CONTRO L’ADDOMESTICAMENTO (II)

Proponiamo la seconda parte (a questo link la prima) della traduzione dal francese del testo Contre la domestication («INVARIANCE», Anno VI, serie II, n. 3, maggio 1973) di Jacques Camatte. Nel 1967 Camatte fonda la rivista In­variance segnando una rottura teorica progressiva­, prima dal bordighismo e poi dal marxismo classico, sino a giungere ad una rottura totale che si evidenzia, sin da subito, in ognuna delle cinque serie della rivista e nei successivi suoi scritti: La rottura della continuità organizzati­va imponeva uno studio teorico piú esau­stivo, un rigore ancora maggiore e un radicamento nel passato piú profon­do, un’integrazione di tutte le correnti, che, anche parzialmente, difendevano la teoria del proletariato («La révolution communiste: thèses de travail», 1969).

Nelle sue riflessioni assume una centralità la critica dell’economia polit­ica a partire dal concetto marxiano di plusvalore, sussunzione e focalizzando l’analisi sulla capacità del capitale di passare dalla «fabbrica alla società»: […] il capitale non può accontentarsi di dominare nell’interno del processo di produzione; deve impadronirsi del vec­chio processo di circolazione e farlo suo […]. Non si può piú accontentare dello Stato come ausiliario; ha bisogno che si tra­sformi in uno Stato capitalista, in u­n’im­presa capitalista. Questo significa che il capitale deve ribaltare tutti i pre­supposti sociali e capitalizzarli tutti. È ciò che ab­biamo esposto nelle pagine preceden­ti, mostrando il dominio reale del capita­le; tuttavia, abbiamo omesso di preci­sare che, nel farlo, estendevamo il cam­po dei concetti di K. Marx – basandoci sulla sua opera – dalla fabbrica alla società («Capital et Gemeinwesen», 1976).

Jacques Camatte è, a nostro avviso, una figura poco approfondita soprattutto lungo le traiettorie della sua articolata elaborazione teorica. In questo scritto si possono rintracciare alcuni elementi del suo pensiero che ancora oggi risultano di stringente attualità. 

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Se riconosciamo il dominio schiacciante del capitale, dobbiamo riconoscere che esso opera su tutti. Non si possono designare come eletti certi gruppi che non sarebbero segnati dal suo dispotismo. La lotta rivoluzionaria, una lotta a livello umano, deve riconoscere anche il possibile umano nell’altro. La violenza deve essere esercitata su se stessi – rifiutando l’addomesticamento del capitale, le spiegazioni rassicuranti e valorizzanti – come fuori di sé nel conflitto con i racket gruppali, i “capitalisti”, i vari poliziotti, ecc.

Questo assume il suo pieno significato solo se, allo stesso tempo, c’è un rifiuto dei vecchi metodi di lotta. L’importanza del movimento delle scuole superiori è quella di aver messo in evidenza – come ha fatto, in misura minore, il movimento del maggio ’68 – che persistere nell’uso dei metodi usuali portava inevitabilmente alla sconfitta. Da allora abbiamo capito che le manifestazioni-passeggiate, gli spettacoli o le feste, non portano a niente. Sventolare striscioni, affiggere manifesti, distribuire volantini, scontrarsi con la polizia, fa parte di un rituale in cui quest’ultima interpreta il ruolo dell’eterno vincitore. È quindi importante criticare a fondo i metodi di lotta per eliminare un ostacolo che impedisce la creazione di nuove modalità di combattimento. A tal fine è anche necessario rifiutare il vecchio campo di lotta: o il lavoro o la strada. Finché la rivoluzione non si compie sul suo terreno ma resta su quello del capitale, non vi è alcun sorpasso degno di nota, nessun salto di qualità rivoluzionario. Ora, questo è quello che è ora, altrimenti la rivoluzione ristagnerà, si impantanerà; la regressione ci perseguiterà per anni. Per abbandonare i vecchi centri di lotta del capitale, è necessario tendere simultaneamente alla creazione di nuovi modi di vivere. Che senso ha occupare le fabbriche (quelle delle automobili, per esempio, quando la produzione deve essere soppressa)? Occupare da gestire! In questo modo tutti i prigionieri del sistema si sarebbero impadroniti delle loro carceri per poter gestire al meglio la loro detenzione. Una nuova forma sociale non si basa sulla vecchia; le civiltà sovrapposte sono rare. La borghesia ha potuto trionfare perché ha combattuto sul proprio terreno, le città. Ciò vale ancor di più per il comunismo, che non è una nuova società, né un nuovo modo di produzione. Oggi non è né nelle città né in campagna[14] che l’umanità può combattere contro il capitale, ma senza; da qui la necessità che appaiano forme comuniste che siano i veri antagonisti del capitale e punti di raccolta delle forze rivoluzionarie. Con maggio 68 apparvero le rivendicazioni della rivoluzione. Il capitale doveva tenerne conto. Di conseguenza, la controrivoluzione è stata costretta a rimodellare se stessa perché non può che essere in relazione con la rivoluzione. Cerca proprio di limitare lo sviluppo del suo avversario, ma non ci riesce perché si manifesta davvero, cioè è irrazionale. L’irrazionalità è il carattere fondamentale della rivoluzione. Tutto ciò che è razionale per l’ordine stabilito è racchiuso, recuperabile. Tuttavia, la rivoluzione può essere controllata se rimane sul terreno del suo avversario;  Può solo distruggere i suoi legami e prendere il suo irrefrenabile volo conquistando il terreno della sua realizzazione.

