PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA PALESTINESE (IV)

di Nando Primerano*

La seconda Intifada, col suo corollario di 3.300 palestinesi morti, finì nel 2005. Nel 2006 vennero indette libere elezioni legislative sotto il controllo internazionale per ridefinire la Presidenza della Palestina. Le Forze politiche in gioco sono sostanzialmente due, Al-Fatah storica leadership dell’OLP e i fondamentalisti di Hamas sempre più numerosi. La corrente di Al-Fatah è sempre meno popolare, a causa della corruzione della classe dirigente e della “tiepidezza” nei confronti di Israele e USA. Questa contestazione viene portata avanti persino al suo interno dalla frazione più giovanile e radicale di Marwan Barghouti, capo della Brigata dei Martiri di Al-Aqsa, figura carismatica e molto amata.  Barghouti viene fatto presto scomparire dalla scena politica con un arresto che lo seppellirà nelle carceri israeliane.

I fondamentalisti di Hamas, nutritisi della disperazione popolare e  dell’abbandono di tutto il mondo, sono invece in forte crescita e stanno già cambiando il volto noto di una Palestina laica. In mezzo, altri partiti, per esempio il Fronte Popolare, stritolati dai due più grossi competitor. Tutto il mondo vigila sulla correttezza dell’agone elettorale. Il risultato dà la vittoria ad Hamas. Paradossalmente quasi tutti i Paesi del mondo, che avevano inviato osservatori internazionali, per constatare la correttezza e la legittimità di quelle elezioni, non riconoscono Hamas e continuano a rapportarsi con il più docile Abu Mazen. Lo scippo provoca la giusta indignazione e collera di Hamas, che sfoga in uno scontro fratricida molto cruento con Fatah. Un’epurazione sanguinosa da ambo le parti lascerà a Hamas il controllo di fatto sulla Striscia di Gaza ormai blindata dall’esercito israeliano e diventata di fatto una prigione a cielo aperto, e all’ANP, con Abu Mazen, il controllo più o meno della Cisgiordania.

Gli strateghi israeliani plaudono: dopo aver ridimensionato la capacità della Resistenza, dopo avere diviso la compattezza del fronte arabo, ostile nei loro confronti, sono ora riusciti a dividere persino il popolo palestinese e possono continuare a far credere ancor più al mondo che quel che fanno è giustificato dal diritto di difendersi dai terroristi di Hamas. E anche di propagandare la favola infinita dei “due popoli due stati”. Ma uno stato, in quanto tale, si caratterizza per la sovranità che ha sul proprio territorio. Quale stato si può immaginare per la Palestina di oggi, fatta di lembi di terra che non comunicano tra loro, di piccole riserve circondate dall’esercito e senza una continuità territoriale? Ma la favola è accattivante, e se ne parla continuamente facendo finta di crederla possibile, specie se ripetuta da tutti all’infinito.

In questo panorama diviso tra le due più grosse forze politiche palestinesi, dove non c’è un predominio netto di una sull’altra, e con le altre schiacciate in mezzo, scoppia la terza Intifada, o Intifada dei coltelli. Poco partecipata rispetto alle altre, vede giovani attaccare con coltelli o tentare di investire con automezzi i sionisti. Durerà poco, sarà poco partecipata e non da tutti riconosciuta. In questo frangente verrà accoltellato a morte un giovane volontario calabrese scambiato per un ebreo, Angelo Frammartino di Caulonia.

A fine dicembre 2008 l’ennesimo incidente, creato ad arte o provocato, consente agli israeliani di operare l’ennesima strage con l’Operazione “Piombo Fuso” che costò a Gaza 1.400 morti, di cui un quarto bambini. Ma non fu solo questa la cifra della crudeltà. Vennero distrutte decine di quintali di scorte alimentari garantite dall’ONU, scuole, università, ospedali, le strutture idriche ed elettriche… come al solito. E orrore nell’orrore vennero sperimentate sul campo, cioè sui civili palestinesi, armi chimiche devastanti come il fosforo bianco che produce orribili ferite che continuano a bruciare nel tempo, o i proiettili al tungsteno.   

Il mondo è annichilito ed impotente davanti a questa ennesima strage che grida indignazione, ma che non smuove di un millimetro la sudditanza e connivenza dei  governi. Più di 80.000 i feriti con lesioni orribilmente devastanti mai viste prima che mettono in difficoltà gli operatori sanitari.  All’interno della Striscia di Gaza, territorio già fra i più affollati del mondo, migliaia saranno gli sfollati dalle zone bombardate costretti a concentrarsi ancor più nei luoghi meno devastati. Alla stampa internazionale non venne consentito di entrare, così come venne impedito l’accesso anche successivamente alle Commissioni per i Diritti Umani dell’ONU. Solo pochissimi stranieri restarono sotto l’attacco e raccontarono in diretta gli orrori che vedevano. Tra questi Vittorio Arrigoni, “Vik”, i cui commoventi report si concludevano sempre –e inutilmente- con l’appello “Restiamo Umani”.  Vik fu successivamente rapito, torturato ed ammazzato da un’ala fondamentalista; si dice per il suo essere troppo vicino alle posizioni di quel movimento giovanile che tentava di ricostruire l’unità palestinese e per questo inviso e represso sia da Fatah che da Hamas. 

E la storia continua così, tra i morti giornalieri e le cicliche stragi, nell’indifferenza generale, tra l’operazione militare estesa che fa centinaia o migliaia di morti e la politica quotidiana del morto goccia a goccia. Le ultime e recenti manifestazioni dei Venerdì, ai confini dei Territori Occupati illegalmente, per pretendere il Diritto al Ritorno, riconosciuto a tutti i popoli del mondo ma non ai palestinesi, continuano a sgranare il rosario infinito dei morti per la repressione.

Continua indisturbato il genocidio di questo popolo, in una vita quotidiana sotto occupazione che vita non si può chiamare. Agli interrogativi che ponevo il Sindaco di Khan Younis, estremo lembo della Striscia di Gaza ai confini con l’Egitto, mi ha risposto: ”mi fai tante domande, tranne l’unica veramente importante, ossia: come facciamo ad essere ancora vivi? E non l’ho chiesto, ma avrei voluto: come fa un popolo a non piegarsi davanti ad un esercito occupante che si arresterà soltanto quando avrà ammazzato l’ultimo palestinese, oppresso da una politica genocida instancabile, che va avanti ormai da più di settanta anni? 

Perché, incredibilmente, continua indomabile anche la Resistenza.  

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*Nando Primerano, insegnante, vive e lavora a Reggio Calabria. Ha fatto parte per oltre dieci anni della redazione della rivista “Sud/Sud” dove si è occupato di Movimenti di Liberazione e Solidarietà Internazionale. Ha pubblicato: Di fumo e di spari, di sangue e di pianto… di questo vi conto… di questo vi canto (2021), I trip dell’elefante (2017), Ci sono storie di donne…(2011), Diario di bordo (2009), Vite desaparecide (2007), Solo fumo è la paura che nasconde il tuo orizzonte (2005), L’ombrello di Pedro (2003), La piazza e la montagna (1991), A nueve anos… è necessario sognare (1988), Il Nicaragua è un dolce che prende il bus(1986).

Eventuali copie dei libri possono essere richieste direttamente all’autore scrivendo alla seguente e-mail: rosmaro@tin.it 

Le puntate precedenti:

PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA PALESTINESE (I)

PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA PALESTINESE (II)

PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA PALESTINESE (III)

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