“CARU TUTTU” E ALTRE ABERRAZIONI GRAMMATICALI

La spinosa questione dell’opacizzazione delle desinenze maschili e femminili è stata finalmente affrontata dall’Accademia della Crusca (qui l’articolo pubblicato da Paolo D’Achille il 24 settembre scorso sul sito della gloriosa istituzione). La riflessione parte dal presupposto, innegabile a nostro avviso, che il genere grammaticale è cosa del tutto diversa dal genere naturale. L’identità di genere, sin dagli anni Settanta su impulso dei movimenti femministi, pone una distinzione di ordine culturale rispetto alla sfera biologica, ma ciò non consente di sovrapporre il genere come categoria grammaticale al genere naturale e ciò non vale soltanto per la lingua italiana, nella quale, pure, non sempre nomi femminili indicano uomini, così come nomi maschili, donne; senza considerare i nomi di genere comune come cantante, preside, consorte, coniuge e altri.

L’italiano non dispone di elementi morfologici utili a contrassegnare un genere diverso dal maschile e dal femminile e, d’altro canto, il neutro, né in greco, né in latino, si riferisce, eccetto che in rarissimi casi, a esseri umani. La medesima cosa avviene in inglese con il pronome neutro it. Se si passa al plurale, è appena il caso di ricordare che nell’italiano standard il maschile è considerato genere grammaticale non marcato. Caso che, se si tiene conto della distinzione iniziale tra genere grammaticale e genere naturale, non dovrebbe mai costituire un problema.

D’altronde − come precisa D’Achille − la lingua italiana non è un sistema costruito a tavolino e non si capisce per quale motivo si dovrebbe sottostare a una riforma ortografica imposta artificialmente (o, ma è lo stesso, per indirizzo politico) dall’alto e slegata da una prassi effettivamente rispettosa delle questioni di genere. Inoltre, chi parla o scrive, facendo riferimento a un sistema di regole condiviso, deve far sì che chi ascolta o legge possa capire e questo non consente di prendersi ogni forma di libertà nei confronti della norma linguistica attestata. Essa non prescrive, certo, e tuttavia non può neanche essere considerata carta straccia, anche perché autorizza diverse forme inclusive per le quali si rimanda direttamente all’articolo dell’Accademia della Crusca.

Insomma, non c’è alcun bisogno di creare sconcerto e incomprensione forzando all’inverosimile il sistema linguistico con espressioni come caru tuttu o con segni grafici quali l’asterisco o lo schwa. D’Achille conclude invitando, quanto mai opportunamente, a evitare ogni forma di sessismo linguistico, cercando, nondimeno, di non mettere la lingua al servizio dell’ideologia. Si prenda atto del fatto che l’italiano ha due generi grammaticali e che sesso biologico e identità di genere sono cose ben distinte dal genere grammaticale: un richiamo alla sostanza, fondato sulla correlazione stretta tra intenzione e forma, che ci sentiamo di condividere.

La redazione di Malanova

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