L’obiettivo della rivoluzione è raggiungere la comunità umana. Già nel suo movimento la meta deve manifestarsi; non è possibile utilizzare i mezzi della società di classe, disumana, per raggiungere l’obiettivo dichiarato. Quindi è un assurdo voler penetrare le istituzioni in atto per farle funzionare al servizio del movimento rivoluzionario. Operare in questo modo è rimanere nella mistificazione, come un processo storico che ha il suo compimento nel capitale. Dobbiamo far emergere la mistificazione che consiste nel presentare l’uomo come non essenziale, non determinante, inutile. Nel sistema capitalista, infatti, l’uomo diventa superfluo, ma è chiaro che l’uomo come invariante dalla sua nascita non è ancora stato distrutto, altrimenti non ci sarebbe nemmeno l’idea di una rivolta e, fintanto che l’addomesticamento non rinchiude i giovani, tutto è possibile. Per questo la lotta deve tendere ogni volta a far emergere l’elemento umano persistente in ogni essere, il che implica non cadere nella trappola di presentare gli uomini solo sotto il loro involucro reificato. Perché anche nel caso in cui l’individuo abbia raggiunto un notevole grado di reificazione, rendendolo un automa organico del capitale, c’è ancora la possibilità di mandare in frantumi tutta questa costruzione. Qui, è il vecchio consiglio di Marx che dobbiamo seguire: non solo dobbiamo rendere visibile la catena, ma anche vergognosa. Ogni essere deve essere messo in crisi. Nello scontro con la polizia è necessario tendere non solo ad eliminare una forza di repressione che è di ostacolo al movimento del comunismo, ma tendere a far scoppiare il sistema.

Questo risultato non può essere raggiunto utilizzando i vecchi metodi di confronto diretto, ma nuovi come quello che consiste nel ridicolizzare   le istituzioni[15] che equivale a intrappolarle nella trappola della propria esistenza.

Teorizzare, generalizzare un tale metodo sarebbe assurdo. Un fatto è certo è che potrebbe essere efficace e può ancora esserlo, ma se ne dovranno trovare una miriade di altri. Il punto essenziale è questo: capire che è necessario cambiare il campo di lotta ei mezzi; inoltre, questa esigenza è stata intesa in modo limitato e talvolta negativo: le persone che abbandonano tutto e si mettono in viaggio esprimono il desiderio di uscire dal circolo vizioso delle lotte attuali.

La sinistra si attiene al famoso ciclo di provocazione-repressione-sovversione che dovrebbe, a un certo punto, generare una rivoluzione. Tuttavia, una tale posizione è inammissibile perché porta al sacrificio di uomini e donne per poter mettere in moto gli altri. La rivoluzione comunista non esige martiri perché non ha bisogno di pubblicità. Il martire diventa un’esca che deve allettare. Che cos’è una rivoluzione che prende la morte come esca? La morte diventa un elemento essenziale del processo costitutivo della coscienza, decisamente difficile da trasmettere. Il passaggio dall’esterno all’interno è troppo faticoso, per fortuna gli espedienti, le scorciatoie ci sono. C’è sempre qualcuno che muore al momento giusto (anche se ciò significa facilitarne la morte) e noi scuoteremo questo cadavere per attirare mosche rivoluzionarie.

