IL TRIOPOLIO GOOGLE-FACEBOOK-AMAZON

Nonostante la multa da oltre 1 miliardo dell’Antitrust italiano ad Amazon, contestata dalla stessa società che ha parlato di sanzioni e obblighi ingiustificati e sproporzionati, quello che sta accadendo nel mercato pubblicitario ci restituisce la misura della debolezza delle  barriere antitrust venute giù con una facilità disarmante.

Il triopolio così lo ha definito il Wall Street Journal[1] – Alphabet (Google), Meta (Facebook) e Amazon – controlla il mercato mondiale della pubblicità senza incontrare grandi ostacoli. Solo nel 2021 sono arrivati a detenere più del 50% della quota mondiale (a esclusione del circuito cinese) e, nel 2020, la maggior parte di tutta la spesa pubblicitaria negli Stati Uniti.

La pubblicità digitale globale è un settore di mercato fondamentale per la riproduzione capitalistica ma anche strumento necessario per la concorrenza tra capitali.  Nel solo 2021, la parte digitale rappresenta il 58,7% di tutte le forme della pubblicità. Nelle ultime previsioni contenute nell’analisi provvisoria dal titolo Global end-of-year forecast curata da GroupM, media investment company del gruppo Wpp, si legge che Alphabet, Meta e Amazon rappresentano tra l’80-90% del totale globale della pubblicità digitale.

Questa posizione dominante nel mercato globale è stata conseguita attraverso una filiera integrata costruita all’interno delle stesse piattaforme; questo rende difficile, se non addirittura impossibile, una competizione di mercato per i restanti concorrenti che si trovano a spartirsi, loro malgrado, quel 10-20% di mercato rimanente. Una percentuale che, anno dopo anno, tende a erodersi sempre di più. Basta pensare che, nel triennio 2019-2021, la quota di controllo del mercato pubblicitario controllata dal triopolio è salita di oltre il 10% a livello globale. Questa posizione di controllo è stata  consolidata anche attraverso politiche di mercato che forzano tutte le scelte di comunicazione degli investitori pubblicitari sfruttando la pervasività del mezzo web e il controllo dei dati prodotti dagli utenti.

Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano, spiega, in un’intervista a “Linkiesta”[2], che queste grandi aziende sono diventate ormai piattaforme così pervasive che la loro capacità di acquisizione di dati permette di essere davvero molto precise nella veicolazione di messaggi, pubblicità e quant’altro e questo è un vantaggio strutturale enorme

In una nota di Amazon Italia pubblicata a novembre del 2020 viene dichiarato che, nel periodo tra giugno 2019 e maggio 2020, 14mila realtà imprenditoriali che vendono attraverso la piattaforma e-commerce hanno venduto più di 60 milioni di prodotti negli store Amazon, rispetto ai 45 milioni di un anno prima, in media si tratta di più di 100 prodotti al minuto, e hanno registrato vendite per una media di oltre 75mila euro, in crescita rispetto ai 65mila circa nello stesso periodo dell’anno precedente[3]. In questo modo è aumentata la dipendenza di molte imprese (soprattutto piccole e medie) dai grandi player di Big Tech. 

La potenza del triopolio, come ha affermato il veterano dell’industria pubblicitaria Tim Armstrong, è sicuramente legata al controllo dei dati ma, il vero vento in poppa, è stato l’uragano Covid.

Un dominio costruito mettendo a valore i cambiamenti sociali dettati dalla pandemia: più tempo trascorso sugli schermi dei computer; più acquisti attraverso le piattaforme e-commerce; sostegno, sotto forma di filiazione, alle nuove attività commerciali e, infine, la capacità dei giganti della tecnologia di dimostrare un ritorno sull’investimento pubblicitario. Una capacità che può essere garantita soltanto da chi controlla la “scienza dei dati”. Così il piccolo soccombe sotto il colpo del maglio dei colossi del Big Data.

Il vantaggio competitivo dei big del triopolio, consiste nel fatto che le loro reti di comunicazione non sono solo capillari, quindi in grado di raccogliere dati significativamente raffinati, ma offrono svariati servizi il che consente, incrociando i dati dello stesso utente, di avere profili molto dettagliati sui quali tarare messaggi pubblicitari e offerte che vanno quasi a colpo sicuro. Cosa che non riescono a fare i pesci piccoli, che spesso acquistano format dai big.

