Gli ultimi dati di bilancio relativi ai colossi del commercio e della logistica risalgono al 2020, anno in cui Amazon ha fatturato 386 miliardi di dollari e il governo italiano ha approvato – per avere un parametro di ragguaglio – una manovra finanziaria da 32 miliardi di euro. Nel periodo 2018-2020 il fatturato di Amazon è aumentato del 65,77%, mentre il margine operativo lordo è passato da 27.762,00 a 48.150,00 milioni di dollari (+32,54%) con una crescita dell’Ebitda margin di 0,55 punti. Il risultato operativo è cresciuto del 84,36% a 22.899,00 milioni di dollari e l’utile di esercizio ha raggiunto quota 21.331,00 milioni di dollari, segnando un incremento pari al 112%.

Voci di bilancio2018var %2019var %2020
Totale Ricavi232.887,0020,45280.522,0037,62386.064,00
Margine Operativo Lordo27.762,0030,8636.330,0032,5448.150,00
Ebitda margin11,92—-12,95—-12,47
Risultato Operativo12.421,0017,0714.541,0057,4822.899,00
Ebit Margin5,33—-5,18—-5,93
Risultato Ante Imposte11.270,0023,8913.962,0073,2824.194,00
Ebt Margin4,84—-4,98—-6,27
Risultato Netto10.073,0015,0411.588,0084,0821.331,00
E-Margin4,33—-4,13—-5,53
PFN (Cassa)-17.755,00-146,098.184,00-100,09-7,00
Patrimonio Netto43.549,0042,5162.060,0050,5193.404,00
Capitale Investito25.794,00172,3370.244,0032,9693.397,00
ROE23,13—-18,67—-22,84
ROI48,16—-20,70—-24,52
Riepilogo dati macroeconomici di Amazon – periodo 2018-2020

In Italia il colosso economico del patron Bezos ha raggiunto un valore di fatturato pari a 81,4 miliardi corrispondenti a un utile di 5,2 miliardi di dollari. Diverse fonti confermano che Amazon possa contare su una manodopera notevole: 9.500 operatori a tempo indeterminato e circa 15.000 lavoratori con contratti a termine. Questi ultimi sono impiegati, come afferma lo stesso gruppo, nei periodi di picco degli ordinativi. È notizia recente, proveniente dagli Stati Uniti, che i driver del gruppo non hanno neanche il tempo di trovare un bagno pubblico e fermarsi per i propri bisogni fisiologici. Neanche la bottiglia di ordinanza pare sia offerta dal datore di lavoro. Analizzando i dati del 2019 apprendiamo che in Italia il gruppo ha consolidato un utile di 4,5 miliardi di euro, erogando un contributo fiscale complessivo di 234 milioni di euro. Facendo due rapidi conti, Amazon lascia al fisco italiano il 5,20% dei suoi utili, una percentuale di imposizione fiscale che sarebbe il sogno di ogni lavoratore italiano costretto a ben altri livelli di aliquote Irpef.

€ 4.500.000.000,00utili
€ 234.000.000,00imposte pagate
5,20%% imposizione sugli utili
23,00%Aliquota Irpef per persone fisiche fino a € 15.000,00
 Amazon – Utili e imposte pagate (2019)

Allargando per un momento lo sguardo oltre i confini italici, proprio in questi giorni a Bessemer, comune degli Stati Uniti situato nella contea di Jefferson dello Stato dell’Alabama, si è consumata una sfida storica tra sindacato e Amazon con implicazioni nazionali sul futuro del sindacato e delle relazioni industriali negli USA. I circa seimila lavoratori di un centro di distribuzione di Amazon, l’85% dei quali afroamericani, hanno votato se aderire o meno al sindacato. Quest’ultimo aveva sperato di puntare sulle pesanti condizioni di lavoro, raccogliendo denunce su carichi eccessivi e mancanza di pause. L’esito dello scontro è stato una netta vittoria della Corporate America e una drammatica sconfitta per il sindacato. I lavoratori si sono espressi per oltre il 70% contro l’adesione alla RWDSU (Retail, Wholesale and Department Store Union) di Stuart Appelbaum. Per il colosso di e-commerce, la sfida sindacale di Bessemer è stata la più significativa mai tenutasi negli Stati Uniti, dove impiega ormai un milione di persone (su un totale globale di 1,3 milioni), secondo datore di lavoro del Paese dietro Walmart, la più grande catena al mondo nel canale della grande distribuzione organizzata.