La rivoluzione comunista è il trionfo della vita. Non può in alcun modo glorificare la morte né pretendere di sfruttarla, che si sta mettendo ancor più sul terreno della società di classe. Per coloro che sono morti al servizio del capitale, alcuni si oppongono o sostituiscono coloro che sono morti per la rivoluzione: lo stesso carnevale di carogne!

L’errore profondo deriva dal fatto che la rivoluzione non è mai presentata come un fenomeno necessario che ha la grandezza di un fenomeno naturale; sembra che, sempre, la rivoluzione dipenda strettamente da qualche gruppo di artefici di esplosioni di coscienza. Tuttavia, al momento attuale, ci troviamo di fronte alla seguente alternativa: o c’è una rivoluzione effettiva (passaggio dalla formazione dei rivoluzionari alla distruzione del MPC) o c’è la distruzione, in una forma o nell’altra, dell’umanità. Non può essere altrimenti. Non appena scatta, non si tratterà di giustificare nulla, ma di essere abbastanza potenti da evitare eccessi. Ma questo si può fare solo se uomini e donne tendono individualmente, prima dell’esplosione rivoluzionaria, ad essere autonomi, di non dipendere più da un leader e quindi di poter dominare la propria rivolta. È abbastanza ovvio che questo può essere solo un fenomeno di tendenza. Tuttavia, l’unico modo perché ci sia una possibilità di realizzazione è porre fine al discorso cannibale che presenta la rivoluzione come un regolamento di conti, come uno sterminio fisico di una classe o di un gruppo di uomini. Se il comunismo è davvero una necessità della specie, non ha bisogno di tali pratiche per imporsi.

In generale, la maggior parte dei rivoluzionari dubita dell’avvento della rivoluzione; per convincersene, lo giustificano; il che permette di scongiurare l’attesa ma maschera anche il più delle volte il non riconoscimento della manifestazione di essa. Per esorcizzare il dubbio si rifugiano nella violenza verbale (altro sostituto) e nel proselitismo implacabile e ostinato; che mantiene il processo di giustificazione: appena fatte alcune reclute, abbiamo la prova che la situazione è favorevole quindi dobbiamo essere ancora più agitati e così via… esportare coscienza. Non capiscono che il giorno in cui c’è la rivoluzione, è proprio perché non c’è più nessuno a difendere il vecchio ordine. La rivoluzione trionfa perché non ha più avversari. Poi è diverso ed è qui che si ripresenta il problema della violenza. La necessità del comunismo è una necessità per tutti gli uomini. Il momento in cui la rivoluzione esploderà sarà quando questa esigenza apparirà loro più o meno confusamente. Il che non significa che, dall’oggi al domani, si libereranno della vecchia spazzatura della società precedente. Intendiamo con questo che coloro che avranno fatto la rivoluzione saranno uomini di sinistra oltre che uomini di destra, e che di conseguenza, una volta distrutti gli elementi sovrastrutturali del MPC, il processo produttivo globale si è fermato, ma i presupposti del capitale ancora intatti, i vecchi comportamenti, i vecchi schemi, ecc., tenderanno a riapparire poiché è vero che ogni volta che l’umanità si avvicina a un nuovo momento, una creazione, lo fa drappeggiandosi nel passato, aggiornandolo. Questo è quando il vecchio metodo racket di etichettatura dovrà essere eliminato per sempre. Sarà necessario capire che il nuovo può emergere sotto il velo del passato. Considerare solo le apparenze che guardano al passato significa fraintendere tutto. Non si tratta di concepire il momento post-rivoluzionario come l’apoteosi della riconciliazione immediata, e che tutto il passato oppressivo sarà abolito come per miracolo. Ci sarà una lotta effettiva perché il nuovo modo di essere degli uomini si generalizzi. È la modalità della lotta che è qui in questione. Qualsiasi spirito settario e inquisitore è un agente letale della rivoluzione; a maggior ragione non si tratterà solo di ricorrere alla dittatura classica, perché si starebbe ricomponendo un modo di essere delle società di classe. Non ci può essere superamento di questo momento di adattamento se non attraverso una manifestazione liberatrice dei diversi esseri umani. È la pressione comunista, cioè la pressione dell’immensa maggioranza degli esseri umani che creano la comunità umana che permetterà, aiuterà a rimuovere gli ostacoli; grazie a un’affermazione di vita dove «se supponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come rapporto umano, puoi solo scambiare amore con amore, fiducia con fiducia» (Marx). Il caso degli scontri violenti non può che essere eccezionale. grazie a un’affermazione di vita dove «se supponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come rapporto umano, puoi solo scambiare amore con amore, fiducia con fiducia» (Marx). Il caso degli scontri violenti non può che essere eccezionale. grazie a un’affermazione di vita dove «se supponi l’uomo come uomo e il suo rapporto con il mondo come rapporto umano, puoi solo scambiare amore con amore, fiducia con fiducia» (Marx). Il caso degli scontri violenti non può che essere eccezionale.

