PER UNA STORIA DELLA RESISTENZA PALESTINESE (I)

di Nando PRIMERANO*

Premessa necessaria e doverosa

Chi scrive non è né uno storico né un saggista. Solo una persona che ha incrociato tanti anni fa la storia martoriata di questo popolo e la sua incredibile lotta. Gli oltre settanta anni di resistenza alle espulsioni, alle rapine, al genocidio raccontano di intere generazioni succedutesi nella repressione, nel razzismo, sotto i bombardamenti. Senza un orizzonte visibile o soltanto immaginabile di una svolta. Per chi lotta, per chi resiste, è importante credere che in tempi relativamente brevi la lotta può avere successo. I pochi anni della Resistenza italiana al nazifascismo sono un esempio. Il popolo palestinese invece tuttora schiacciato sotto il crudele tallone di uno degli eserciti più forti del mondo, è ancora lì, non rassegnato, non soggiogato. Incredibilmente per una tra le ultime colonie del mondo, che sopporta un’oppressione lunga più di tre quarti di secolo. Quando il pessimismo della mia ragione vedeva solo disperazione e strade senza uscita, trovavo sempre da parte del mio interlocutore occasionale un sorriso e la solita risposta: Tranquillo compa, ci rivedremo presto nella Palestina liberata! 

La tragedia palestinese

1. Connotazioni storico-geografiche

La tragedia della Palestina è inscritta principalmente nella sua collocazione geografica. Da sempre crocevia di passaggio si trova in una zona assai rilevante dal punto di vista geostrategico. In particolare è punto d’incontro di tre continenti: Europa, Asia e Africa ed è anche un ponte tra il mondo arabo d’Oriente e quello d’Occidente. Anticamente era abitata da una mescolanza di più popoli che per affinità al ceppo linguistico prevalente venivano definiti semiti. Wikipedia ci dà questa definizione: Semiti sono tutti i popoli che parlano, o hanno parlato, lingue collegate al ceppo linguistico semitico (Arabi, Ebrei e CananeoFenici). I Palestinesi sono i discendenti delle più antiche popolazioni che hanno abitato questo lembo di terra, ossia Aramiti, Cananei, Amoriti, Arabi, a loro volta frutto di correnti migratorie, che dal 3.500 a.C. si insediarono su questi territori. Intorno al 2.000 a.C. i Cananei formarono lì il primo Stato Cananeo. Nel 1.200 a.C.  gli Ebrei fuggiti dall’Egitto sotto la guida di Mosè arrivarono nei pressi del Mar Morto e qui si fermarono. Successivamente fu Giosuè a lanciarsi alla conquista dello Stato cananeo. Le atrocità commesse contro i civili furono spaventose, come si evince dalle pagine dell’Antico Testamento. Da questi primi massacri, nacque il Regno Ebraico, che dominava solo una parte della Palestina, quella ad est del fiume Giordano, e che durò solo 100 anni fino al 923 a.C., fondato da Saul, e governato successivamente da David e da Salomone. Il resto del territorio palestinese non conobbe l’occupazione ebraica. Il regno ebraico si divise in due parti, Regno di Israele e Regno di Giudea. Gli Assiri prima e i Babilonesi poi sconfissero gli ebrei obbligandoli per la quasi totalità ad abbandonare il territorio, mentre gli abitanti originari continuarono a vivere lì, dove avevano sempre vissuto. Varie invasioni si susseguirono in questa terra senza pace, da quella persiana, a quella greca di Alessandro Magno, a quella romana. Sarà quella araba che connoterà per sempre il carattere arabo di questi popoli, la parentesi della dominazione dei Crociati, e poi ancora gli Arabi con Saladino. Infine i Turchi che governeranno per lungo tempo  la Palestina, dal 1517 fino al 1917. Gli interessi delle potenze occidentali portarono alla distruzione l’Impero Ottomano divenuto troppo potente, ed anche attraverso l’infiltrazione di agenti molto capaci come il famoso Lawrence D’Arabia, aizzarono gli Arabi a sollevarsi contro i Turchi a fianco degli alleati occidentali, con la promessa, a guerra mondiale ultimata, di concedere loro l’indipendenza. A guerra vinta però la promessa ovviamente non venne rispettata. Si arrivò così alla spartizione tra i vincitori di quello che una volta era l’Impero Ottomano: la Palestina fu colonizzata sotto forma di protettorato inglese. Comincia qui il dramma che assumerà presto i contorni di una tragedia senza fine. 

