LA FALSA ALTERNATIVA DELL’IDROGENO VERDE. COSTI E COMPLEMENTARITÀ ALLE FONTI RINNOVABILI.

Vista la situazione geopolitica attuale, l’agenda politica imposta dalla guerra in Ucraina, i nuovi blocchi di alleanze che cominciano ad emergere intorno alla Nato e all’asse Russia, Cina e India, ritorna prepotentemente di attualità il dibattito sulle politiche energetiche. Come dicevamo in un recente articolo, la politica energetica europea era fortemente ancorata allo sfruttamento della materia energetica “ponte”, rappresentata dal gas naturale, che avrebbe dovuto prendere il posto del più inquinante petrolio nella fase di transizione alle fonti rinnovabili necessaria per permettere all’Unione europea di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

In vista di un possibile blocco delle importazioni del gas dalla Russia – principale partner commerciale di tante nazioni europee (Italia compresa) – ritorna centrale nel dibattito sulle fonti energetiche, il cosiddetto idrogeno verde. È dell’8 luglio 2020 il documento intitolato Una strategia per l’idrogeno per un’Europa climaticamente neutra, comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e sociale e al Comitato delle Regioni. Oggi l’idrogeno risulta essere una parte infinitesimale del mix energetico mondiale ed europeo. In Europa al 2019 sono attivi 300 elettrolizzatori, che rappresentano meno del 4% della produzione totale di idrogeno e non concorrono alla decarbonizzazione energetica in quanto prodotti quasi integralmente attraverso l’utilizzo di combustibili fossili che producono da 70 a 100 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. La vera sfida affinché l’idrogeno rappresenti una vera alternativa ecocompatibile è realizzare processi di produzione che utilizzino fonti rinnovabili. Altrimenti ci troveremmo di fronte all’ennesima finta alternativa come quella delle auto elettriche il cui processo di produzione implica un forte impatto ambientale oltre a una politica energetica di tipo neocoloniale come nel caso delle batterie di cui sono dotati i veicoli elettrici che, nella maggior parte dei casi, sono composte da materiali come litio e cobalto il cui processo di estrazione ha un pesante impatto sociale legato allo sfruttamento della manodopera (soprattutto minorile) nelle miniere in Africa. Probabilmente quando siamo alla guida delle nostre ultramoderne macchine elettriche ci sentiamo con la coscienza pulita avendo versato l’obolo ecologico. Purtroppo si tratta, molto banalmente, di una semplice delocalizzazione della combustione e dello sfruttamento della forza lavoro che non avvengono più direttamente nelle nostre città ma nelle decentrate centrali termoelettriche e nelle sperdute miniere di qualche paese impoverito. Questo migliora senz’altro l’aria cittadina del ricco occidente ma non il bilancio globale dell’inquinamento e della giustizia sociale.

Il problema della produzione di energia delle rinnovabili, rispetto alle fonti fossili, è la difficoltà all’accumulo e alla programmabilità. Dipendono infatti da elementi variabili come il sole o il vento dunque non facilmente accumulabili e utilizzabili al bisogno. Al contrario basta bruciare più petrolio o gas per avere istantaneamente un surplus di energia prodotta.  Le energie rinnovabili applicate agli elettrolizzatori producono scorte di idrogeno che assicurano riserve in caso di variazioni stagionali della domanda o per essere utilizzate in siti distanti e geograficamente non idonei alla produzione diretta di “energia verde”.  “L’idrogeno rinnovabile comincerà a svolgere un’azione di bilanciamento del sistema elettrico fondato sulle rinnovabili: trasformerà l’energia elettrica rinnovabile in idrogeno quando è abbondante ed economica e fornirà flessibilità. Sarà usato anche per lo stoccaggio quotidiano o stagionale e fungerà da riserva e da buffer, migliorando la sicurezza dell’approvvigionamento a medio termine” (p. 8 del documento UE).

Nel 2018 la visione strategica della Commissione per la decarbonizzazione prospettava la crescita della quota dell’idrogeno nel mix energetico europeo, oggi inferiore al 2%, fino al 13-14 % entro il 2050. “La progressiva diffusione delle soluzioni basate sull’idrogeno può anche indurre a riconvertire o riutilizzare parti dell’infrastruttura del gas naturale esistente ed evitare così che i gasdotti si trasformino in attivi non recuperabili” (p. 3 della comunicazione). La problematica principale rimane sempre il costo di produzione dell’idrogeno. “Se guardiamo ai costi, oggi né l’idrogeno rinnovabile né quello a basse emissioni di carbonio, in particolare l’idrogeno di origine fossile con cattura del carbonio, sono competitivi rispetto all’idrogeno di origine fossile. Si stima che i costi attuali di quest’ultimo, fortemente dipendenti dai prezzi del gas naturale, si attestano nell’UE a circa 1,5 EUR/kg, senza tener conto dei costi del CO2. Per l’idrogeno di origine fossile con cattura e stoccaggio del carbonio i costi stimati sono di circa 2 EUR/kg, mentre l’idrogeno rinnovabile arriva a 2,5-5,5 EUR/kg” (p. 6 del documento UE).