Pensare che una dittatura sia necessaria è pensare che la società umana non sarà mai matura per il passaggio al comunismo. Ciò che è lungo, doloroso, difficile è arrivare a questo punto singolare in cui si rivela la mistificazione, cioè la comprensione del peregrinare dell’umanità, il fatto che essa è impegnata in un cammino che è quello della sua distruzione e che questo è in gran parte dovuto al fatto di aver affidato il proprio destino a questo mostruoso sistema automatizzato, il capitello, la protesi come la chiamano G. Cesarano e G. Collu[16]. Allora gli uomini e le donne si renderanno conto di essere gli elementi determinanti, che non devono rinunciare al proprio potere alla macchina, alienandosi così tutto il loro essere, credendo, così, di raggiungere la felicità.

Dal momento in cui questo punto viene raggiunto, è finita. Sarà impossibile tornare indietro. L’intera rappresentazione del capitale crollerà come un castello di carte. L’uomo che non ha più il capitale in testa potrà ritrovare se stesso ei suoi simili; quindi la creazione di una comunità umana non può più essere fermata.

L’ideologia, la scienza, l’arte, ecc., attraverso tutte le istituzioni, organizzazioni, cercano di far accettare alla gente in modo assoluto che l’uomo non è essenziale, che non può fare nulla (non un uomo così particolare, di una tale epoca, ma l’uomo come un invariante) che se siamo giunti allo stadio attuale è perché non potrebbe essere altrimenti, dal momento in cui abbiamo accettato di utilizzare e di sviluppare la tecnica. C’è una fatalità legata alla tecnica. Se l’uomo non accetta quest’ultimo, non può progredire. Quindi, possiamo solo rimediare a certi mali, ma non sfuggire alla spirale che è questa società stessa. Ciò che determina nell’intrappolamento, nell’immobilizzazione degli uomini, è la rappresentazione del capitale, che consiste in questo: rappresentare un processo sociale razionale come quello del capitale, il che implica che il sistema non può più essere percepito come oppressivo; da dove per spiegare gli aspetti negativi si fa appello a fenomeni designati come extracapitalisti[17] .

L’essenziale è quindi rompere un comportamento che permette l’interferenza del cervello umano con la rappresentazione del capitale. È necessario distruggere il comportamento del servo il cui padrone è la capitale. Ciò è tanto più urgente in quanto oggi l’antica dialettica tra padrone e schiavo tende ad essere abolita a causa dell’inessenzialità dello schiavo: l’uomo.

La lotta contro l’addomesticamento deve essere intesa su scala globale. Anche qui sono sorte forze importanti; così tutti coloro che mettono in discussione il diagramma unilineare dell’evoluzione umana, che negano che il MPC possa essere stato un progresso per tutti i paesi, demistificano la razionalità universale e a priori del sistema capitalista.

