IL POMO D’ORO (PER LA GRANDE DISTRIBUZIONE)

Le catene di valore dell’agroalimentare da sempre fanno parlare di sé per la grossa sperequazione fra il valore delle derrate sul campo e quello dei prodotti esposti sui banchi vendita, siano essi freschi che trasformati. Un esempio tra tutti, assurto ad emblema dello sfruttamento, è quello dei pomodori. Su questo Milena Gabanelli ci restituisce plasticamente un quadro inquietante dell’intera filiera [1]. Un dato tra tutti appare chiaro ed è quello che ci parla dell’assurdità del modello economico oggi dominante. Secondo la giornalista il prezzo del pomodoro all’ingrosso per l’anno 2021 si attesta al Centro-Nord intorno ai 92€ alla tonnellata, ovvero 0,092 al Kg, mentre 115€/t al Centro-Sud [2] con una maggiorazione del 40% sul biologico. Circa 10 centesimi di euro per un kg di questa bacca della pianta della famiglia delle Solanacee.

Anche quest’anno, le imprese agricole non rientreranno dei costi di produzione. Mentre il mercato del pomodoro trasformato vede un incremento importante delle vendite e delle esportazioni con fatturati miliardari, alla base della filiera troviamo solo costi insostenibili – soprattutto per i piccoli produttori – un elevato tasso di sfruttamento con i braccianti in condizioni semi schiavistiche pagati una miseria e, recentemente, sottoposti al sistema del caporalato interno ai gruppi migranti che sta progressivamente sostituendo quello “autoctono”. I lauti profitti, ovviamente, sono appannaggio della Grande Distribuzione Organizzata.

Persino i trasformatori lavorano in perdita per il mercato nazionale mentre riescono in qualche modo a riequilibrare i bilanci grazie all’export sostenuto dalla fama che, fuori dai confini nazionali, ancora gode il made in Italy:

L’Italia è il terzo produttore di pomodoro fresco destinato alle conserve rappresentando, nel 2020, il 13% della produzione mondiale e il 53% di quella europea; il fatturato industriale ammonta a 3,5 miliardi di euro, di cui 1,8 provengono dalle esportazioni[3].

L’effetto pandemia ha generato l’azzeramento del mercato interno relativo al settore della ristorazione (che assorbe circa 1/3 del prodotto complessivo)  in parte bilanciato da un notevole  incremento dell’uso casalingo dei trasformati. Si è registrato anche un aumento dei prezzi al dettaglio nella grande e piccola distribuzione: In termini di prezzo medio i maggiori rincari su base annua sono stati osservati da passate (+5,7%), polpe (+5,1%), pelati e conserve di pomodorini (+4,4%). Se invece si confrontano le vendite della stagione commerciale 2019/2020 con quelle medie del triennio precedente si registra il calo dei pomodori pelati (-3,3% in quantità) e il forte incremento di sughi pronti (+10,7%) e passate (+7,6%) [4].

Il segmento delle conserve biologiche certificate di pomodoro rappresenta il 5% circa delle vendite al dettaglio: Le conserve di pomodoro sono è il prodotto ortofrutticolo che vanta il miglior saldo della bilancia commerciale italiana. L’andamento degli indicatori del commercio estero testimonia il primato di questo prodotto, infatti, nell’ultima campagna – da settembre 2019 ad agosto 2020 – il saldo dell’Italia ha sfiorato la quota record di 1,7 miliardi di euro grazie all’esportazione di conserve per 4,2 milioni di tonnellate, in peso equivalente di pomodoro fresco. Nonostante la pandemia abbia in qualche caso reso più difficoltosi gli scambi internazionali, nella campagna 2019/2020, il saldo della bilancia commerciale dell’Italia è cresciuto dell’8% rispetto al periodo precedente. Tale risultato è frutto dell’aumento degli introiti per le esportazioni (+8%) e della riduzione della spesa per le importazioni (-21%) [5].  

