NUMERI E STORIE DELLA TORTURA NELLE CARCERI ITALIANE

di Sandra Berardi*

Cos’è la tortura? Generalmente indica qualsiasi sevizia o atto di crudeltà finalizzata ad ottenere una confessione o altra dichiarazione utile; o anche fine a se stessa, per mera brutalità, o come forma legale di pena corporale; ma la tortura indica anche qualsiasi forma di coercizione, anche solo morale, avente gli stessi scopi.

Se fino a qualche secolo fa la tortura era contemplata tra gli strumenti legislativi dei singoli stati, sul finire del secolo scorso, nel 1987, venne messa definitivamente al bando, almeno negli intenti, attraverso la sottoscrizione della Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti.

In Italia l’introduzione del reato di tortura è avvenuto nel 2017, con ben 30 anni di ritardo dalla ratifica della Convenzione Onu. Oltre al tortuoso iter per l’introduzione di questo reato, le discrepanze tra le indicazioni della Convenzione e la legge n. 110/17, disciplinate agli artt. 613 bis e 613 ter del C.P., sono molteplici e, di fatto, rendono difficilmente dimostrabile il reato di tortura per come inteso nella Convezione.

Con l’art. 613 bis[1] il legislatore italiano si è ben guardato dall’inquadrare i destinatari dell’azione penale, ovvero i pubblici ufficiali, annacquando le disposizioni che specificamente ispirano la Convenzione contro la tortura, esplicitate inequivocabilmente all’art.1 della stessa: “Ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate.

A ben vedere nella Convenzione non c’è distinzione tra tortura fisica e/o psichica comunque inflitta a chiunque, e per qualsiasi motivo, da parte del pubblico ufficiale mentre, in Italia, il danno psichico derivante da trattamenti vessatori inumani, degradanti e crudeli deve essere “verificabile”. Ergo, se i segni della tortura non sono visibili e verificabili, di fatto è, e sarà, molto difficile riuscire a dimostrare il danno subito. Inoltre, le condotte vessatorie, per potersi configurare il reato di tortura, devono essere reiterate. Come dire che un assassino non è poi tanto assassino se uccide una sola volta!

Il rischio che alcuni procedimenti in corso per violenze e torture nelle carceri italiane da parte di pubblici ufficiali ai danni di uno o più detenuti possano concludersi nei diversi gradi di giudizio con assoluzioni, o sanzioni irrisorie, è più che concreto. Ancor più alcuni casi, sebbene ampiamente documentati e da più parti denunciati, difficilmente rientreranno nel novero dei casi di tortura per come configurati dalla normativa vigente.

Ad oggi i procedimenti aperti per tortura, e le prime sentenze di condanna, sono relativamente pochi rispetto alle denunce fatte da detenuti, familiari, associazioni e alcuni garanti, e si riferiscono per lo più a casi di violenze fisiche balzate agli onori delle cronache come quelle riferite alle carceri di San Gimignano, Milano, Torino, Ferrara, Monza, Santa Maria Capua Vetere, Foggia, Modena, per citarne qualcuna. Ma molte storie di violenza che si consumano nelle sezioni delle carceri italiane, soprattutto psicologiche, non vengono neanche denunciate e, pertanto, sono destinate all’oblio.

Dei violenti pestaggi avvenuti nelle carceri di San Gimignano nel 2018 e in quello di Santa Maria Capua Vetere nel 2020, sono state diffuse le immagini riprese dalle telecamere dei circuiti interni di videosorveglianza; negli altri casi no: telecamere non funzionanti, danni improvvisi agli impianti oppure, come nel caso di Modena durante la strage del 9 marzo 2020, le telecamere “ufficialmente” sono andate distrutte durante le rivolte e pertanto, in assenza di “prove”, viene disposta l’archiviazione per 8 dei 9 morti di Modena.

