovani si sparpagliavano dentro i caseggiati, poi dai balconi c’era gente che tirava… e la polizia cominciò a entrare anche nelle case.

Questo fu nella notte: verso l’una rientrai in barriera, anche per la faccenda che avevano arrestato Garino e anche Borghesio, andai alla festa dell’Unità e qui trovai i dirigenti del partito che erano molto incazzati, dicevano che non dovevamo andare, che si doveva andare a prendere i compagni e basta, mi accusavano, “da dove arrivi tu”, e anche alcuni bravi compagni come il povero Piero Ghiaccio, buon compagno stalinista allora, però molto fedele, quando il partito aveva detto questo, accusava dicendo che chi si era fatto arrestare era un picio, un cretino; io m’incazzai e arrivammo quasi alle mani. Il giorno dopo ho capito che la posizione del partito era quella di non farsi coinvolgere nelle manifestazioni di piazza Statuto. Poi gli scontri continuarono alla domenica, con fasi alternative e il lunedì si andò di nuovo; poi mi ricordo appunto che andammo in federazione dove Casadei fu rimproverato molto aspramente dai dirigenti per l’atteggiamento dei giovani della Fgci; però anche lui non era molto convinto di quello che dicevano i dirigenti; io lo conoscevo bene, avevamo fatto la scuola di partito insieme a Roma, era su posizioni buone allora e infatti partecipò anche lui, ci andò anche se glielo avevano vietato; dicevano “tu sei un dirigente”, e poi fu arrestato.. . “e questo dimostra che allora è il partito…”. Per cui c’era già questa posizione di rottura e penso che anche nel partito già da allora si delineò una certa interpretazione che diceva che eravamo noi … poi si parlò di provocazione poliziesca, di queste cose.

Sì, io notai che c’era il famoso maresciallo Rizzo insieme ad alcuni figuri che lui manovrava, un po’ di questo ambiente; che la borghesia abbia detto “facciamola degenerare per poter fare tutta una speculazione”, posso anche essere d’accordo; però così di punto in bianco dire che la manifestazione è stata portata avanti dai provocatori mi sembra troppo, e poi anche alcuni dirigenti di un certo tipo, anche alcuni compagni del partito come Giannotti, ma anche del sindacato, hanno poi fatto l’autocritica di non aver saputo interpretare lo slancio della classe operaia di quel momento. E di lì infatti cominciò a combinarsi nel partito una certa tendenza che culminò poi nella formazione di alcuni gruppi, come noi in Barriera di Milano, che formammo un gruppo e venimmo accusati anche di antipartito e nel ’65 non rinnovammo più la tessera.

Mario Garino: Non era una cosa voluta dal Pci, non serviva al movimento della classe operaia questa manifestazione, era controproducente, appunto perché era molto facile la speculazione. Questa cosa è sfuggita di mano alla sinistra perché non era preparata ad affrontare un problema così grosso, non era preparata a recepire la lotta di 90 mila operai che lavoravano alla Fiat, senza contare tutti gli altri operai della cintura; a capire, a darci un indirizzo, a darci delle spiegazioni, un’alternativa; è stata presa anche lei in contropiede così è successo piazza Statuto perché se la sinistra e il Pci erano preparati come organizzazione di base, a controllare anche la base, cioè nel senso di darci delle direttive diverse, forse non si arrivava a questa conclusione, di questo ne sono perfettamente convinto, cioè se riusciva a fare un discorso politico di base già prima, nelle aziende, cosa che invece il Pci lì ha mancato.

B. A.: Il partito non aveva ben compreso i mutamenti nella composizione di classe. C’erano dei contadini meridionali che erano diventati dei proletari… Anch’io mi ricordo le migliaia di operai meridionali a Mirafiori con le pietre in mano…

Mario Garino: Però io dico tutte queste cose qua sono sfuggite di mano a una certa organizzazione…

B. A.: Il partito ha commesso degli sbagli già dal ’53, quando ci mandavano a fare lavoro politico a scrivere sui muri, quando avevano licenziato i famosi di stella rossa; quando parlava di crisi del capitalismo mentre erano in pieno boom di sviluppo; la Fiat aveva licenziato tutti i compagni, gli attivisti, cioè quelli del ’45, tutti quelli che lavoravano alla Grandi Motori e così via, mentre assumeva migliaia di altre persone; allora noi eravamo giovani e non eravamo in grado di fare l’analisi di questa politica che era sbagliata. Un altro episodio che ho dimenticato è quando venne Pajetta, la domenica sera mi pare; già la domenica fummo richiamati dalla federazione, specialmente in Barriera di Milano; fu ripreso anche Guido Gamba perché coi microfoni si lanciava la cosa della manifestazione e lui che dirigeva l’organizzazione fu richiamato. Mi ricordo che alla sera in piazza Statuto, in corso Principe Eugenio, Pajetta si scontrava con dei giovani; lui diceva, “Io ho fatto la galera” e accusava la solita storia dei provocatori e questi giovani gli dicevano “non siamo provocatori, siamo degli operai, basta è ora di finirla”, e proprio lì cominciai a sentire il distacco fra questo dirigente che noi così anche amavamo anche perché era uno dei più spinti e lo trovai proprio in contraddizione … dico, come, qui siamo della Fiom, i giovani si battono con la polizia e tu dirigente…

I PRECEDENTI APPUNTAMENTI:

LA RIVOLTA DI PIAZZA STATUTO (I)

LA RIVOLTA DI PIAZZA STATUTO (II)

LA RIVOLTA DI PIAZZA STATUTO (III)

LA RIVOLTA DI PIAZZA STATUTO (IV)

LA RIVOLTA DI PIAZZA STATUTO (V)

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