I Paesi che agli occhi dei profeti di crescita, di decollo economico sono arretrati, o in via di sviluppo, sono in realtà Paesi dove il MPC non riesce ad imporsi. In Asia, in Sudamerica come in Africa, milioni di uomini non possono piegarsi al dispotismo del capitale. La loro resistenza è il più delle volte negativa, nel senso che non sono in grado di rappresentare un’altra comunità. È tuttavia essenziale mantenere, su scala mondiale, un polo di contestazione umana che solo la rivoluzione comunista può trasformare in movimento per la costituzione di una nuova comunità; inoltre, allo scoppio della rivoluzione, questo polo avrà un’influenza determinante nell’opera di distruzione del capitale.

Nei paesi arretrati i giovani si sono sollevati (a Ceylon, in Madagascar 1972, ma anche in modo meno potente in Senegal, in Tunisia, nello Zaire, ecc.), con parole d’ordine diverse, puntano alle stesse rivendicazioni di ‘In Occident. Così, da più di 10 anni, l’insurrezione giovanile ha affermato il suo carattere fondamentale: l’anti-addomesticamento. Senza voler fare il profeta, è importante cercare di discernere una prospettiva per lui. Nel maggio 68 abbiamo ricordato la previsione di A. Bordiga su una rinascita del movimento rivoluzionario intorno al 1968 e la rivoluzione per il periodo 1975-1980. Manteniamo quest’ultima “profezia”. I recenti avvenimenti politico-sociali ed economici confermano questa previsione e vari autori giungono alla stessa conclusione. Il MPC si trova di fronte a una crisi che lo sta scuotendo da cima a fondo. Non è la crisi stile 1929, anche se vi si ritrovano alcuni elementi di quest’ultima; è una crisi di profonda trasformazione: il capitale deve ristrutturarsi per poter arginare le conseguenze distruttive del suo processo produttivo globale. Tutto il dibattito sulla crescita lo ha dimostrato chiaramente, ma i protagonisti credono di poter arginare il movimento dei capitali e affermano che il tempo va rallentato, rallentato… Ecco perché l’unico modo per il capitale di non confrontarsi più con l’opposizione degli uomini è ottenere il dominio assoluto su di loro. È contro tale dominio che incombe nettamente è una crisi di profonda trasformazione: il capitale deve ristrutturarsi per poter arginare le conseguenze distruttive del suo processo produttivo globale. Tutto il dibattito sulla crescita lo ha dimostrato chiaramente, ma i protagonisti credono di poter arginare il movimento dei capitali e affermano che il tempo va rallentato, rallentato… Ecco perché l’unico modo per il capitale di non confrontarsi più con l’opposizione degli uomini è ottenere il dominio assoluto su di loro. È contro tale dominio che incombe nettamente è una crisi di profonda trasformazione: il capitale deve ristrutturarsi per poter arginare le conseguenze distruttive del suo processo produttivo globale. Tutto il dibattito sulla crescita lo ha dimostrato chiaramente, ma i protagonisti credono di poter arginare il movimento dei capitali e affermano che il tempo va rallentato, rallentato… Ecco perché l’unico modo per il capitale di non confrontarsi più con l’opposizione degli uomini è ottenere il dominio assoluto su di loro. È contro tale dominio che incombe nettamente ma i protagonisti credono di poter arginare il movimento dei capitali e affermano che il tempo deve essere rallentato, decelerato… Ecco perché l’unico modo per il capitale di non confrontarsi più con l’opposizione degli uomini è ottenere su di essi il dominio assoluto. È contro tale dominio che incombe nettamente ma i protagonisti credono di poter arginare il movimento dei capitali e affermano che il tempo deve essere rallentato, decelerato… Ecco perché l’unico modo per il capitale di non confrontarsi più con l’opposizione degli uomini è ottenere su di essi il dominio assoluto. È contro tale dominio che incombe nettamente  all’orizzonte della nostra vita sorge il vasto movimento giovanile che diversi adulti cominciano a comprendere e sostenere.