In assenza di immagini utili a far comprendere la sistematicità della violenza fisica e psicologica che avviene nelle carceri, tocca ripescare nella memoria delle tante storie incrociate e denunciate in questi anni e ormai finite nei labirinti degli archivi ministeriali o della nostra memoria; tocca cercare nelle conferme di lettura alle email che la nostra associazione invia agli “enti preposti alla cura e alla tutela dei detenuti” che arrivano a mesi, a volte anni, di distanza; segno questo di mancanza assoluta di rispetto verso quella parte di umanità loro affidata.

Voghera, 2016

“Carmelo T. proveniva da un altro isolamento totale, quello del 41bis dove, probabilmente, avrà cominciato ad avere i primi sintomi di instabilità psichica. Poi altri 5 lunghissimi anni, dal 2011 al 2016, in cui ha vissuto in isolamento totale, affetto da gravissime patologie psichiche, in condizioni di assoluto degrado, senza assistenza sanitaria adeguata e senza incontrare anima viva al di fuori degli agenti e (forse) qualche medico, ma ne dubitiamo”.

La descrizione data di quest’uomo, e delle condizioni in cui era tenuto, lasciavano immaginare un uomo delle caverne: nudo, barba lunghissima, sporco, con gravi problemi psichici e privo di contatti umani. Chi ci avvisò ci mise anche in guardia: «attenti perché se vi mettete su questa storia vi tirerete addosso i servizi». Con la massima discrezione abbiamo contattato il garante ed anche un parlamentare (Vittorio Ferraresi) perché questa storia doveva essere verificata e denunciata. (…)

Il parlamentare non intervenne, in compenso, probabilmente facendo qualche ricerca, mise la pulce nell’orecchio all’amministrazione penitenziaria permettendogli di “correre ai ripari” onde evitare che le condizioni di C.T. venissero riscontrate oggettivamente da qualche altro parlamentare o dal garante stesso. Il garante invece, per come si evince anche dalla relazione, è arrivato “tardi”, C.T. era stato trasferito, guarda caso il giorno prima, per “osservazione psichiatrica, fino a miglioramento del quadro clinico” presso il Lorusso-Cutugno di Torino.

Detenuto C.T. trasferito e cartella clinica penitenziaria magicamente cancellata dal personale di Voghera il giorno stesso del trasferimento, quasi a voler cancellare ogni traccia della sua permanenza. Inoltre, l’autorità del garante è stata completamente ignorata, quasi Voghera avesse un regolamento e delle norme a sé rispetto al resto del territorio italiano.

Rebibbia, 2018

“Il sig. B. ha tre tumori in testa e diverse altre patologie (pancreatite, riversamento pleurico, infarto intestinale, epatite b) ha subito ben 19 interventi chirurgici ed è in attesa di subirne altri 4. Da 15 anni è detenuto ininterrottamente in 41bis; il magistrato di sorveglianza, a seguito di perizia del CTU, ha dichiarato l’incompatibilità carceraria ma non viene scarcerato…”

San Gimignano, 2018

“Ci hanno fatto assistere a un vero e proprio pestaggio”, racconta in una lettera, “il detenuto veniva spostato da un’estremità dalla sezione all’altra a calci e pugni, cioè intendo che non è che hanno provato magari con un piccolo atto di forza magari con qualche spintone visto che il detenuto psicologicamente e fisicamente non stava affatto bene, peserà intorno ai 45 chilogrammi”.

Nella richiesta di custodia cautelare, invece, abbiamo la descrizione e la trascrizione delle riprese audio-video confluite nel dispositivo:

«- gettando il detenuto a terra, circondandolo e colpendolo, da parte di tutti i presenti, con calci e pugni;

– minacciando ed ingiuriando l’A., che gemeva e gridava per la violenza che stava ricevendo, ed ingiuriandolo con frasi del seguente tenore: “Figlio di puttana!”, “Perché non te ne torni al tuo paese!”; “Non ti muovere o ti strangolo!” “Ti ammazzo!” e al tempo stesso urlando contro tutti i detenuti presenti nel reparto: “infami, pezzi di merda, vi facciamo vedere chi comanda a San Gimignano!”.