Sul tema della posizione sul mercato pubblicitario e dell’utilizzo “non ortodosso” dei dati l’Unione Europea si è mossa nei mesi scorsi aprendo indagini su Google e Facebook. Tutto questo però sembra non scalfire la corazza di questi colossi. Ma aldilà dei meccanismi di regolamentazione del mercato richiesti agli apparati di controllo più o meno pubblici, quello che andrebbe indagato è il processo di centralizzazione del capitale, intesa in un’accezione genuinamente marxiana, quindi non come semplice concentrazione della proprietà ma come crescente controllo del capitale in poche mani. 

Le informazioni che si possono estrarre dallo studio summenzionato, sembrano andare nella direzione di questa ipotesi: un mercato pubblicitario in crescita del 22,5% nel 2021 con una stima di un ulteriore +9,7% nel 2022. Complessivamente nel 2026 si prevede un mercato che supererà i mille miliardi di dollari (contro i 763 nel 2021) e con la quota del digitale che arriverà a pesare per un 72% sul totale delle strategie. Non dimentichiamo che oggi digitale vuol dire anche TV e non solo telefono e computer. 

Le smart TV e i pacchetti di offerta combinati delle pay-TV non solo veicolano il brand in sé (Amazon Cinema ecc.) ma fidelizzano un numero crescente di acquirenti anche a tutta una serie di prodotti detenuti dallo stesso marchio, attraverso anche lo studio di programmi mirati. Un utente Amazon che acquista cibo biologico e format di allenamento verrà bombardato da una pubblicità mirata su quali film ci sono in promozione che magari hanno nella trama qualcosa che risuona con le abitudini alimentari o hobbistiche dell’utente. 

Anche gli ultimi dati comunicati dalle tre società quotate a Wall Street parlano chiaro. Nel terzo trimestre 2021 i ricavi di Google Advertising sono saliti del 43,2% (53,1 miliardi di dollari rispetto ai 37,1 del 2020). Quanto a Facebook, la crescita è stata del 33% (passando da 21,2 miliardi di dollari del 2020 ai 28,3 dell’anno corrente). Per Amazon l’incremento è stato del 49% (con un +8,1 miliardi di dollari). In un solo trimestre Jeff Bezos ha raccolto una cifra pari agli investimenti pubblicitari annuali dell’intero mercato italiano.

Il controllo diffuso di questa fetta di mercato, attraverso il digitale e la proprietà dei dati, spazza via tutte le altre forme più tradizionali di pubblicità e con esse i soggetti che vi operano. Un processo di centralizzazione, visto all’opera anche in altri settori di mercato, segnato da un conflitto endemico, tutto interno alla classe capitalista, dove il più forte riduce sempre di più i margini di operatività al più debole spingendolo al fallimento o alla loro acquisizione. Si profila dunque, ciò che Marx definiva espropriazione del capitalista da parte del capitalista. Sarà per questo che molti settori “tradizionali” del mercato pubblicitario sono sul piede di guerra invocando il controllo degli organi antitrust?

La redazione di Malanova

note

[1] K. Hagey; S. Vranica, How Covid-19 Supercharged the Advertising ‘Triopoly’ of Google, Facebook and Amazon, 19 marzo 2021, The Wall Street Journal. L’articolo è consultabile al seguente url: https://www.wsj.com/articles/how-covid-19-supercharged-the-advertising-triopoly-of-google-facebook-and-amazon-11616163738 

[2] A. Cappelli, Come Facebook, Google e Amazon hanno monopolizzato il mercato pubblicitario, 23 marzo 2021, Linkiesta. L’articolo è consultabile al seguente url:https://www.linkiesta.it/2021/03/google-facebook-amazon-big-tech-pandemia-pubblicita-digital-advertising/ 

[3] Il comunicato stampa di Amazon Italia del 04/11/2020 è consultabile al seguente url: https://amazon-press.it/Top-Navi/Comunicati-Stampa/Pressedetail/amazon/it/Report-SMB/ 

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