L’URGENZA DELLA CONRICERCA (III)

Per un nuovo progetto “malanovista”

I dati, raccogliere, elaborare i dati. Ma cosa sono i dati? I dati sono spesso ben definiti come delle orme, delle tracce lasciate dagli eventi in qualche modo accaduti. Non necessariamente dati scritti, possono essere scritti, visivi, sonori, ecc., multimediali. Ed attraverso di questi noi possiamo ricostruire e comprendere qualcosa di quegli eventi oscuri; noi perché allora appunto i dati sono piuttosto “passivi”, inerti, zitti. Dicono solo se noi li facciamo parlare … Innanzitutto non è vero che sono necessariamente solo “quantitativi”, nient’affatto. L’informazione invece che cos’è, in verità? Rispondo così: l’informazione è una differenza che crea una differenza. […] Cosicché le informazioni vere (in dimensione cognitiva) ristrutturano sempre il sapere e la conoscenza, li modificano: in genere, ripeto, li accrescono e li fondano meglio, danno loro più potenza anche rappresentativa (oltre che descrittiva, esplicativa, previsiva, normativa, simulativa, ecc.). Come il sapere, anche la conoscenza è sempre un sistema di informazioni in qualche modo strutturate e quindi elaborate che ora vengono rielaborate di nuovo. […] Talora però le informazioni (selezionate, per certa loro qualità) sembrano agire trasformando la realtà medesima anche direttamente; essere direttamente operative (R. Alquati, Per fare conricerca, Calusca edizioni, 1993, p. 31-35).

Qui sta uno dei focus della nostra inchiesta. Mai come oggi, nella radicalità dell’informatizzazione dell’informazione, i dati elaborati macchinicamente riescono a creare mondi. Non solo, come affermava Carmelo Bene citando Derrida, “l’informazione informa i fatti e non sui fatti; non conta la veridicità di un fatto accaduto ma conta il convincimento che il messaggero di questo fatto riesce a trasmettere; i fatti non contano”. O citando Nietzsche, si può arguire che non vi sono fatti ma solo interpretazioni. Il web attraverso le sue applicazioni social, riesce oggi ad archiviare immagini e quantità di dati un tempo inimmaginabile, che nel contempo può anche manipolare e utilizzare in funzione di una loro mercificazione. I dati sono merce, quella merce che noi utenti consegniamo nelle mani dei fornitori di servizi on-line e che loro rielaborano e vendono a terze parti per scopi commerciali e di profiling dei consumatori. Ma non solo elaborano, anche creano. Viviamo di fatto già nel ‘metaverso’, in una realtà mediata dagli elaboratori, dove sono possibili infiniti punti di vista sul reale; punti di vista più reali dello stesso reale.

Da qui potremmo azzardare la distinzione tra il “reale reale”, ovvero il pezzo quotidiano della storia intorno a noi e che viviamo in prima persona, dal “reale elaborato” che spesso si sostituisce al “reale reale” nella nostra percezione quotidiana. Viviamo come in una bolla. Chiusi nel “mondo di dentro” delle nostre case fornite di ogni mezzo comunicativo che ci dà la percezione di conoscere perfettamente il mondo di fuori. Crediamo di conoscere meglio la situazione di una famiglia ucraina nel Donbass che le problematiche che affliggono i nostri vicini di casa. Ne siamo così convinti da riuscire a discettare perfettamente e compiutamente (almeno lo pensiamo, ritenendolo “reale reale”) di tematiche anche distanti tra loro e nella maniera che riteniamo la più informata. Spaziamo dalla geopolitica alla virologia, dai moduli calcistici all’etologia, dalla psicologia allo sciamanesimo. In realtà siamo inondati da un flusso costante di informazioni, talmente grande da rimanere assolutamente disinformati. 

Nella moderna Società dell’informazione, il flusso delle informazioni scorre ad alta velocità da diverse sorgenti (new media), senza lasciare all’individuo il tempo e lo spazio di riflessione per comprenderle ed analizzarle. Questo non permette che la percezione dell’informazioni all’interno dell’individuo ricevente si relazioni e modifichi il proprio sistema di conoscenza. […] L’aumento di estensione e di quantità dell’informazione si tramuta in una perdita di profondità. Questa situazione è amplificata dal fatto che, essendo presenti una elevata quantità di fonti emittenti non sempre accurate e veritiere, frequentemente la comunicazione veicola disinformazione, ossia informazione approssimata, distorta o falsa (fake news). In tal senso emergono i due maggiori effetti pericolosi della moderna Società dell’informazione,  che sono da un lato, il Sovraccarico di informazione e, dall’altro, il fenomeno della Disinformazione o Informazione approssimata. (M. Morcellini M. e G.B. Fatelli, 1999). Questo fenomeno di Sovraccarico di informazione genera effetti molto simili a quelli del rumore, che si traducono in un disorientamento cognitivo, in cui l’individuo attenua la propria capacità di percezione e riduce la soglia di attenzione. In altri termini accade che l’aumento del flusso di informazioni conduce ad una difficoltà dell’individuo ad elaborarle in maniera critica al fine di analizzarle e compararle al proprio modello razionale. (U. Volli, 1995) Tale riduzione della capacità di analisi critica dell’individuo, oramai disattento è aggravata da una mancata formazione dell’uomo contemporaneo alla verifica della attendibilità delle fonti e quindi della veridicità delle informazioni (quali rappresentazioni della realtà). (H. Darbishire ed altri, 1999) Il risultato è che l’uomo contemporaneo, immesso in un flusso di informazioni che non ha il tempo e i mezzi di assimilare ed analizzare, rischia di ritrovarsi in uno stato di accettazione passiva e di incapacità ad accrescere la propria conoscenza, per mancanza di un modello di riferimento in cui inserirle e con cui relazionale. Si instaura così una profonda divergenza tra l’evoluzione tecnologica dei mezzi di comunicazione (new media) e la reale capacità sociale dell’uomo di evolvere la propria capacità conoscitiva (V. De Luca, R. Ruggiero, A. Lombardi, G. Coppola, V. Bonaventura, S. Francese, S. Dimare, A. Dionisio, M. Illario, Informazione come conoscenza, Orione, n.15, dicembre 2018).

