Sul reddito di cittadinanza – che sarebbe interessante se diventasse universale per saggiare fin dove si possa spingere il sistema – c’è troppa confusione. Si ragiona con alcune categorie ottocentesche tralasciandone altre. Da allora molto è cambiato seppur, paradossalmente, alcune condizioni sociali ed economiche sono tornate ad essere del tutto simili al passato come ad esempio i livelli di contrattazioni differenziate all’interno dello stesso stabilimento, grazie alle esternalizzazioni e all’utilizzo delle partite IVA (figure lavorative oggi cadute nell’oblio).

La tecnologia, nel bene e nel male, ha stravolto produzione e produttività – esattamente come previsto da Ricardo e Smith prima e da Marx poi – pur senza il portato benefico  ipotizzato dai sostenitori del mantra capitalistico dell’unico sistema possibile, senza capire che anche questo muro, come quello del secolo scorso, è crollato e che aspetta solo di essere reso manifesto alla gente. Lo stesso Keynes profetizzava la sostanziale estinzione del problema economico: la tecnologia avrebbe reso talmente abbondanti le merci che non si sarebbe posta più per l’umanità la problematica esistenziale propriamente economica. (Cfr. Prospettive economiche per i nostri nipoti). 

Il processo di produzione in chiave capitalista ha riportato l’orologio sociale esattamente agli anni d’oro della rivoluzione industriale, con una distanza siderale fra ricchi e poveri. Distanza misurabile dal fatto che alcune holding hanno un fatturato che supera il PIL di alcuni piccoli paesi in via di sviluppo. Ma è anche vero che, rispetto al passato, non è esistito mai un tempo con una produttività così elevata, con un potere finanziario senza precedenti che permea tutti i settori produttivi riuscendo a mettere a valore l’impensabile, il tutto finalizzato ad incrementare la ricchezza di pochissime persone.

Ce ne sarebbe per tutti di ricchezza materiale ed invece godono in pochi e questi pochi si fanno la guerra senza sosta. L’introduzione e l’uso sempre più spinto dell’intelligenza artificiale e di macchine tecnologicamente sofisticate, stanno progressivamente mutando il ruolo dell’umano dentro il processo produttivo. Da una parte fanno capolino nuove figure professionali con un alto profilo specialistico (programmatori, ingegneri informatici, esperti di AI e di sicurezza cibernetica, ecc.), spesso – ma non sempre – pagate profumatamente, e dall’altra il proliferare di figure iperdequalificate che trovano impiego nella logistica, nell’home delivery, nei lavori di cura in ambito privato e a domicilio o nei grandi hub di Amazon (a tal proposito segnaliamo una nostra intervista a un lavoratore del centro di distribuzione Amazon di Fara in Sabina in provincia di Rieti) dove i livelli salariali e di sfruttamento ci parlano di ritmi e condizioni di lavoro da epoca fordista. Se poi volgiamo lo sguardo oltre la prospettiva occidentale, verso oriente, noteremo come il comparto tecnologico, ad esempio, è sostanzialmente sorretto da forme di lavoro semischiavistico che va dall’estrazione delle materie prime alla produzione dei semiconduttori.

Un meccanismo che produce masse di disoccupati e inoccupati che difficilmente riescono a ricollocarsi nel cosiddetto mercato del lavoro semplicemente rimboccandosi le maniche, come sostiene l’attuale Governo. Dove, quindi, dovrebbero trovare lavoro le persone che oggi campano con il Reddito di Cittadinanza? Oggi non si tratta di prendere una zappa, non basta la sola forza bruta, servono – come già accennato –  figure con un’alta formazione scientifica alla quale non tutti hanno la possibilità di accedere. E anche quando ancora ne avessero la possibilità, l’alta formazione attuale è veramente alta? Sempre di più servono master e dottorati per competere nel mattatoio delle carriere di alto profilo, i costi dei quali raramente sono supportati da enti pubblici e borse di studio. Qui occorrerebbe aprire una lunga e articolata riflessione sul mondo della formazione, su come questa sia stata delegata, quasi per intero, al privato e di come sia sempre più appannaggio di pochi. A chi non ha le possibilità economiche è proposta la formazione professionale (quasi sempre di basso livello) che oggi continua a produrre profitti per gli enti formatori e frustrazioni per i lavoratori. 

In questo quadro a tinte fosche gli schieramenti pro o contro il Reddito di Cittadinanza perdono di significato, andando a produrre, paradossalmente, più effetti benefici al Capitale che al Lavoro. Oggi, fermo restando la sacrosanta necessità di un reddito universale di sussistenza sganciato da ogni meccanismo lavorista, occorre a nostro avviso smarcarsi dalla dicotomia pro-contro e interrogarsi se interventi – come quello del Rdc – che piovono dall’alto possono avere una qualche utilità sociale. Il meccanismo della cosiddetta alternanza democratica alla guida del Paese ha dimostrato come, nel passaggio da un governo a un altro, si possono smontare interventi di una certa utilità senza che questo produca forme di indignazione e conflitto.

Se sulla scena politica manca una soggettività confliggente, forte e autentica, che rivendichi (individuando anche chi “dovrà pagare”) l’attuazione di una misura sociale ed economica, saremo sempre in balia delle tattiche elettoraliste di turno. Ieri il populismo dei Cinquestelle, oggi il nazionalismo dal volto moderno della Meloni. Le conquiste devono  saper essere mantenute nel tempo e chi può farlo è solo una nuova operaità che, nella progressività delle rivendicazioni, prova a mettere in crisi il capitale aprendo possibilità di rottura senza, al contempo, farsi trovare immobili sul diritto acquisito.

Nel frattempo Amazon e company sguinzagliano i loro “robottini” che, come formiche laboriose ma senza stancarsi, contribuiscono all’aumento della produttività, del plusvalore e, dunque, alla ricchezza di un manipolo di uomini sulla Terra. Se i robottini invece fossero di tutti, lavoreremmo meno ma lavoreremmo tutti. Uno dei motti più profetici delle lotte che furono e che oggi potrebbe ritornare centrale per riuscire a migliorare le condizioni lavorative degli umani senza rimanere ingabbiati dentro logiche lavoriste.

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