COME IL CONFLITTO BELLICO CANCELLA IL MANTRA DELL’AUSTERITY

Dieci anni di politiche di austerità ci avevano quasi convinti che gli scostamenti di bilancio fossero delle azioni deplorevoli e assolutamente da evitare. Il debito era una faccenda serissima e le bastonate comminate alla Grecia servirono da esempio a tutto il resto dei paesi con un rapporto debito/PIL difforme da quanto stabilito dai vari trattati dell’Unione: “Quell’evento resta una ferita nella costruzione europea, perché è il momento in cui l’Unione ha cambiato la propria natura: da un insieme di paesi liberamente associati è diventata un’assemblea di creditori e debitori. Bruxelles si è arrogata un diritto di coercizione senza limiti, imponendo le sue regole e i suoi punti di vista in nome della difesa della moneta unica e dell’integrità dell’eurozona[1].” Un decennio di sacrifici e politiche lacrime e sangue perché ce lo chiedeva qualcuno o ce lo imponevano gli eventi. Un turbinio di slogan ripetuti come mantra fino allo sfinimento, tra i quali il più vergognoso è stato “abbiamo vissuto finora al di sopra delle nostre possibilità”, peccato che dai primi anni del nuovo millennio la falce delle politiche neoliberiste abbia cominciato a mietere vittime.

La precarizzazione sistematica faceva da vettore alla mercificazione di tutto quello che era possibile rendere valorizzabile sul mercato. La precarizzazione verticale e orizzontale era necessaria per rendere il lavoro scevro da rendite di posizione e “privilegi”. In poche parole il tempo indeterminato, nella migliore delle ipotesi, si traduceva da un concetto di relativa sicurezza ad una assoluta incertezza. Ciò era “necessario” per aprire il paese alla libera concorrenza e agli “investimenti esteri” poi la realtà ha dimostrato ben altro, ossia che l’investitore era attratto da incentivi e condizioni di lavoro rese ottimali dai contratti precari, dalla cancellazione dei contratti collettivi nazionali e dal blocco dei salari, in più vi era – immancabile – un pacchetto di agevolazioni fiscali. Un cambiamento radicale per svendere risorse e forza-lavoro al peggior offerente. Ci siamo ritrovati con lo Stato che faceva da ammortizzatore a tutti i capricci degli investitori intervenendo con la disoccupazione, la cassa integrazione e tutto quello che si poteva utilizzare per tenere a bada centinaia di migliaia di lavoratori in balia di mercati e mercanti. Si arriva allo scoppio della bolla che ha dato origine ad una delle peggiori catastrofi finanziarie della storia. Per ripulire le casse dei vari istituti finanziari dal boccone avvelenato dei titoli costruiti sui subprime si è dovuto iniettare liquidità, una sorta di lavanda gastrica per un abuso di sostanze nocive…

È storia ormai che la crisi l’abbia pagata la collettività a suon di austerity. Oggi a distanza di pochi anni dall’allentamento delle politiche restrittive (più o meno dal 2018) assistiamo all’esatto contrario. Bilanci dilatati con scostamenti allegri senza troppe remore – è chiaro che si doveva far fronte ad un evento assai desueto come la pandemia – ma ora che la pandemia sembra fare meno paura ecco arrivare la guerra, davanti alla quale non si fanno economie e si spende senza remore. Viene da pensare, finito il pandemonio, cosa ne sarà dei debiti contratti. In questo caso bisogna vedere se alla fine di questa fase di conflitti (a meno di un’escalation che porti ad una guerra conclamata) ci sarà ancora un organismo europeo sufficientemente autorevole cui dover dare conto. Questa è una delle ipotesi che non dovremmo scartare a priori, la tenuta del sistema Europa. È più che logico attendersi che da questa fase assai critica l’Unione ne uscirà alquanto mutata, in peggio o in meno peggio non è ancora dato saperlo, ma sicuramente questa parte di mondo per come la conosciamo non sarà più politicamente la stessa del 2008 o del 2018. L’azione congiunta di spese militari e interventi per calmierare il caro energia in congiunzione con l’indebolimento del sistema produttivo minuto (micro, piccole e medie imprese) sta preparando un conto sociale molto alto. Le sanzioni contro la Federazione Russa stanno avendo un effetto boomerang micidiale, in quanto avvengono contro un organismo che non è estraneo a commerci e contatti permanenti con l’Unione. Al contrario è, in tutta evidenza, il principale fornitore energetico, nonché negli anni si è configurato come area per l’offshoring di determinate fasi lavorative per aziende di vario cabotaggio nonché fornitore di prossimità di materie prime. Sovrapponendo tutti questi fattori abbiamo un quadro socio-economico, finanziario e politico assolutamente disarmante, nel quale l’Unione sta dimostrando tutta la sua debolezza nei confronti della libertà di arricchirsi di potenti soggetti privati. È Indicativo che la commissione europea e tutto il parlamento, non si fecero scrupoli a dare inizio alla mattanza sociale con le randellate dell’austerity, ma oggi non muovono praticamente un dito per bloccare i prezzi di determinate risorse. Eppure siamo in stato di allerta ed emergenza bellica, sarebbe nel pieno diritto di un organismo che deve preservare gli interessi della società che rappresenta di agire per bloccare le speculazioni. Ma evidentemente questo organismo rappresenta tutt’altro, scudo e spada di mercati, mercanti e operatori finanziari. Disposto a versare miliardi di euro in fondi strutturali per aprire alle cosiddette market oriented strategies ogni singolo ambito socio-produttivo, anche nei più remoti dei territori. È chiaro che questi finanziamenti non arrivano dal nulla, sono tutte le contribuzioni che ogni singolo Stato annualmente elargisce ai fondi comuni. Sono capitoli di spesa di una certa entità che non riguardano solo una voce nel bilancio dello Stato, ma arrivano a lambire molto da vicino il nostro quotidiano. In estrema sintesi le fonti di finanziamento europeo per ogni stato si possono riassumere in (1) Risorse Proprie Tradizionali (RPT), (2) risorse basata sull’IVA, (3) risorse basate sul Reddito Nazionale Lordo (RNL). Per l’IVA si ha un prelievo dello 0,35% sul gettito totale, non parliamo di bruscolini. In questo sistema di contribuzione volontaria siamo tutti coinvolti senza eccezioni.