– rialzandolo da terra e continuando a spintonarlo per farlo camminare per poi, di nuovo, gettarlo a terra;

– il V. e il S. immobilizzandolo mentre si trovava a terra, tenendolo rispettivamente per il braccio e per collo;

– lo S. montandogli addosso con il suo peso e ponendogli un ginocchio sull’addome;

– rialzandolo e togliendogli i pantaloni e iniziando a trascinarlo, quando ormai era pressoché privo di sensi, mentre il S. lo afferrava nuovamente per la gola, per poi trascinarlo nella nuova cella».

Per i fatti di San Gimignano 15 agenti e un medico sono stati imputati per tortura, abuso d’ufficio, falso ideologico, lesioni e altro. 10 agenti sono stati condannati in primo grado con rito abbreviato così come il medico. Per 5 agenti è ancora in corso il processo. All’ultima udienza è stata sentita una assistente di polizia penitenziaria e dalle dichiarazioni rese è stata iscritta anche lei nel registro degli indagati. Tutti sono stati rinviati a giudizio: «perché, abusando dei poteri inerenti alla funzione di ispettori, agenti e assistenti, effettivi presso il reparto di Polizia penitenziaria del Carcere di San Gimignano, riunendosi in 15 unità, colpendolo con calci, pugni e comunque attraverso atti di aggressione fisica, cagionavano al detenuto in isolamento A. M. lesioni personali, consistite quantomeno in una ferita lacero contusa di 3 cm all’occhio sinistro. Con le aggravanti:

– dell’aver commesso il fatto da parte di più persone riunite (art. 585, comma 1, ultima parte c.p.);

– dell’aver commesso il fatto con crudeltà;

– dell’aver abusato dei poteri e in violazione dei doveri inerenti alla qualità di pubblico ufficiale;

– dell’aver profittato di circostanze tali da ostacolare la pubblica e privata difesa, trattandosi di soggetto detenuto in isolamento».

Milano (Opera), 2020

“Diversi familiari hanno segnalano violenze, abusi e maltrattamenti nei confronti dei propri cari detenuti, puniti per la rivolta senza che vi avessero preso parte”.

“Nei giorni scorsi i familiari ci hanno segnalato che oltre alla mancanza di risposte sull’istanza presentata, non ha ancora iniziato ad effettuare la chemioterapia a distanza di tre mesi dall’intervento.”

Foggia, 2020[2]

Mio figlio, detenuto fino al 12/03 presso la casa circondariale di Foggia durante la chiamata, mi ha riferito quanto segue: a seguito delle manifestazioni di protesta messe in atto da parte di numerosi detenuti impauriti a causa dell’allarme Coronavirus, il giorno della rivolta sono entrati in n.5 o 6, incappucciati e con manganelli. I detenuti sono stati massacrati di botte, trasferiti solo con ciabatte e pigiama e tenuti in isolamento per i successivi 6/7 giorni. Solo dopo una settimana i detenuti hanno ricevuto i loro oggetti personali”.

12/03/2020, durante la notte, mentre si trovava presso la casa circondariale di Foggia, le guardie esterne sono entrate in cella e hanno pestato i detenuti. Successivamente al trasferimento non ho più ricevuto notizie. Dopo dieci giorni, durante una chiamata, mio marito mi ha riferito che ci sono state altre violenze all’interno del carcere di Viterbo”.

Durante la telefonata con mio marito ho avvertito la sua sofferenza, accusava dolori alle costole e mi ha riferito di aver sbattuto da qualche parte. Lui è invalido al 100% e non potrebbe mai muoversi con violenza dal momento che è in carrozzina. Sono certa che lui non può parlare liberamente. Infatti, successivamente mi ha riferito che la prima lettera che avrebbe voluto inviarmi dopo il massacro successo a Foggia gli è stata strappata”.