2. Il sionismo

Precedentemente, intorno alla metà del 1800, la situazione in Palestina era relativamente tranquilla. La minoranza ebrea, concentrata nelle città sacre alla loro religione, Gerusalemme, Safad, Tiberiade ed Hebron, viveva pacificamente con la stragrande maggioranza araba e con i cristiani. Le tre religioni monoteiste convivevano in pace. Ma altri erano i piani dell’imperialismo occidentale per questo pezzo di terra così strategico per i suoi interessi. Gli stati coloniali europei, alla fine della prima guerra mondiale, si spartiranno il mondo dopo averlo fatto a pezzi. In questo arco temporale nasce il sionismo, una visione coloniale e razzista che si innesta perfettamente all’interno delle logiche capitaliste. Nel 1896 vede la luce  il primo programma sionista per la colonizzazione della Palestina, cristallizzato nella famosa frase di Theodoro Herzl “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Peccato che all’epoca 600.000 arabi popolassero 20 città e 800 villaggi. Ma il miraggio di una terra per un popolo senza patria era il carburante giusto per far marciare quel progetto. All’inizio in realtà si prospettarono soluzioni diverse con l’individuazione di paesi con grandi disponibilità di territorio, come l’Argentina o l’Australia. La Palestina però aveva quel maledetto appeal in più, per le implicazioni religiose, per un discutibile passato – benché assai remoto – e per l’interesse imperialista su quell’area. Il 2 novembre 1917 Lord Balfour, membro del Gabinetto del Governo inglese, invia la famosa lettera a Lord Rothshild, nella quale si dichiara esplicitamente che il Governo di Sua Maestà vede con favore lo stabilirsi in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico. 

Il paradosso di una situazione di palese violazione di ogni diritto internazionale risulta evidenziata dalla parole dello scrittore ebreo Arthur Koestler che, interpretando la Dichiarazione di Balfour ebbe a dire che quella era una promessa con la quale una nazione (l’Inghilterra) dava ad un altro popolo (ebraico) un territorio appartenente ad un altro popolo (Palestinese) senza alcun coinvolgimento di quest’ultimo (sic!).  

Il banchiere Rothschild ed il milionario tedesco Hirsh cominciano a finanziare la colonizzazione degli Ebrei in Palestina ed a comprare le terre dai Palestinesi, soprattutto quelle ubicate nei posti più strategici. Chaim Weizmann, che sostituirà Herzl alla guida dell’organizzazione sionista dichiarerà: se la Palestina entrerà nell’area di influenza britannica e se l’Inghilterra incoraggerà l’installazione di Ebrei, sarà possibile introdurre in quel paese un milione di Ebrei che faranno solida guardia al Canale di Suez” (che era stato aperto alla navigazione nel 1869).

Ancor più David Triestsch, scrittore ed economista politico sionista,  scrive a Herzl, dopo il primo congresso sionista svoltosi a Basilea in Svizzera, dicendo addirittura che occorreva parlare di “Palestina e Terre Vicine”, visto che non era possibile portare 10 milioni di ebrei su un territorio di soli 25.000 km quadrati. Il progetto imperialista, colonialista, razzista è già lì, pronto a dispiegarsi. 

