DOVE VA IL BRASILE, VA L’AMERICA LATINA

C’è un detto in Sud America: Dove va il Brasile, va l’America Latina. L’America Latina, come presumibilmente il Sud del mondo in generale, accoglie e auspica l’idea di un mondo in cui sia possibile confrontarsi con altri stati e culture in termini di rispetto e nel quadro del diritto internazionale.

L’allargamento e la crescita dei BRICS, negli ultimi mesi, può essere considerato la risposta dell’attuale conflitto a tutto tondo fra l’Occidente – basato su regole che possono cambiare in base ai desiderata e agli obiettivi dell’egemone – e un blocco non geograficamente determinabile che va dall’America latina alla Cina. Secondo alcuni analisti, definiti realisti, come Mearsheimer, le condizioni venutesi a creare dopo la fine del dualismo USA-URSS, hanno posto la Russia nel dilemma se trattare con l’incalzante sfera di influenza occidentale o resistere. La scelta non è stata immediata e netta, in varie fasi la Federazione russa ha intrapreso rapporti e relazioni con l’Occidente tentando a più riprese di intervenire in questioni internazionali come il conflitto nei Balcani. All’epoca, il potere di imporsi della Federazione russa a livello internazionale, doveva fare i conti all’interno con l’operazione di riassemblaggio dei pezzi di un sistema distrutto e con la spartizione delle aziende statali e la svendita dell’arsenale militare.  

La posizione geopolitica della Federazione russa è andata modificandosi nel tempo e, facendo leva sull’export di materie prime, ha intessuto relazioni commerciali stabili con l’Europa e l’Oriente. Di tutt’altra natura le relazioni politiche e diplomatiche: sempre in bilico e spesso tese quelle con uno dei suoi maggiori partner commerciali, la Turchia, ma non propriamente libere nella scelta dei rapporti da avere con i vicini. Di fatto, l’UE ammette nel novero di nazione amica la Turchia, in quanto membro della NATO, e formalmente deplora la Federazione russa come stato canaglia, in quanto non facente parte dell’Alleanza atlantica. Non ci si accalora troppo per i ricatti di un dittatore come Erdogan e per le sue operazioni militari nel Nord della Siria ma ci si indigna per l’invasione dell’Ucraina. Appare un po’ paradossale che si giudichino due strategie militari in maniera diversa partendo dal medesimo principio di rifiuto della guerra.

La decisione della dirigenza della Federazione russa di rispondere all’accerchiamento NATO con la cosiddetta “operazione speciale”, può indignare una folta schiera di benpensanti, ma la susseguente catastrofe socio-economica e il rimescolamento delle relazioni internazionali di mezzo mondo fanno parte in pieno di una strategia ben precisa. Tale strategia, però, non si è elaborata a Mosca ma altrove. La Russia ha sicuramente il torto di essersi fatta trascinare oltre il punto di non ritorno, complice l’immagine di spregiudicatezza che la sua dirigenza si è data negli ultimi vent’anni. 

Mosca, da molti anni si prepara ad affrontare questo momento – e non solo in ambito militare – in quanto consapevole di dover risolvere molte questioni di equilibrio interno e relazioni estere, per affrontare le immancabili sanzioni. Nel pieno dell’attuale conflitto si sono create le condizioni favorevoli al potenziamento del gruppo di paesi riunitosi per la prima volta nel 2009 (all’epoca senza il Sudafrica); sarebbe meglio dire che l’invasione dell’Ucraina, le vittorie parziali sul terreno e la conseguente offensiva diplomatica a seguito degli obiettivi raggiunti, hanno fatto sì che un buona parte del mondo abbia colto l’occasione di aprire nuovi canali economici e finanziari tradotti in quel mantra del multipolarismo incarnato nei BRICS sotto l’egida di Cina e Russia.