Oltre allo spavento anche le mazzate mi sono preso dalla polizia, in questi giorni ho avuto un attacco di ansia, la notte non dormo più, ho tanta paura, io che non ho fatto niente le ho prese. Ci hanno sequestrato tutti i viveri, siamo stati giorni senza caffè, sigarette, detersivi, cibo. Ci hanno levato tutto!”.

Voghera, 2020

I detenuti chiedevano in maniera pacifica di poter avere contatti con le proprie famiglie dato che avevano saputo che un detenuto aveva contratto il coronavirus, dopo diverse negazioni gli agenti penitenziari si sono accaniti sui detenuti colpendoli con i manganelli”.

Ieri sera sono saliti un grosso numero di agenti penitenziari provvisti di manganelli ed hanno iniziato ad inveire contro di noi detenuti che eravamo spaventati in quanto avevano portato via 4 detenuti con la febbre. Abbiamo richiesto di poter effettuare il tampone per riscontrare un’eventuale positività al covid-19. Si sono accaniti 4 agenti penitenziari su di me con i manganelli, ho ricevuto percosse su tutto il corpo”.

Modena, 2020

Per tutto il pomeriggio abbiamo sentito urla disperate fuori dalle mura di cinta, ragazzi che chiedevano aiuto e poi urla agghiaccianti: è morto! è morto”.

“Alle 9.02 del 9 marzo, su “Il Dubbio”, dal primo aggiornamento sulla notte di rivolte si teme che i morti potrebbero essere 6, o più. La causa della morte che già ipotizzano le autorità è “overdose di metadone”. Nelle ore a seguire, dalla macabra conta serale sono stati “scaricati” 9 detenuti morti “perlopiù di metadone e altro” durante le rivolte. La stessa sera altri 4 vengono scaricati dalla conta di Rieti, Bologna, Ancona e Alessandria. Ma le testimonianze raccolte in questi mesi[3], nonostante le archiviazioni[4], smentiscono la ricostruzione sommaria fornita dall’apparato penitenziario.

Vengono narrati (dai 5 compagni di Sasà Piscitelli Cuomo per la cui morte hanno presentato denuncia) anche altri elementi di vessazioni (celle con vetri rotti, consegna di coperte bagnate, mancata consegna del vestiario personale, altro)”.

Rieti, 2020

“Trascinavano i cadaveri nei sacchi, come immondizia”. Una lettera racconta i dettagli raccapriccianti sulla repressione della sommossa del 9 marzo: “Ci hanno lasciato morire. Io provavo a gridare, a chiedere aiuto. Invano. La gente veniva portata via senza denti, o svenuta dalle percosse”. Il provveditore Cantone: “Testo da valutare con cautela. Chi sa denunci”. “Calci e schiaffi e manganellate a freddo, a rivolta finita. Insulti. Celle allagate dagli scarichi dei bagni. Assistenza sanitaria negata o ritardata”. E tre morti, “abbandonati come la spazzatura”. Una lettera uscita dal carcere di Rieti in estate (resa ora pubblica dal blog di area anarchico-libertaria Oltreilponte.noblogs.org) aggiunge una drammatica testimonianza alle prime voci filtrate dalla casa circondariale, un’altra storiaccia di presunte violenze e di pesanti omissioni, tutte da verificare.

“Per noi che invece eravamo lì, nei giorni a seguire non è stato facile dopo aver portato via i cadaveri il giorno successivo, trascinati come immondizia in un sacco, e ciò lo dico perché l’ho visto con i miei occhi dalla cella, sono saliti i celerini, le squadrette carcerarie. Sono entrati cella per cella, ci hanno spogliato chi più chi meno e ci hanno fatto uscire con la forza, messi divisi in delle stanze e uno alla volta passavamo per un corridoio di sbirri che ci prendevano a calci, schiaffi e manganellate; per i più sfortunati tutto ciò è durato quasi una settimana tra perquisizioni, botte, parolacce, ci dicevano “merde, testa bassa!” “vermi” e quando l’alzavi per dispetto venivi colpito ancora più forte”.