Quasi ovunque abbiamo assistito a questa ascesa rivoluzionaria tranne che in un paese enorme, l’URSS, che potrebbe svolgere un ruolo così inibitore che la rivoluzione sarebbe stata frenata a lungo, invalidando la nostra previsione, trasformandola in un pio desiderio. Ora, gli eventi in Cecoslovacchia e in Polonia, il costante rafforzamento del dispotismo nella repubblica sovietica indicano, negativamente, che lì la sovversione non è assente; anche se ne abbiamo solo deboli echi. Era necessario reprimere tanto più violentemente quanto era necessario impedire la generalizzazione di una rivolta. D’altra parte, il movimento di destalinizzazione svolge – tenuto conto delle notevoli differenze storiche – lo stesso ruolo della rivolta dei nobili del 1825, trasmessa da quella dell’intellighenzia e poi dal movimento populista in senso lato. Riteniamo quindi che attualmente ci sia una sovversione che va ben oltre l’opposizione democratica dell’accademico Zakharov. Dobbiamo anche tenere conto di alcune costanti storiche. È in Francia e in Russia che abbiamo avuto la generalizzazione di fenomeni rivoluzionari nati in altri paesi; fu lì che acquisirono la loro massima radicalità. La rivoluzione francese ha generalizzato la rivoluzione borghese alla zona europea; la rivoluzione russa ha generalizzato la doppia rivoluzione all’interno della quale alla fine ha trionfato solo la rivoluzione capitalista. La rivolta studentesca non è nata in Francia, ma è lì che ha potuto scuotere la società capitalista, che ancora ne sta subendo le conseguenze. In URSS non si può avere uno sconvolgimento rivoluzionario finché non si esauriscono le conseguenze della rivoluzione del 1917: la serie delle rivoluzioni anticoloniali; ora che la più importante di queste, la rivoluzione cinese, ha completato il suo ciclo, vedremo l’inizio del nuovo ciclo rivoluzionario in URSS.

C’era un divario storico significativo tra la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa, lo stesso vale per l’emergere del nuovo ciclo rivoluzionario. Nel nostro tempo il dispotismo del capitale è più potente di quello dello zar e, inoltre, la santa alleanza URSS-USA si rivela più efficace di quella del secolo scorso tra Inghilterra e Russia. Il fenomeno può essere ritardato ma non abolito; possiamo prevedere che in URSS la dimensione “comunitaria” della rivoluzione sarà più chiara che in Occidente, facendola progredire a passi da gigante.

In un periodo di totale controrivoluzione, Bordiga ha potuto resistere all’effetto dissolvente di essa solo perché aveva una visione della rivoluzione a venire e soprattutto perché ha spostato il punto di riflessione sulla lotta: non più solo concentrarsi sul passato – semplice peso morto in questi tempi – né sul presente dominato dall’ordine costituito, ma sul futuro. Ha affermato: “Siamo gli unici a basare la nostra azione sul futuro”.

Già nel 1952 aveva scritto: “Siamo più forti nella scienza del futuro che in quella del presente passato” (Esploratori del futuro, in Battaglia Comunista,  n° 6).

L’essere così inserito nel futuro gli ha permesso di percepire l’attuale movimento rivoluzionario (non nelle sue caratteristiche). Da allora, l’industria del futuro è nata ed è cresciuta di dimensioni. Il capitale entra in questo nuovo dominio e comincia a sfruttarlo, provocando una nuova espropriazione degli uomini e rafforzandone l’addomesticamento. Questa presa sul futuro distingue MPC da altri modi di produzione. Fin dall’inizio, per il capitale, il rapporto con il passato e il presente risulta essere meno importante del rapporto con il futuro. In effetti l’unico scambio corroborante per lui è quello con la forza lavoro; il plusvalore creato, capitale potenziale, può diventare capitale effettivo solo scambiandolo con lavoro futuro. Vale a dire che nel momento presente in cui si genera il plusvalore, esso ha realtà solo se in un futuro che può essere solo ipotetico e che non è necessariamente prossimo, si manifesta la forza lavoro. Se questo futuro non è il presente (ora passato) è abolito: svalutazione per totale perdita di sostanza. È quindi chiaro che fin dall’inizio il capitale deve dominare il futuro in modo che vi sia la certezza del compimento del suo processo produttivo. Il sistema creditizio gli permette di raggiungere questa conquista. Da quel momento in poi, il capitale si appropria del tempo che modella a propria immagine, il tempo quantitativo[18] . Tuttavia, attraverso lo scambio con il lavoro futuro, è stato il plusvalore presente che si è realizzato, valorizzato, con lo sviluppo dell’industria del futuro, di quest’ultima si capitalizza. Ciò richiede una programmazione del tempo che si esprime in modo scientifico nella futurologia. D’ora in poi il capitale produce il tempo[19] . Dove possono gli uomini collocare d’ora in poi le loro utopie e le loro ucronie?