Tralasceremo la spiegazione del meccanismo che spiega come tutto ciò sia pesantemente ancorato a consumi e produzione – sarebbe abbastanza lungo – ma comprendere l’esito del meccanismo dovrebbe far capire come la contribuzione in momenti di crisi sia qualcosa di non semplice. E di momenti critici se ne sono succeduti più di uno in un crescendo di gravità, il tutto accompagnato da una cosiddetta “stagnazione secolare”, ossia un rallentamento della crescita sotto al fisiologico 3% che garantirebbe un’economia in salute. Si potrà quindi comprendere come le bastonate della Troika e le conseguenti manovre lacrime e sangue avvenivano in momenti nei quali solitamente era prevista una ricetta di matrice Keynesiana, ossia di una forte spesa pubblica per riattivare la domanda ecc. Invece le ricette di matrice neoliberista impongono il contrario. Ora che invece si tratta di salvare non le casse degli istituti di credito operanti nell’area euro ma c’è in gioco la tenuta di un sistema economico più ampio, ossia il sistema Occidentale, si aprono i cordoni della borsa e si sversano capitali nel revamping green prima e nello sforzo bellico ora. Come sempre c’è chi impone la scelta.

Dalla congiuntura avversa, fino al più accorato appello al salvataggio della democrazia è tutto un pompare benzina sul fuoco per giustificare qualcosa che fino a ieri era considerato un tabù, un’eresia, un’infamia da purificare con l’austerità più severa. Il fatto è che una volta ristabilito l’equilibrio di liquidità nel sistema bancario tutto ora è possibile. Le speculazioni sulle risorse energetiche stanno fagocitando non solo il potere d’acquisto della famigliola media, ma stanno devastando un intero tessuto produttivo, il quale già provato dal fermo macchine del lockdown sta soccombendo sotto la pressione inflattiva. Quindi se da un lato si scialacquano fondi senza economie per lo sforzo bellico, dall’altro si adottano politiche sanzionatorie che sono assai simili a chi sega il ramo sul quale è seduto, il tutto elargendo qualche briciola ad un sistema produttivo in fase critica, alle prese con shortage, inflazione a tutto tondo e in più l’impennata del costo energia. Se consideriamo i necessari scostamenti di bilancio per far fronte a spese sanitarie e sostegno al reddito prima, spese militari e aiuti per calmierare i costi dopo, potremo vedere che nel giro di tre anni sono state polverizzate le fatiche i sacrifici fatti in 10-12 anni di austerity. Abbiamo devastato il sistema sanitario, il sistema scolastico, universitario e quello trasportistico, abbiamo mandato in pensione gente a quasi 70 anni, abbiamo svenduto il patrimonio statale al peggior offerente abbiamo accettato la precarizzazione totale del lavoro per poi veder depauperare tutto in un paio d’anni o poco più. E quando tutto sarà finito, chi sarà il nuovo soggetto che esigerà il pagamento di tutto ciò?

La redazione di Malanova

NOTE

[1] Cfr. M. Orange, La Grecia non è più sorvegliata speciale, ma la crisi è ancora viva; articolo originale “Grèce : l’Europe arrête la surveillance d’un pays toujours en crise”. Url edizione italiana: https://www.internazionale.it/notizie/martine-orange/2022/08/25/grecia-fine-sorveglianza

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