PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA PALESTINESE (II)

di Nando Primerano*

Se le potenze occidentali plaudono nel 1948 alla nascita dello Stato d’Israele, non altrettanto avviene per le nazioni arabe limitrofe, non disponibili ad assistere inerti alla distruzione della fraterna comunità palestinese. Gli “eserciti” – per modo di dire, in quanto male armati e peggio addestrati – di Egitto, Iraq, Siria, Libano e Giordania entrarono in Palestina, scontrandosi con le milizie israeliane, queste sì ben armate e ben addestrate. Le truppe dei paesi arabi furono sconfitte e gli israeliani approfittarono di questa disfatta per estendere il loro controllo anche sulla parte di territorio assegnata ai palestinesi, ad eccezione di Gerusalemme, la Città Santa, che restò sotto controllo arabo fino al 1967. La prima guerra arabo-israeliana servì a consolidare l’immagine di Israele quale potenza militare di quell’area capace di esercitare la legge del più forte, al servizio proprio e degli interessi occidentali. Così nel 1956, gli israeliani, supportati da truppe anglo-francesi, tenteranno di rovesciare il regime egiziano del progressista e panarabista Nasser, colui che aveva nazionalizzato il Canale di Suez, al fine di esercitare il controllo su questo accesso strategico. Il tentativo non otterrà il successo sperato e le truppe miste dovranno ritirarsi, ma l’episodio lascerà il segno dell’aggressività militare e della voglia espansionista di Israele, sostenute dal supporto internazionale, che riconosce Israele come presidio degli interessi economici e geostrategici occidentali.

Il Parlamento israeliano vara nel frattempo la “Legge del ritorno”, che consente agli ebrei di tutto il mondo di tornare in Israele. La stessa legge ovviamente non varrà per la diaspora palestinese. Il Capo di Stato Maggiore, generale Moshè Dayan, sdogana il diritto alla ritorsione amplificata per qualunque attacco, in qualunque forma, contro gli israeliani, e dà vita all’uopo ad una unità d’élite, la “Compagnia 101”. Lo stabilizzarsi dello Stato sionista, grazie all’apparato militare, marcia di pari passo con il potenziamento economico della società. Nel 1964 il 40% delle acque del fiume Giordano viene dirottato verso il deserto del Negev provocando la reazione cristiana (“Non si deve modificare il corso del fiume dove fu battezzato Gesù”), ma ancor più quelle di Siria, Libano e Giordania che si videro impoveriti di colpo del loro vitale approvvigionamento idrico. I raid aerei contro Beirut e Damasco daranno il segno dell’arroganza e della prepotenza sionista, e la cosiddetta “guerra dell’acqua” costituirà i prodromi della guerra dei sei giorni. Gli eserciti arabi non erano pronti ancora ad affrontare una nuova guerra, ma non potevano continuamente subire angherie e provocazioni da parte del più forte e scomodo vicino, per altro mai riconosciuto. 

Nel 1966 i Beatles si rifiutano di suonare in Israele, inaugurando una lunga sequela di ripudi di musicisti, artisti, uomini del mondo della cultura e dello sport che non vorranno avallare con la loro presenza quello stato di apartheid. Ripudi etici che continuano anche ai nostri giorni con la recente dichiarazione di Roger Waters, ex leader dei Pink Floyd – Sono contro Israele per le stesse motivazioni per cui ero contro il Sud Africa, perché sono regimi razzisti – ma che non basteranno a fermare mire espansionistiche e protervia di Israele.

Il 5 giugno 1967 scoppia  la guerra dei sei giorni. Gli eserciti dei vicini paesi arabi cominciarono ad  ammassare truppe alle frontiere ma gli israeliani si erano da tempo preparati ad una eventualità del genere. Il “casus belli” fu la chiusura da parte egiziana degli Stretti di Tiran alle navi commerciali israeliane. In due giorni l’aviazione israeliana distrusse a terra buona parte della flotta aerea da combattimento araba, completando nei giorni seguenti l’annientamento delle forze terrestri. Nei pochi giorni che durò la guerra, Israele quadruplicò il suo territorio di ingerenza,  annettendosi le strategiche Alture del Golan dalla Siria, la Striscia di Gaza e la Penisola del Sinai – che consentiva l’accesso al Canale di Suez dall’Egitto – la Cisgiordania dalla Giordania. Ciliegina sulla torta l’annessione di Gerusalemme.

L’umiliazione subita non poteva essere accettata da parte egiziana che riteneva di avere  un esercito forte e che voleva riprendersi con la forza le Alture del Golan e l’affaccio al Canale che con la forza gli erano state sottratte. Dal 1968 al 1970 si scatena ancora quella che verrà chiamata la Guerra dell’Attrito. Nel mentre avviene tutto questo intanto, nel 1964, in una affollata riunione, molte organizzazioni palestinesi danno vita all’OLP, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che si attiverà da subito per costruire la resistenza armata e la lotta per la Liberazione della Palestina. Le organizzazioni più importanti presenti sono Al-Fatah, espressione della borghesia nazionalista palestinese con a capo Arafat, ed il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP),  laico, marxista e progressista, con a capo George Habbash. L’OLP rappresenta quindi l’ombrello sotto il quale si raccolgono tutte le organizzazioni palestinesi e diventa presto il rappresentante unico riconosciuto del suo popolo sotto la guida di Yasser Arafat.