Nelle epoche precedenti le società esistenti dominavano il presente e, in misura minore, il passato, il movimento rivoluzionario aveva il futuro dalla sua parte. Le rivoluzioni borghesi e le rivoluzioni proletarie dovevano assicurare il progresso che è solo l’esistenza di un futuro valorizzato rispetto a un presente e un passato da abolire. In entrambi i casi, in modo più o meno accentuato, il passato era un impero delle tenebre, il futuro quello della luce. Il capitale ha conquistato il futuro. Non teme più le utopie, anzi tende a produrle. Il futuro è redditizio. Produrre un futuro è condizionare gli uomini, d’ora in poi, secondo una certa produzione, è programmazione assoluta. L’uomo della carcassa del tempo (Marx) è escluso dal tempo. Il dominio del passato, del presente e del futuro con l’esclusione dell’uomo permette la rappresentazione strutturale dove tutto è solo una combinazione di relazioni sociali, forze produttive o miti, ecc. La struttura in fase di completamento elimina la storia. Ora, la storia è ciò che gli uomini hanno fatto.  

Da lì concepiamo che la rivoluzione comunista non deve solo porre un altro tempo, ma soprattutto unirlo a un nuovo spazio. Entrambi verranno creati contemporaneamente come risultato di un nuovo rapporto tra l’essere umano e la natura: la riconciliazione. Come abbiamo detto, tutto ciò che è frammentato è cibo per la controrivoluzione. Non è la mera totalità che si deve rivendicare, ma l’unione di ciò che è stato separato, mediato dall’essere futuro, dall’individualità e dal Gemeinwesen . Questo essere futuro esiste già come esigenza totale ed è ciò che meglio esprime il carattere rivoluzionario del movimento del maggio 68 e del movimento studentesco delle scuole superiori della primavera del ’73.

La lotta rivoluzionaria è una lotta contro il dominio che si manifesta in tutti i luoghi, tempi e nei vari aspetti della vita. Per 5 anni la protesta ha invaso tutti gli ambiti della vita della capitale. Ora la rivoluzione può stabilire il suo vero campo di lotta, il cui centro è ovunque, la superficie in nessun luogo [20] così infinito è il suo compito: distruggere l’addomesticamento, deporre l’infinita manifestazione dell’essere umano a venire. Nessun ottimismo ci sussurra che tra 5 anni comincerà la vera rivoluzione: la distruzione del MPC!

NOTE

[14] È chiaro che l’antica contrapposizione tra città e campagna non esiste più. Il capitale urbanizza il pianeta, è la mineralizzazione della natura. Stiamo assistendo a nuovi conflitti tra centri urbani e aree rurali dove persistono ancora alcuni contadini. I centri urbani richiedono sempre più acqua, il che porta alla costruzione di molte dighe a distanze che raggiungono i cento e talvolta anche i 200 chilometri. Ciò provoca la distruzione di buone terre per la coltivazione, la caccia o la pesca, ma contribuisce anche a privare d’acqua gli agricoltori perché tutte le sorgenti vengono catturate per alimentare una diga o un canale. Questo conflitto può riguardare la stessa persona, come chi vive nel centro storico e ha una seconda casa “in campagna”. Da ciò vediamo che siamo ben al di là della tradizionale questione contadina.

[15] Come facciamo con gli psichiatri americani che sono stati internati volontariamente in cliniche psichiatriche, dimostrando così che non c’era alcuna conoscenza in grado di definire la follia. Aggiungiamo che la follia attuale è una produzione necessaria al capitale.