Il meccanismo dei social, che hanno praticamente preso il posto dei quotidiani e delle trasmissioni di approfondimento, è quello di offrirci esattamente quelle informazioni che dall’elaborazione dei nostri personali big data (profilatura) l’algoritmo ritiene più affini al nostro sentiment, alla nostra percezione delle cose. Raggiunti dalle opinioni di chi sostanzialmente la pensa come noi, ci (in)formiamo nel “reale elaborato” che scambiamo con il “reale reale”. Questa distonia spesso produce importanti sviste in alcuni comunicati politici che sembrerebbero informarci sulla presa del Palazzo d’Inverno derivante da certe manifestazioni che in realtà non hanno alcun eco al di fuori della bolla mediatica dei social. Rivoluzione conclamata all’interno del “reale elaborato” che non ha appendici di rilievo nel “reale reale”. Sviluppando il concetto, però, crediamo sia possibile che avvenga anche il contrario: ‘eventi’ virali nel “reale elaborato” possono sicuramente portare cambiamenti significativi nella percezione del “reale reale”, nelle nostre vite quotidiane. Pensiamo solo un attimo al ruolo e all’efficacia di questi nuovi comunicatori social chiamati “Influencer”.

Così, quando i media ci bombardano con notizie relative agli sbarchi di clandestini, crediamo che stia avvenendo una vera colonizzazione al contrario, che l’Africa intera si stia riversando alle nostre latitudini. Inutile snocciolare dati reali e fornire analisi lucide, il reale elaborato si è sostituito producendo una nuova realtà dei fatti. La Bestia di Salvini, le società di comunicazione che seguono di pari passo i leader politici suggerendogli le battute, i tweet ed i post, lo sbarco dei capi di partito su Tik Tok ci dicono quali mezzi oggi sono più efficaci per creare una “coscienza” nella popolazione emarginata ad utenza. Certo possiamo ancora agire il “reale reale” con le nostre antiche prassi fatte di striscioni e manifestazioni, ma, purtroppo, tali pratiche risultano spesso inefficaci visto che spesso non passano dai media mainstream; oggi non passare dai nuovi media significa semplicemente non esistere.

È la piazza, ancora oggi il luogo dell’aggregazione degli umani? Sono i luoghi reali a realizzare la socialità oppure le relazioni interumane si sono spostate nello spazio e nel tempo virtuale? Cinematografo o Tv 70 pollici? Comizio o Tik Tok? Dibattito nel centro sociale o nella chat di whats app? Lavoro in azienda o smart working da casa?

Molto di più, sembrerebbe. Riesce a “divenire realtà” un video di pochi minuti (diventando “virale” sui social) che tante manifestazioni di protesta magari numericamente sgonfie. Questo meccanismo informativo è stato empiricamente colto da spezzoni di realtà di lotta che così lo sfruttano dando vita ad una sorta di teatralizzazione del conflitto; in alcuni casi utile a raggiungere degli avanzamenti parziali, in altri casi finalizzato solamente all’accumulazione di notorietà per il medesimo gruppo. Rimane il fatto che spessissimo il “reale elaborato” influisce maggiormente nella vita quotidiana del “reale reale”. Basta analizzare in questo momento, solo a titolo di esempio e superficialmente, la coscienza dei lavoratori, penultimi nella scala sociale, armata contro gli ultimi, i percettori del reddito di cittadinanza.

Il “reale reale” dovrebbe portare a lottare insieme, ultimi e penultimi, contro chi è il responsabile di questa loro classifica vitale. Il “reale elaborato” permette invece ai primi in classifica di assurgere al ruolo mitico di coloro che ce l’hanno fatta, chi partendo da un garage, chi dalla propria stanzetta del college, chi da una periferia del mondo, popolando i sogni di chi vorrebbe farcela; sono di fatto intoccabili. Le frustrazioni dei penultimi, allora, vengono elaborate nello scontro con gli ultimi e di questi con gli ultimissimi appena sbarcati sulle coste siciliane o calabre proprio allo scopo di rubargli il lavoro, la casa, il partner e il sogno stesso di potercela fare.