Nel luglio 1968 avviene il primo riuscito dirottamento aereo e a fine anno viene fatto esplodere un aereo della compagnia israeliana El Al. Il comando generale palestinese, dapprima si trova in Egitto sotto l’ala protettrice di Nasser, poi si sposta  in Giordania, territorio a forte presenza palestinese, che diviene così una grande base logistica e militare. Talmente forte non solo da lanciare da quel territorio attacchi ad Israele (con le ovvie ritorsioni sioniste), ma creare anche tensioni col Re Hussein di Giordania. Tensioni talmente alte da sconfinare in un vero e proprio scontro che vedrà nel 1970 l’esercito giordano attaccare in maniera cruenta i campi profughi e la popolazione civile palestinese. È il 1970, il Settembre Nero, e con questo nome e a ricordo di quelle stragi che un gruppo palestinese si farà sentire con le sue azioni. Le Forze palestinesi abbandonano quindi la Giordania e stabiliscono le loro basi soprattutto In Libano.

Nel 1972 una spettacolare operazione sotto gli occhi del mondo intero vede il sequestro degli atleti olimpici israeliani a Monaco e la richiesta di uno scambio con i prigionieri politici palestinesi. Il sequestro finirà in una indiscriminata carneficina all’arrivo delle forze speciali israeliane. Ma ormai nel mondo L’OLP è riconosciuto da molti più paesi di quanto non lo sia Israele. Ha addirittura un posto da “osservatore” all’Assemblea Generale dell’ONU. Il 13 novembre 1974 Arafat è lì, sulla tribuna. È riuscito anche a far passare una pistola. E la brandisce in una mano mentre ha un ramoscello d’ulivo nell’altra. E da quella tribuna lancia un appello storico al mondo intero: e adesso diteci voi con quale mano volete che il popolo palestinese si rapporti… (Citazione non letterale ma il senso era quello).

Nel 1976, ad Entebbe, un aereo di linea francese con un centinaio di ebrei a bordo, viene sequestrato da un commando palestinese. In realtà si tratta di un’iniziativa di supporto e appoggio alla Rote Armèe Fraktion tedesca che aveva rapito in patria Hanns Martin Schleyer, ex nazista e  Presidente della Confindustria tedesca, e ne proponeva la liberazione in cambio dei compagni della RAF rinchiusi nel supercarcere di Stammhein. Questa operazione era parte di un rapporto di collaborazione e scambio tra organizzazioni antimperialiste. Il Boeing viene accerchiato dalle truppe speciali che fanno la solita carneficina. In contemporanea, nel super carcere di Stammhein, vengono “suicidati” contemporaneamente i capi RAF Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe; ma questa è un’altra poco edificante storia.

La determinazione e la capacità militare dei Feddayn palestinesi è evidente a tutto il mondo, e la loro sede principale è il Libano. Ai sionisti non sono sufficienti le cicliche rappresaglie, vogliono sradicare i palestinesi dai loro campi profughi. Già nel 1976 l’alleanza di Israele con i falangisti cristiano-maroniti aveva contribuito indirettamente alla guerra civile tra queste forze, i siriani (loro alleati in questa fase) ed i palestinesi dall’altra. C’era un solo campo profughi a Beirut Est, nella zona cristiana: quello di Tal-El Zaatar, la Collina del mirto. Dopo 55 giorni di un assedio bestiale, sotto i bombardamenti ed i cannoneggiamenti, senza che sia possibile far entrare rifornimenti od autoambulanze, il campo profughi cade. Sarà una strage immane, forse 5.000 morti, chissà, nessuno ha potuto contarli. Poi torture stupri, mutilazioni. Con i corpi martoriati ricomposti a croce o con le croci incise su quei poveri corpi con le lame, firma delle milizie Kataeb che faranno conoscere i loro orrori al mondo intero. Il campo profughi scomparirà, interamente raso al suolo.

Nel 1978 Israele entra direttamente nel sud del Libano con decine di migliaia di uomini, carri armati, aerei. Si posiziona vicino al fiume Litani dal quale poi, idrovore giganti e protette militarmente, sottrarranno l’acqua per indirizzarla nei territori occupati. Vengono affrontati dalle milizie progressiste libanesi e dai palestinesi e, finalmente, il 13 giugno 1978 l’esercito israeliano si ritira. Ma è solo un momento. Intanto, il 18 settembre 1978 a Camp David negli USA, con la mediazione del Presidente americano Jimmy Carter, il Presidente egiziano Sadat e quello israeliano Begin firmano un accordo che restituirà all’Egitto il Sinai mentre Israele avrebbe mantenuto il controllo su Cisgiordania e Striscia di Gaza. A parte che, ancora una volta i palestinesi non sono consultati e non esistono, l’accordo  vede il forte Egitto,  rientrare sotto l’influenza USA, rompendo la solidarietà con tutti gli altri stati arabi e, addirittura, riconoscere lo stato di Israele. La regia occulta di tutto ciò porta la firma di Henry Kissinger.