Interrogarsi su cosa sia successo nel centro Amazon di Bessemer, senza cedere a dietrologie e giustificazioni ideologiche, diventa strategicamente importante. Perché, dunque, i lavoratori, sfruttati e precari, votano contro l’adesione al sindacato?

Intanto, il sindacato di Stuart Appelbaum ha evitato sistematicamente la mobilitazione dei propri iscritti rinunciando, anche altrove, alla costruzione di momenti di solidarietà attiva e di mutuo appoggio a partire dai centri americani di Amazon. La RWDSU ha tentato di sfidare il colosso statunitense su un piano esclusivamente mediatico veicolando una rivendicazione estremamente debole e cioè sovrapponendo, fino a farli coincidere, i diritti sindacali con le rivendicazioni civili degli afroamericani (che rappresentano la maggioranza dei lavoratori nell’impianto di Bessemer). Il primo fatale errore è stato dunque non avere chiaro cosa c’è alla base della produzione e riproduzione sociale, credendo che tali rapporti siano una estensione lineare della mancanza di diritti civili e non, invece, un raccordo in continuo mutamento tra rapporti di produzione, razzismo e diritti civili: la razza e i processi di razzializzazione strutturano storicamente lo sviluppo del capitalismo.

Un secondo aspetto, che sembra esser stato completamente ignorato, è la capacità di Amazon di costruire la sua immagine aziendale puntando sulla fidelizzazione dei lavoratori, non soltanto attraverso le pratiche antisindacali – rivendicando, ad esempio, i vantaggi di una “diretta connessione” dei lavoratori con l’azienda, senza dunque filtri sindacali giudicati controproducenti – ma anche offrendo invidiabili polizze sanitarie e un salario minimo di 15 dollari l’ora, il doppio del minimo federale. Ma è soprattutto attraverso la costruzione della narrazione legata al successo e all’opportunità di una carriera individuale che Amazon è riuscita ad allontanare lo spettro sindacale dal suo polo logistico nonostante le conclamate condizioni di ipersfruttamento e precarietà.

Ma torniamo in Italia e proviamo ad azzardare un’ipotesi stravagante: e se Amazon, pur di non avere nessun tipo di contatto con lavoratori e sindacati, decidesse di pagare un salario di 1000€ ai 9.500 dipendenti italiani con l’obiettivo esplicito di farli stare a casa? L’operazione gli costerebbe annualmente 114 milioni di euro da sottrarre agli oltre 5 miliardi di utile: una bazzecola. E se Amazon e gli altri colossi dell’economia globale decidessero di “regalare” un reddito di cittadinanza, non soltanto ai propri lavoratori, ma a un numero sempre crescente di cittadini/consumatori? In sostanza, se a fare ciò fosse il capitalista collettivo e non più lo Stato? È ipotizzabile una traiettoria del capitale così bizzarra? Tutto sommato crediamo di sì. Certamente, una forma di sussistenza che sconvolge l’etica lavorista sulla quale si fonda l’azione di sindacati e partiti perché svincolata dalla prestazione lavorativa, ma con una chiara contropartita: il silenzio sociale, l’obnubilamento della coscienza e il simultaneo controllo del lavoro residuo, confinandolo magari alla riproduzione sociale come teorizzò Bill Gates qualche anno fa. Traiettoria bizzarra, appunto, ma un tale balzello val bene il potere mondiale, consapevoli che ciò che viene “regalato” ritornerà sotto forma di maggiori consumi legati a nuovi bisogni artificiali.

Allora, quando parliamo di lotta per il posto di lavoro, di capitalismo, di tutele sindacali e di maggiore welfare dobbiamo capire bene in quale contesto sociale ed economico innestiamo questi concetti e rivendicazioni perché se rimaniamo, ancora una volta, ancorati acriticamente alle pratiche novecentesche, senza avere contezza delle tendenze in atto nel Capitale, saremmo costretti a navigare a vista dentro le contraddizioni e le ambivalenze senza saperle individuare e indagare.

La redazione di Malanova

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