Contro il progetto anglo-sionista che si sviluppa nel corso dell’intero Mandato Inglese dal 1917 al 1948, il popolo palestinese si rivolta dando vita a varie ribellioni,  soffocate sempre nel sangue. Con la fine della seconda guerra mondiale l’invasione della Palestina degli ebrei scampati all’Olocausto diviene via via più massiccia.  Gli stessi inglesi vorrebbero ora contingentare l’arrivo degli esuli e cominciano ad opporsi all’aggressività delle bande paramilitari sioniste che si rivolge persino contro di loro, perché colpevoli di tentare di porre un freno al processo di afflusso continuo. Così si susseguono attentati terroristici, esecuzioni e omicidi. Fra i più eclatanti l’assassinio dell’assistente e dello stesso conte Lord Bernadotte, che aveva presentato all’ONU un Piano di spartizione non confacente alla voracità sionista, o la distruzione con 500 chili di esplosivo dell’Hotel “King David”, sede della rappresentanza del Governo Britannico. Ma gli interessi americani, che cominciano a manifestarsi per l’area e, soprattutto, l’ondata di sdegno che nel mondo si alza a ripudio degli orrori nazisti ed in favore dei sopravvissuti all’Olocausto, porta a il Regno di sua Maestà a dover optare per una scelta difficile: decidere se scontrarsi con gli ebrei –cosa poco gestibile davanti all’opinione pubblica mondiale- o abbandonare il terreno.  Così, dopo avere per anni disarmato la resistenza palestinese e foraggiato militarmente i sionisti, nel 1948 gli inglesi abbandonano la Palestina, lasciando tutto il loro arsenale militare alle bande paramilitari sioniste, come Irgoun (con a capo Begin), la banda Stern con a capo Shamir (che diventerà Primo Ministro), l’Haganah (con a capo Ben Gurion) e simili. Queste bande, embrione del futuro esercito israeliano, e i loro capi, contro i quali gli inglesi avevano addirittura spiccato mandati di cattura internazionale con la pesante accusa di terrorismo, diventeranno personaggi di primo piano nel panorama politico del nascente stato ebraico.

A fine novembre 1947, L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in palese violazione dei diritti all’autodeterminazione del popolo palestinese, aveva votato la spartizione della Palestina fra arabi ed ebrei. Agli ebrei venivano  assegnati circa il 57% delle terre a fronte del 43% dei palestinesi. Gerusalemme diventa territorio internazionalizzato. Ma questo non appaga l’appetito dei neo colonialisti. I sanguinosi massacri, come quello del villaggio di  Der Yassin alcuni giorni prima della scadenza del Mandato Britannico nel 1948 e l’espulsione forzata attraverso il terrore caratterizzeranno da subito le loro mire espansionistiche. Le popolazioni scappano terrorizzate nei paesi vicini, portando con sé le chiavi delle loro case nell’illusoria speranza di un prossimo ritorno. Che non avverrà: nessun auspicato diritto al ritorno per loro, contemplato invece per tutti i popoli del mondo. 475 villaggi arabi vengono occupati militarmente, 385 rasi al suolo e cancellati persino dalle carte geografiche, le case e le terre espropriate con la scusa del “proprietario assente”. Assenti sì, in quanto in fuga obbligata dal terrore. È l’inizio della Naqba, la Shoah palestinese mai finita, e le migliaia di profughi che scappano dalle bande degli assassini sionisti cominceranno a popolare i campi profughi in Siria, Libano, Giordania e nella stessa Striscia di Gaza. Quei campi, nati nell’immediato per rispondere all’emergenza, sono ancora lì dal 1948. Sempre più numerosi e sempre più affollati, continuano ad esistere fino ai nostri giorni. 

 Il 15 Maggio 1948 Ben Gurion proclama la nascita dello Stato di Israele. Dopo solo dieci minuti la Casa Bianca ne annuncia il riconoscimento da parte degli Stati Uniti bloccando qualsiasi tentativo internazionale di reazione ed inaugurando quella politica di protezione assoluta verso il più grande amico ed alleato.

*Nando Primerano, insegnante, vive e lavora a Reggio Calabria. Ha fatto parte per oltre  dieci anni della redazione della rivista “Sud/Sud” dove si è occupato di Movimenti di Liberazione e Solidarietà Internazionale. Ha pubblicato: I trip dell’elefante (2017), Ci sono storie di donne…(2011), Diario di bordo (2009), Vite desaparecide (2007), Solo fumo è la paura che nasconde il tuo orizzonte (2005), L’ombrello di Pedro (2003),  La piazza e la montagna (1991), A nueve anos… è necessario sognare (1988), Il Nicaragua è un dolce che prende il bus (1986).

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