In un panorama mediorientale più tranquillo e gestibile Israele può riconcentrare la sua attenzione sul confinante Libano e sui palestinesi dei campi profughi. Nel 1982 ci riprova con l’operazione “Pace in Galilea”, ancora una volta un’aggressione militare ad un Paese sovrano violando tutte le regole di rapporti tra Stati. Ma Israele non riconosce altro che sé stesso e gli USA, grande protettore, si incaricheranno di rendere inefficienti tutte le sanzioni internazionali alle quali l’ONU lo condanna. L’esercito entra quindi con centomila uomini dal Libano meridionale, radendo al suolo Tiro, Sidone, Nabatieh. Poi, dopo un’incredibile resistenza dei palestinesi che gli ostacolano il cammino,  le forze sioniste arrivano a Beirut. I bombardamenti israeliani distruggono tutto nel tentativo di sradicare i feddayn, ed alla fine persino le potenze occidentali decidono di intervenire per obbligare lo scomodo alleato ad accettare una fragile tregua. Mediatore dell’accordo è l’ambasciatore americano Philip Habib, il contingente di interposizione è formato da militari USA, francesi ed italiani. L’accordo prevede un cessate il fuoco e la possibilità per i miliziani palestinesi di lasciare il paese solo con armi leggere. La popolazione civile presente nei campi profughi non verrà toccata e saranno sotto la protezione delle forze internazionali di pace che ne garantiranno l’incolumità. Arafat ed i Feddayn abbandonano il Paese a bordo di navi francesi lasciando il resto della popolazione sotto la garanzia di sicurezza delle Forze ONU. Quello che accadrà poi rappresenterà una delle pagine più nere tra quelle che raccontano gli orrori della storia. L’occasione troppo ghiotta dell’attentato mortale a Gemayel, neo presidente del Libano, che si era rifiutato  di riconoscere Israele (e più di qualche studioso sostiene “punito” per questo), fa scattare la trappola. Viene data la colpa ai palestinesi. Le truppe internazionali, “guarda caso”, anticipano la partenza lasciando mano libera all’esercito israeliano, mentre, da giorni, un ponte aereo sionista rifornisce di uomini e mezzi gli alleati falangisti . I soldati israeliani setacciano i campi profughi alla ricerca di qualche residua arma di difesa, poi circondano e blindano  con i carri armati i campi di Sabra e Chatila. Le falangi cristiano maronite, fanatici mercenari al soldo israeliano, supportate in armi, viveri e logistica verranno fatte entrare col buio, con l’ordine di usare all’inizio le armi bianche  affinché la gente, colta nel sonno, non potesse rendersi conto e dare l’allarme. Poi i razzi illuminanti, sparati dagli israeliani, manterranno ininterrottamente i campi rischiarati a giorno per facilitare il massacro. La gente che tenta disperatamente di uscire da quella trappola per topi viene ricacciata indietro dai tank che bloccano gli ingressi. Sarà una strage efferata, bestiale, le cui atrocità e crudeltà contro una popolazione inerme non si possono narrare. Saranno più di quaranta ore di orrore puro, e solo alla fine, quando l’odore nauseabondo dei cadaveri in putrefazione farà arrivare i primi giornalisti, il mondo comincerà ad avere contezza dell’accaduto. Più di tremila morti ma il numero non si saprà mai, anche perché negli anni successivi gli israeliani sequestreranno e distruggeranno tutto il materiale d’inchiesta prodotto dai centri di documentazione. Persino a Tel Aviv una manifestazione con oltre 400.000 persone protesterà contro il Governo e contro il principale responsabile del massacro: Ariel Sharon.   Il 16 dicembre 1982, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con l’ennesima  risoluzione condannò il massacro, definendolo un atto di genocidio.    

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*Nando Primerano, insegnante, vive e lavora a Reggio Calabria. Ha fatto parte per oltre dieci anni della redazione della rivista “Sud/Sud” dove si è occupato di Movimenti di Liberazione e Solidarietà Internazionale. Ha pubblicato: Di fumo e di spari, di sangue e di pianto… di questo vi conto… di questo vi canto (2021), I trip dell’elefante (2017), Ci sono storie di donne…(2011), Diario di bordo (2009), Vite desaparecide (2007), Solo fumo è la paura che nasconde il tuo orizzonte (2005), L’ombrello di Pedro (2003), La piazza e la montagna (1991), A nueve anos… è necessario sognare (1988), Il Nicaragua è un dolce che prende il bus (1986). 

Eventuali copie dei libri possono essere richieste direttamente all’autore scrivendo alla seguente e-mail: rosmaro@tin.it 

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