Ma i BRICS non sono un’entità nata all’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina. Porre in essere una lettura così superficiale non rende completa l’analisi del processo economico-politico che di fatto sta dietro alla sua genesi. Al contrario di questa lettura semplicistica, possiamo tranquillamente affermare che la globalizzazione a trazione unipolare entra in crisi all’indomani del collasso dell’Unione Sovietica. Questo perché gli USA perdono quello spauracchio storico che ha coalizzato intere regioni continentali, il cosiddetto “mondo libero”, a favore del “libero mercato”. Anzi, in principio, da quando non c’è più stata la presenza dell’antagonista storico (anche se dagli anni ‘70 era in evidentissimo declino, ma fintanto che era formalmente vivo faceva molto comodo), furono gli stessi USA che favorirono l’industrializzazione dell’Oriente del mondo, divenendo i primi esportatori di know-how industriale nei nascenti distretti industriali voluti da Deng Xiaoping e nelle relative ZES. 

Già nel 2001, in un articolato report redatto per Goldman Sachs da un’equipe di economisti dal titolo Dreaming With BRICs: The Path to 2050[1] (trad: Sognando con i BRIC: il percorso verso il 2050), si intravedeva in maniera molto chiara la prospettiva di cambiamento della trazione a più “cavalli” della globalizzazione. Per inciso, questo a riprova che, chi nel 2001 contestava tanto la globalizzazione in sé, ipotizzando di arrestarla o ritardarne gli esiti, quanto la sua trazione a stelle e strisce, non aveva capito moltissimo né della globalizzazione (che era già compiuta e definita) né della trazione made in Washington, che stava già entrando in crisi.

Tornando alla fase attuale, l’accelerazione indotta dal conflitto russo-ucraino ha prodotto un riposizionamento sostanziale di alcune aree continentali nello scacchiere globale. In una sorta di gioco di ruolo, se prima l’Unione Sovietica fungeva da spauracchio per creare alleanze o isolare Stati non allineati, oggi questo ruolo di spauracchio storico lo giocano gli Stati Uniti. Tutto ciò ha avuto un impatto favorevole in America Latina e in particolare in Argentina, che, nonostante la campagna di minacce e demonizzazione da parte dell’Occidente collettivo, ha presentato la sua candidatura a far parte dei BRICS. 

A questo punto la domanda sorge spontanea: perché altri Paesi sudamericani non chiedono di entrare a far parte dei Brics? È vero che una buona parte del Sud del mondo vede con favore un mondo multipolare e il voto in seno all’Onu ne è un chiaro esempio. Rimane sempre l’interrogativo inevaso “qui prodest?”

È bene ricordare che le due economie più forti del Sudamerica sono il Brasile e l’Argentina, ciascuna con un proprio peso specifico e anche con specifiche difficoltà interne. Nel caso dell’Argentina, pesa indubbiamente la sua storia, perché proprio da questo paese, durante la guerra d’indipendenza, fu ideato, organizzato e lanciato, con José de San Martín, l’esercito di liberazione che aveva l’intento di distruggere definitivamente l’oppressione spagnola in America (quasi contemporaneamente lo fece Simón Bolívar in Venezuela). Questo anche perché il gruppo dirigente argentino vedeva chiaramente che non ci sarebbe stata possibilità di consolidare la liberazione ottenuta mentre la reazione spagnola proseguiva con i preparativi di egemonizzare il Perù. Questa stessa evidenza appare ancora una volta chiara nel gruppo dirigente che governa l’Argentina quando chiede di aderire ai BRICS.

Un modo per scrollarsi di dosso decenni di sudditanza finanziaria, commerciale e diplomatica. Forse che la storia stia presentando il conto di dittature eterodirette e interferenze del Nord America? Probabilmente si. Ma la speranza è che non ci sia solo un cambio di chi detiene le linee di credito se il FMI o le banche cinesi. Questo è un nodo che si scioglierà man mano che lo schema cosiddetto multipolare andrà chiarendosi.

E gli altri paesi del Sudamerica? Il resto dei paesi guarda con attenzione e appare forte la tentazione di far parte di questo processo multipolare. Ma a parte questo c’è un freno, perché le varie economie del Sud America sono estremamente deboli a causa di diversi fattori storicamente determinati e determinanti fin dalla fondazione delle varie repubbliche. A questo bisogna aggiungere oggi l’aumento speculativo del petrolio, la siccità che costringe a comprare generi alimentari a prezzi sempre alti o a dover affrontare calamità dovute a piogge intense. Ma non si possono nemmeno ignorare la dipendenza mentale di buona parte delle élite della Latino America da tutto ciò che viene dal Nord e che si riproduce in tutta la società.