In un nostro recente articolo, abbiamo evidenziato come la pandemia abbia avuto particolari ricadute  sul modello organizzativo in agricoltura. A causa del lockdown e della chiusura delle frontiere, molti braccianti stagionali provenienti dall’Europa dell’Est non sono riusciti ad arrivare in Italia il che ha  reso problematico l’utilizzo di manodopera a nero. Questo ha velocizzato il processo di automazione già da tempo in essere: la manodopera nei campi è via via sostituita dalla raccolta meccanica (l’85% del totale), ma al sud continua ad essere schiavizzata, nonostante la legge contro il caporalato del 2016. Nella raccolta a mano vengono impiegati gli immigrati, africani, bulgari, romeni. Chi ha un regolare contratto guadagna circa 45 euro al giorno. Il grosso però lavora a cottimo e in nero: 4 euro per ogni cassone da 3 quintali. Se riesci a riempirne 20 puoi anche arrivare a 80 euro, ma poi devi dare al caporale dai 2 ai 5 euro per trasporto ai campi, dai 20 ai 50 centesimi per ogni cassone raccolto[6].

Il meccanismo con il quale si distribuisce il valore lungo la filiera del pomodoro ci indica un trasferimento enorme dal produttore al grande distributore. Valore che quindi non si distribuisce equamente, vi è invece un disequilibrio generato da posizioni di dominanti lungo la cosiddetta catena di valore (Value Chain). Queste posizioni sono ricoperte dai grossisti/distributori e dai grandi rivenditori. La filiera della grande distribuzione è una lunga catena basata sullo scarto; lo spreco alimentare in Italia ammonta a un valore di 12,5 miliardi di euro, secondo un dossier Coldiretti: riguarda principalmente il consumo ma tocca anche diversi passaggi lungo la filiera e per il 15 per cento coinvolge la distribuzione commerciale, per l’8 per cento nell’agricoltura e per il 2 per cento nella trasformazione.[7]

Costi che vengono ovviamente “distribuiti” agli acquirenti e ammortati sui fornitori, con alti prezzi consumo per frutta e verdura, acquistati a pochi centesimi al kg grazie all’azione quasi monopolista della GDO. Volumi di affari miliardari che significano la fame per contadini e braccianti, una certa tranquillità per le grandi aziende agricole meccanizzate soprattutto del Nord e l’arricchimento delle grandi piattaforme di commercializzazione al dettaglio. Grazie a questo meccanismo i 10 centesimi riconosciuti al produttore si trasformano nei  2 euro o più che spendiamo per acquistare il prodotto al supermercato.

Questo meccanismo tende ad escludere le piccole e piccolissime aziende che resistono solo in nicchie di mercato. La tendenza comunque rimane l’accorpamento e la costituzione di grandi aziende operanti su  vasti appezzamenti per beneficiare dei rapporti di scala. Anche per questo motivo, mentre aumenta la produzione, si registra la diminuzione degli operatori. Effetto degli accorpamenti ma anche dell’automazione.

La redazione di Malanova


note

[1] M. Gabanelli, F. Tortora, Come si distrugge l’eccellenza del Made in Italy, Corriere della Sera Dataroom, 22 giugno 2021, consultabile al seguente url: https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/pomodoro-come-si-distrugge-eccellenza-made-in-italy-sequestri-prezzi-ribasso-importazioni-cina-guadagno/ffb1731a-d378-11eb-8dcd-923bd7ac4a6d-va.shtml.

[2] L’informatore agrario, Pomodoro da industria al nord: prezzo a 92 euro, 25 febbraio 2021. L’articolo è consultabile al seguente url: https://www.informatoreagrario.it/filiere-produttive/orticoltura/attualita-mercati-orticoltura/pomodoro-da-industria-al-nord-prezzo-a-92-euro.

[3] Ismea, Rapporto Ortaggi – Pomodori da industria, dicembre 2020, consultabile al seguente url: https://www.agricultura.it/wp-content/uploads/2021/02/SCARICA-il-rapporto.pdf.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem.

[6] Ibidem.

[7] Coldiretti, Sprechi alimentari: Coldiretti, costano 12,5 mld, ok legge, 3 agosto 2016. L’articolo è consultabile al seguente url: https://www.coldiretti.it/economia/sprechi-alimentari-coldiretti-costano-125-mld-ok-legge

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