I SINISTRI E IL POTERE

Si odono concetti stridenti provenienti dai sinistri. Concetti manettari e a sostegno delle procure. Una doppia morale aleggia come uno spettro nei territori. Quando i teoremi della magistratura colpiscono il “movimento” è tutto un gridare al complotto, alla repressione, allo sbirro boia e assassino. Quando lo stesso meccanismo di potere colpisce gli altri il dizionario cambia e perde il filo del garantismo e l’avversione per il carcere. Ma non ci sono due meccanismi: il potere è unico e ha dinamiche complesse.

Ci si stupisce che un sindaco o un parlamentare vengano pescati con le mani nella marmellata o che qualcuno utilizzi il loro potere per il proprio personale tornaconto. Ci si stupisce nonostante la lunga storia “democratica” − da «Mani pulite» a oggi − abbia dimostrato che a non funzionare è proprio la democrazia rappresentativa con il suo meccanismo autoassolvente della delega.

Chi darebbe il proprio stipendio a un tizio (uno qualsiasi tanto uno vale uno) eletto proprio per gestirlo nel migliore dei modi possibili? Ovviamente nessuno. La domanda è evidentemente retorica. Ma le risorse comuni, quelle pubbliche per intenderci, per quale motivo dovrebbero essere affidate a un manipolo di usurpatori che da sempre ne hanno fatto un uso irrazionale e funzionale solo ai propri interessi?

Fa male vedere a quale livello di ragionamento siamo costretti ad assistere quotidianamente. Si ciancia di “sistemi” e consorterie, utilizzando però lo stesso gergo antimafia e antipolitico degli altri. Si divide il potere in buono e cattivo per tirare la volata a se stessi, “gli onesti”, che se votati saranno sicuramente migliori degli altri, “i disonesti”, non considerando minimamente i meccanismi istituzionali e sociali che generano e innervano questi “sistemi”.

«Diffondere saperi senza fondare poteri» diceva Primo Moroni e parafrasando Peppino Impastato potremmo aggiungere che il potere è una montagna di merda.

A cosa serve denunciare il politico farabutto, il sindaco imbroglione o l’assessore della cosca? A cosa serve dire ancora che Gentile è inquisito, che Adamo è stato espulso dalla Calabria, che Oliverio è stato evanescente, che la Santelli pensa solo alle cene romane? Notizie scontate che da decenni sono al centro delle tante tribune politiche; uomini e donne di potere che continuano a calcare il palcoscenico della politica decidendo delle nostre vite.

Focalizzando l’attenzione sui fatti locali: cosa importa se Manna, sindaco di Rende (CS), è accusato di aver dato una mazzetta a un giudice per corromperlo e garantire l’impunità al presunto boss Patitucci? Né più né meno del fatto che Principe, rivale politico di Manna alle scorse elezioni rendesi, risulti inquisito per presunti rapporti molto stretti con gli esponenti del clan Lanzino.

Fintanto che la critica è uniformata a una logica da stadio non facciamo altro che garantire spazio a questo o quell’altro gruppo politico-mafioso, non facciamo altro che costruire poteri senza fondare saperi.

Eppure alcuni esponenti illustri del movimento, che oggi sono indignati per le ultime notizie di cronaca, un tempo furono tra i sostenitori di varie volate, di Manna o di Principe, avendo considerato il primo l’uomo del cambiamento e il secondo un politico illuminato capace di dare un futuro alla città. Senza contare gli “alternativi” che si sono addirittura candidati facendo a botte per accaparrarsi i favori del tertium non datur, ossia l’essere bicefalo costituito da Pino e Tonino Gentile.

No, non ci riusciamo proprio ad accalorarci per un referendum che ti invita a scegliere tra un Sì per risparmiare lo “zerovirgolaqualcosa” della spesa pubblica e un NO che difenderebbe nientepopodimeno che la stessa democrazia rappresentativa. Non riusciamo ad accapigliarci per l’ultimo politico trovato con le mani in pasta: eserciti di sostituti saranno pronti a prenderne il posto. Magari, ironia della sorte, lo sostituirà uno di noi, uno che ha fatto le nostre stesse lotte, uno che, una volta insediatosi nella stanza dei bottoni, dimenticandosi delle tante battaglie sostenute, andrà a inaugurare qualche diavoleria sputa veleni con tanto di fascia tricolore.

Se proprio dobbiamo parlare di referendum, ne servirebbe uno per azzerare del tutto il numero di rappresentanti e dare voce veramente al popolo che, dal canto suo, dovrebbe iniziare a schiodarsi dal divano psichedelico su cui si è adagiato e capire che non esiste miglior amministratore dei propri interessi che se stesso.

Ne servirebbe un altro, poi, per eliminare il pareggio di bilancio in Costituzione e ridare ossigeno alla spesa pubblica, senza doversi ogni volta indebitare con i mercati o con l’Europa, trasformando i servizi essenziali in spese da contenere.

Non c’è da diminuire o aumentare i rappresentanti, non occorre schierarsi con il politicante più in voga. Occorre eliminare dalla logica comune la necessità di delegare ad altri il proprio futuro. Non c’è da fidarsi dell’amministratore onesto, non c’è da sperare; c’è da rimboccarsi le maniche e costruire ora e pezzo per pezzo il mondo futuro che vogliamo: dobbiamo farlo collettivamente pensando nuove istituzioni dal basso, disposte ad autogovernarsi e capaci di farlo.

Al di là di questo non ci sono che insipide e inutili scorciatoie, manovre che provano a fondare poteri facendo deragliare le pratiche antagoniste.

Citando questa volta il più popolare Franco Califano, tutto il resto è noia… una noia mortale!

MALANOVA VOSTRA!

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