Attendendo gli sviluppi tecnologici e la diffusione degli impianti che consentirebbero di produrre idrogeno verde a bassi costi c’è da indagare i costi relativi alla transizione. Per conseguire entro il 2024 e il 2030 gli obiettivi previsti dall’UE, gli investimenti per costruire gli elettrolizzatori potrebbero variare tra 24 e 42 miliardi di euro. Questa programmazione dovrebbe andare in parallelo alla crescita della produzione delle energie rinnovabili per cui occorrerebbero ulteriori 220-340 miliardi di euro per ottenere energia pari a 80-120 GW e creare collegamenti diretti che portino l’energia elettrica agli elettrolizzatori. Altri 65 miliardi di euro servirebbero per la strutturazione della rete di distribuzione senza contare i distributori di idrogeno (circa 400 stazioni) la cui costruzione implicherebbe l’utilizzo di oltre 800 milioni di euro. Gli investimenti nelle capacità di produzione di qui al 2050 si posizionerebbero nella forbice tra 180 e 470 miliardi di euro solo per l’idrogeno. Grande impegno in questo senso traspare tra le righe del PNRR dove il capitolo idrogeno è molto presente. 

Accanto al problema economico si situa la mancanza in Europa delle materie prime fondamentali per la costruzione delle celle a combustibile e per gli elettrolizzatori. “Una totale dipendenza per quanto riguarda l’approvvigionamento di 19 delle 29 materie prime indispensabili (ad esempio i metalli del gruppo del platino) e di diverse materie prime essenziali per varie tecnologie di generazione dell’energia elettrica rinnovabile” (p. 13 del documento UE).

Per raggiungere la parità con altre fonti energetiche, dunque, la programmazione economica dell’UE prevede un forte sostegno economico all’idrogeno per i primi decenni e fino a quando questa fonte di energia, o meglio questo accumulo di energia, sia competitivo con altre fonti. In realtà è il solito gioco che prevede l’utilizzazione di risorse pubbliche per creare le infrastrutture utili e le professionalità adeguate affinché il privato successivamente possa subentrare per fare utili. “Un piano così ambizioso non poteva non prevedere un’adeguata voce di investimento legata alla ricerca e allo sviluppo. Storicamente le più grandi fasi di ristrutturazione hanno fatto leva strategicamente sull’uso capitalistico della scienza e della tecnologia, con lo Stato che si fa carico di investire nei settori di ricerca e sviluppo più “utili”, finanziando il know-how scientifico adeguato alle necessità industriali. Programmi di ricerca, investimenti mirati al finanziamento di partnership pubblico-private e tutto un carnet di operazioni e strumenti che orientano di fatto la ricerca a tutti i livelli, fornendo personale qualificato immediatamente spendibile nell’organizzazione della catena del valore (produzione, trasporto e stoccaggio)” (a questo link un nostro articolo di approfondimento sul tema).

In effetti, nonostante la pubblicità e la centralità che sta avendo il dibattito sull’idrogeno verde, dobbiamo concludere che esso non rappresenta l’elemento primario del discorso energetico. Infatti la produzione di idrogeno rinnovabile è legata, come abbiamo visto, alla produzione di energia rinnovabile della quale rappresenta una sorta di accumulo dicevamo, come un altro tipo di batteria. L’idrogeno è un mezzo che consente di stabilizzare l’utilizzo delle energie rinnovabili rendendole maggiormente “programmabili” nel loro utilizzo grazie agli stock liquidi che possono essere immagazzinati nei periodi di picco della produzione delle rinnovabili, per poi essere utilizzati nei periodi di bassa produzione e di maggiore domanda.

L’importanza dell’idrogeno sta tutta nella sua duttilità di impiego. “L’idrogeno come vettore energetico nell’UE presuppone la disponibilità di infrastrutture energetiche per collegare la domanda all’offerta. L’idrogeno può essere trasportato in gasdotti, ma anche con mezzi di trasporto indipendenti dalla rete, ad es. su autocarri o su navi che attraccano a terminali di GNL riconvertiti, se tecnicamente fattibile. L’idrogeno può viaggiare allo stato puro gassoso o liquido, oppure combinato per formare molecole più grandi e più facili da trasportare (ad es. ammoniaca o vettori liquidi organici)” (p. 17 del documento UE).

Chiaramente ci troviamo di fronte ad un grande bluff se i governi pensassero di creare idrogeno utilizzando fonti fossili già oggi facilmente trasportabili o trasferibili ma terribilmente inquinanti. Altra cosa sarebbe la produzione di idrogeno da fonti veramente rinnovabili alternative agli impianti considerati green dall’Europa come le centrali a Biomassa o addirittura, nel dibattito odierno, come il  nucleare. Allo stato dell’arte abbiamo, però, solo un immane programma di investimenti pubblici che saranno facile premessa a immani profitti privati.

La redazione di Malanova

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