Ad esempio, c’è il Perù, che, grazie al sostegno di Stati Uniti e Comunità Europea, ha benedetto il golpe parlamentare ed è attualmente governato dal programma del candidato perdente Keiko Fujimori, un programma ultra-liberista. Una benedizione che serve al Governo per non rispondere degli omicidi ai danni della popolazione civile che chiede la destituzione dell’attuale presidente. Un sostegno che gli ha permesso di raggiungere una certa stabilità nonostante il sud del Paese soffrisse di una grave crisi di siccità, mentre al nord, le piogge hanno creato danni dei quali l’attuale governo non si occupa né si preoccupa.

Il quadro è sempre più complicato perché la vicinanza con gli USA è sempre più difficile, c’è meno spazio per il dissenso a causa dell’accelerazione della crisi dell’impero come prodotto della guerra; diciamolo chiaramente, per entrambi i blocchi è una sfida esistenziale, il nuovo che sostituisce il vecchio e il vecchio che rifiuta di essere spodestato. Le economie del sud del mondo, fortemente esposte al capitale, temono che gli Stati Uniti non si facciano scrupoli a scaricare la crisi su di loro come accade da tempo e che attraverso questi meccanismi coercitivi cerchino di riportare la pecora smarrita nell’ovile neoliberista.

D’altro canto, il neoeletto presidente brasiliano Lula, appena insediatosi al governo, ha mandato all’aria non poche strategie, rimarcando il fatto di non poter dimenticare chi ha egemonizzato la politica e l’economia Brasiliana e anche memore del tempo che ha dovuto trascorrere in carcere per mano di magistrati non propriamente imparziali. Lula è consapevole di non potersi fidare né di Washington né tantomeno della sua emanazione creditizia, il FMI. Per non lasciare dubbi alle sue future iniziative, durante la sua visita di Stato in Cina ha apertamente criticato il cosiddetto Occidente collettivo.

A questo processo va aggiunta la delegazione diplomatica presieduta da Lavrov, che deve essere vista come un allargamento dell’area di influenza russa, approfondendo i rapporti con i Paesi più politicamente vicini in senso anti USA: Brasile, Venezuela, Nicaragua e Cuba. L’obiettivo dichiarato è invitarli a rafforzare lo spazio BRICS, in quanto è lecito toccare argomenti di interesse comune. Come questione collaterale, ma non meno importante, è lo sforzo della Russia di aprire lo spazio di manovra a livello politico-diplomatico mentre il governo USA e l’Europa rispondono con la minaccia di intervenire là dove considerano sia situato il loro “cortile di casa”.

Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi o anni (auspicando che il conflitto russo-ucraino possa risolversi con un negoziato) l’evolversi di questo processo cominciato con il logoramento del nemico dell’occidente e che ora sta passando dal logoramento del nemico dell’Oriente. Nella speranza che non sia sempre e comunque il mercato e il modo di riproduzione capitalista  a spuntarla, vale la pena di continuare ad analizzare gli eventi. 

Va comunque rammentato che questa crisi nell’egemonia della globalizzazione, in qualunque modo venga a risolversi non metterà in nessun modo in discussione il modello economico, che resterà  sempre a trazione capitalista. Questo è un dato importante che in molti sembrano dimenticare. Tanto la Russia quanto la Cina non sono baluardi del socialismo (se mai lo sono stati) o esportatori di una rivoluzione anticapitalista. Forse, paradossalmente, la presenza di più soggetti potenzialmente egemoni in determinate ambiti regionali, aprirebbe una sorta di concorrenza all’interno della globalizzazione. Potrebbe esserci una sorta di corsa al ribasso per sancire nuove alleanze o forse tutti questi soggetti potrebbero finire per realizzare un grande cartello globale. Del resto come recita quel vecchio detto “se non puoi sconfiggerli fatteli amici”.

Note

[1] Il documento è consultabile al seguente url:  http://projects.mcrit.com/foresightlibrary/docs/scenarios/brics_dream.pdf 

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