Parma, 2021

“Dalle note della cartella clinica legale redatta dal personale medico e infermieristico in servizio al carcere di Parma emergono particolari raccapriccianti sulle condizioni di detenzione del signor Iannazzo: completamente abbandonato a sé stesso e in condizioni disumane, nonostante la gravità del suo stato. Spesso nudo e sporco delle proprie feci che espletava sul pavimento della cella; le terapie che non venivano assunte perché lo stesso era incapace di compiere qualsiasi azione[5].

I casi da narrare e approfondire sarebbero molti di più e credo che il dibattito sulla tortura dovrebbe essere riaperto al fine di arrivare a contemplare tutte le forme di tortura che vengono perpetrate sulle persone private della libertà, o comunque in situazione di minorata difesa, da parte di pubblici ufficiali (penso ai centri di identificazione per migranti, le rsa per anziani, le caserme). Come infatti non ritenere tortura quanto inflitto al sig. Carmelo T. nel carcere di Voghera o al sig. Vincenzino Iannazzo nel carcere di Parma in regime di 41 bis? O quelle del 41 bis in se stesse, a partire dall’isolamento totale a finire alle ulteriori privazioni ordinamentali (a cui si aggiungono quelle arbitrarie, degne della peggior dittatura) più volte stigmatizzate anche dagli organismi internazionali quali torture?

Ma le leggi da sole non bastano. È necessario che il carcere, fin quando esisterà, diventi trasparente, accessibile a tutti i difensori dei diritti umani oltre che ai garanti, sì da poter monitorare costantemente il rispetto dei diritti delle persone private della libertà.

Ne avrebbero il potere/dovere i parlamentari ma, purtroppo, parlamentari che ispezionano le carceri sono ormai merce rara; e negli ultimi anni il carcere è, per dirla con Zerocalcare, “uno dei grossi rimossi nella nostra società”[6] e dall’azione politica parlamentare, aggiungo io.

*Associazione Yairaiha Onlus

NOTE:

[1] Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell’ergastolo.

[2] D. Aliprandi, «A Foggia mio figlio e gli altri detenuti picchiati e trasferiti dopo la rivolta», Il Dubbio, 1 aprile 2020. L’articolo è consultabile al seguente url: https://www.ildubbio.news/2020/03/28/foggia-mio-figlio-e-gli-altri-detenuti-picchiati-e-trasferiti-dopo-la-rivolta/.

[3] M.E. Scandaliato, Spotlight, RaiPlay, settembre 2021. La video-inchiesta è visionabile al seguente url: https://www.raiplay.it/video/2021/12/Spotlight—Anatomia-di-una-rivolta-Inchiesta-sui-9-morti-nel-carcere-SantAnna-di-Modena-Prima-parte-9097c1d3-92c2-42a1-948f-7cd9e435f713.html

[4] Comitati verità e giustizia per i morti del Sant’Anna, (a cure del), 8 marzo 2020. Dossier sulla strage al carcere Sant’Anna. Il dossier è consultabile su Google Drive.

[5] D. Aliprandi, L’agonia di Iannazzo: lasciato al 41bis nonostante fosse gravissimi, Il Dubbio, 2 dicembre 2021. L’articolo è consultabile al seguente url:https://www.ildubbio.news/2021/12/02/lagonia-di-iannazzo-lasciato-al-41bis-nonostante-fosse-gravissimo/.

[6] Zerocalcare, Il carcere è uno dei grandi rimorsi della nostra società, Mezzorainpiù, 12 dicembre 2021. La video-intervista può essere visionata al seguente url: https://www.youtube.com/watch?v=cbO5DcLlWS4. Nel titolo del video c’è un errore di battitura: “rimorsi” anziché “rimossi”.

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