Da qui nasce un ulteriore interrogativo: disponiamo oggi degli strumenti concettuali adeguati per analizzare ed agire politicamente in questo contesto? Per esempio: le categorie marxiane di sussunzione formale e reale possono funzionare immutabilmente in un mondo in cui soggetti, procedure, relazioni e contenuti cambiano natura? […] Su quali entità percettive le tecnologie diffuse agiscono mutando i quadri di vita? Quali sono le conseguenze sulle soggettività? […] L’ala più “progressista” del sistema intuisce che per aumentare i livelli di rendita bisogna far leva su un tipo di cooperazione molto diversa da quella della fabbrica fordista. La fabbrica cognitiva è la metropoli e, nello spazio-tempo della metropoli, diverse sono le macchine, diversi sono i lavoratori (G. Griziotti, Neurocapitalismo. Mediazioni tecnologiche e linee di fuga, Mimesis, 2016, p. 21).

Ribaltando questo ragionamento sul tema proprio della nostra inchiesta non possiamo non soffermarci su alcuni connotati spazio-temporali della quotidianità dei lavoratori della conoscenza e degli studenti.

Prima dell’introduzione massiva delle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) la gran parte del tempo utilizzato per la formazione e la comunicazione era speso nell’ambito del “reale reale”. Le cosiddette agenzie formative erano quasi esclusivamente la famiglia e la scuola che per altro tendevano a convergere e integrarsi vicendevolmente. Il padre, la madre e la maestra erano le autorità, spesso autoritarie, che dettavano la linea pedagogica. L’altra agenzia formativa, spesso antagonistica alla precedente, era il gruppo dei pari che si incontravano nelle piazze dei paesi, nelle sale giochi della città o tra i campi verdi con l’alternativa della saracinesca chiusa in città che si trasformavano in campi da calcio. L’interazione tra diverse umanità era sicuramente maggioritaria. Il trasferimento dell’informazione avveniva tra bocca ed orecchio.

Oggi, (in)formazione e comunicazione sono sempre più mediate dalla tecnologia informatica. Le app, il web, le piattaforme per le riunioni online, le chat hanno trasformato le modalità comunicative e relazionali. Se prima della rivoluzione informatica la maggior parte del tempo dedicato alla formazione si passava in un aula, oggi è maggioritario il tempo passato davanti a Youtube, Tik Tok o Instagram. Se prima la famiglia delegava la formazione dei figli alla scuola, oggi prevalentemente abbandona i pargoli nelle mani delle fonti della comunicazione informatizzata che funge da intrattenimento, educatore e babysitting. Questo, pensiamo, possa aver di molto contribuito ad aumentare il peso ed il potere dei mass media e dei social nella creazione della coscienza collettiva delle nuove generazioni.

Da uno scambio di battute che abbiamo avuto con un professore universitario si evince che il trait d’union tra docente e discente non sono più gli esempi, le battute tratte dai film o dai romanzi ma provengono direttamente dalle serie Netflix: “mi sono dovuto mettere a guardare tutte le serie per riuscire a comunicare con le nuove generazioni di studenti che disconoscono del tutto, ad esempio, i film che hanno affascinato la nostra generazione”. Tutto ciò, secondo un’insegnante delle scuole superiori, ha influito anche sulle abitudine ed i passatempi di un tempo: “quando ero giovane nel mio piccolo paese passavo il tempo delle lunghe estati leggendo romanzi, specialmente quelli degli autori russi. Diventata docente ho trovato anche in altri piccoli paesi del nord della Calabria la consuetudine dei ragazzi, per passare il tempo, di leggere tutte le storie contenute nei libri di testo e nelle antologie. Dovevo portare, per fare lezione, altri brani fotocopiati. Oggi invece mi accorgo che per molti, espletati i compiti casalinghi, la lettura viene completamente abbandonata a vantaggio dei contenuti multimediali fruibili dagli smartphone”.

Il nostro tempo pandemico ha visto anche mutare molto rapidamente i tradizionali scenari spazio-temporali di formazione e lavoro. L’obbligatorietà della reclusione casalinga ha spostato tutto sulle piattaforme informatiche. Le aule sono state sostituite dalle webcam così come gli uffici si sono sempre più ridotti fino a coincidere con il personal computer. Anche le assemblee politiche sono traslocate sul web così come molte delle riunioni scolastiche obbligatorie per gli insegnanti. Questi cambiamenti spazio-temporali hanno certamente sviluppato trasformazioni nelle abitudini umane, molto probabilmente accelerando uno scenario che sarebbe arrivato comunque magari solo differito nel tempo.

Tutto queste “metamorfosi” post-pandemiche vogliamo inchiestare, con i suoi influssi sull’utilizzo massivo delle tecnologie informatiche e con la rete di internet sempre più luogo, metaverso, che assomma in sé spazio e tempo utili sia per la produzione che per la riproduzione di un’umanità sempre più post-umana, liquida e forse sempre più etero-cosciente.

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