[16] Cfr. Apocalisse e Rivoluzione, Bari,  Dedalo, 1973. Questo libro si presenta come “un manifesto della rivoluzione biologica” ed è ricco di contenuti che non possono essere qui sintetizzati. Gli autori affrontano anche la questione della rappresentazione e del simbolismo nelle relazioni sociali (vedi nota 6). Ecco due passaggi che fanno luce sulla loro posizione: “Sbagliano i commentatori progressisti del rapporto del MIT e delle proposte di Mansholt quando affermano che il capitale non può sussistere senza aumentare continuamente la produzione di merci, substrato della sua valorizzazione, se intendono per merci solo ‘cose’. Poco importa la natura della merce, se è una “cosa” piuttosto che una “persona”. Perché il capitale possa continuare ad aumentare come tale, basta che nella circolazione sussista un momento in cui qualche merce assume il compito di essere scambiato con A per poi essere scambiato con A’.  Questo è, in teoria, perfettamente possibile, a patto che il capitale costante, invece di investire principalmente in stabilimenti capaci di produrre esclusivamente oggetti, sia in stabilimenti capaci di produrre “persone sociali” (servizi sociali e “servizi alla persona”) (p. 82). “La suprema coerenza del fittizio è quella di mostrarsi, infine, come una perfetta rappresentazione e quindi come un’organizzazione di apparenze perfettamente irreali; quella di finire nel suo definitivo distacco dal concreto, nella sua stessa scomparsa percettibile (il fittizio è l’essenza di ogni religione). Ma è solo presentandosi come soggettività consustanziale al naturale movimento organico, con la sua complessiva capacità in atto che la specie potrà emanciparsi definitivamente dalla protesi, affrancarsi dalla finzione e dalle religioni. La rivoluzione biologica consiste nell’inversione definitiva del rapporto che ha visto lungo tutta la preistoria [l’intero periodo precedente la rivoluzione comunista], la corporeità della specie soggetta al dominio della macchina sociale; nella libertà dalla soggettività organica; nell’irreversibile “addomesticamento” della macchina, in tutti i suoi possibili modi di apparire. (p. 135)

[17] Ecco un esempio notevole: “In conclusione, osserviamo che il finanziamento della crescita non è quasi assicurato dai meccanismi propri del sistema capitalista. Implicherebbero, infatti, che gli individui accettino di indebitarsi per prendere in prestito denaro contante che si impegnerebbero in investimenti illiquidi con tale o tale società la cui crescita scommetterebbero. Il nuovo denaro entrerebbe così nell’economia attraverso il mercato azionario. E le società così finanziate dalla Borsa non avrebbero bisogno di autofinanziarsi. In assenza di inflazione, l’importo dell’indebitamento personale sarebbe pari alla quantità di liquidità necessaria per la crescita e non di più. In effetti, per finanziare la crescita, il sistema capitalista implica l’esistenza di giocatori d’azzardo pronti a perdere l’importo nominale della loro scommessa, se si sbagliano sulla crescita attesa di questa o quella società. Poiché l’importo di queste scommesse è insufficiente, le aziende devono prendere in prestito direttamente dalle istituzioni finanziarie. Questo meccanismo esiste in un sistema non capitalista… In definitiva, con l’esistenza del tasso di interesse, il prezzo del denaro non prestato (nel caso di investimento in contanti) o prestato praticamente senza rischio di perdita nominale (obbligazioni), il sistema capitalista finanzia solo in parte la crescita e genera inflazione cumulativa ” (J. Fau, “Analyse de l’inflation”, in Le Monde , 12 maggio 1972).

[18] Ciò che caratterizza il capitale non è tanto l’affermazione quantitativa e la negazione del qualitativo, ma è una contraddizione fondamentale tra i due, in cui il polo quantitativo tende a fondare ogni qualità. Non si tratta di volere la qualità negando la quantità, così come non si rivendica il valore d’uso negando il valore di scambio. Serve una mutazione totale che permetta di abolire ogni logica di dominio. Perché qualità e quantità sono intimamente legate alla misurazione e tutto al valore. La misura opera sia a livello di valore d’uso che a livello di valore di scambio. Nel primo caso è direttamente legato al dominio degli uomini: i valori d’uso misurano la posizione sociale, il peso dell’oppressione di un determinato individuo. C’è un dispotismo del valore d’uso come c’è del valore di scambio e ora del capitale. Nelle sue note al libro di James Mill, Marx denuncia l’utilitarismo, una filosofia che riduce l’uomo al suo uso ma dove lo scambio tende a diventare autonomo.

[19] Sternberg lo espresse in modo straordinario in Futur sans avenir.

[20] Tale è la definizione di infinito data da Blanqui (che modifica alquanto la celebre frase di Pascal). Cfr L’eternità delle stelle,ed. Testa di foglia, p. 119.

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