RIFIUTO DEL LAVORO CONTRO APPARENZA DEL VALORE

Il pezzo che di seguito proponiamo è estratto dal documento politico Alle avanguardie per il partito, pubblicato nel 1970 come supplemento al n.36 di “Potere Operaio”, elaborato dalla Segreteria Nazionale di P. O. e proposto alla discussione dei militanti. 

Il tema centrale è il concetto di rifiuto del lavoro come pratica contro la centralità del valore del lavoro inteso come legge unica ed esclusiva dell’organizzazione produttiva e sociale. Una decisa presa di posizione contro il modo di riproduzione capitalista che da un lato sfrutta il processo di produzione come momento di estrazione di plusvalore, e dall’altro rende questo processo l’unico possibile, per il lavoratore, per poter ottenere il reddito necessario alla sopravvivenza. A questo deve necessariamente affiancarsi una narrazione che renda il tutto credibile, quindi il mantra che questo è l’unico modo/mondo possibile e che basta impegnarsi per raggiungere il miglioramento personale/materiale.

La falsa promessa di un diffuso benessere e dell’equità sociale diventa strumento funzionale allo sfruttamento del capitale sul lavoro vivo. Viene, dunque, smascherato da una parte l’inganno capitalista del lavoro come valore e, dall’altra, l’eguaglianza capitalistica come unica forma possibile. Contro l’illusione del capitale, il documento pone l’accento sulla centralità delle avanguardie per distruggere questa apparenza del valore attraverso la riappropriazione del comando sulla ricchezza sociale prodotta. La pratica operaia del rifiuto del lavoro è usata, tra gli anni ’60 e ’70,  contro il meccanismo mistificatorio del valore del lavoro ma, soprattutto, contro la produzione di valore che costringe l’intero complesso delle attività umane a farsi lavoro, e dunque, produzione di valore e di plusvalore.

A distanza di cinquant’anni, ci sembra che questo documento non solo non abbia perso smalto ma abbia invece ancora tanto da dirci. Resta, a nostro avviso, intonsa la necessità di distruggere il lavoro come espropriazione quotidiana di ogni energia umana, come forma di organizzazione della società, come fondamento di legittimità dell’autorità e unica forma di legittimazione dell’individuo nella societá. Una enorme base materiale è stata accumulata dal lavoro umano durante secoli di sfruttamento; contro il lavoro vivo questa massa materiale è usata dalla mano armata del capitale e del suo Stato.

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Premuti da questo nuovo, sempre più incalzante esprimersi della coscienza operaia dello sfruttamento e della necessità del comunismo, i padroni resistono – come sempre – alternando crisi e sviluppo, repressione e riforme. 

Riforme e repressione oggi si presentano in una proposta di ristrutturazione che vuole l’uso della schiavitù salariale per lo sviluppo produttivo dentro un ordinamento ricalcato sul «valore del lavoro», come legge esclusiva dell’organizzazione produttiva e sociale. L’esclusività con cui i padroni intendono muoversi su questo terreno comporta una forte tensione riformista contro tutte quelle specie di sfruttamento che non possono raggrupparsi sotto la legge del valore: contro la rendita parassitaria, contro tutte le disfunzioni improduttive che impediscono di regolare in modo pianificato il rapporto di sfruttamento a livello sociale. Coll’imporre la legge del valore come legge della società intera, il capitale cerca di legittimare il proprio sviluppo, di mostrarsi un giusto legislatore e garante di un potere che le lotte operaie gli vengono contestando. Ma la legge del valore è la legge dello sfruttamento. L’«equo sfruttamento» che l’estensione illimitata del dominio della legge del valore vorrebbe stabilire fra i lavoratori, è l’eguaglianza apparente che esiste fra gli sfruttati da un unico padrone: il capitale come potenza impersonale e astratta, i padroni come suoi funzionari tutti intesi all’opera senza fine di accrescere la ricchezza produttiva e a stravolgerla in comando sugli operai. II problema degli operai non è quello di sapersi uguali nella miseria dello sfruttamento, ma di abolire lo sfruttamento e il comando del capitale. Agli operai non interessa un nuovo imbroglio, una «giustizia» astratta e mostruosa, – a ciascuno secondo il lavoro – astratto e mostruoso il dominio del capitale: nel suo comando la regola dell’equità può solo presentarsi come rinnovata funzione dello sfruttamento. Agli operai le lotte hanno mostrato che non c’è più alcuna misura tra lavoro e capitale che non sia misura del comando, della necessità dei padroni di comandare perché il capitale possa riprodursi come figura del loro potere. All’operaio-massa, intercambiabile nelle sue funzioni produttive, soggetto all’orribile ricatto di dover accettare comunque il comando del padrone solo per godere della «libertà» di vivere come vuole il padrone, schiavo del capitale dentro la fabbrica e nella società dominata dalla volontà e dal puzzo del padrone, nessuno può più raccontare che il lavoro è un valore e che l’«uguaglianza» capitalistica è giusta. Distruggiamo questa apparenza del valore, riappropriamoci del comando sulla ricchezza sociale prodotta, opponiamo la forza operaia al capitale! Una nuova epoca della lotta di classe operaia si è aperta: dobbiamo osare viverla! 

Nella situazione di sempre maggiore sfruttamento che la legge del valore determina, nelle lotte che gli operai hanno condotto e conducono tra gli anni ’60 e gli anni ’70, gli operai hanno lanciato contro l’apparenza mistificata del valore il rifiuto del lavoro! Rifiuto del lavoro significa prima di tutto rifiuto operaio di accettare il lavoro come sistema di fabbrica, di legarsi ad ogni forma di partecipazione (da quella brutale del cottimo a quelle raffinate della cogestione produttiva); significa – in secondo luogo – rifiuto da parte degli operai di vedersi non solo collocati nello sporco sistema di fabbrica, ma anche nello sporco sistema dello sviluppo, all’interno del progetto capitalistico di subordinare la società alla legge del valore e dello sfruttamento. Ma soprattutto, rifiuto del lavoro significa comprendere che – al di là del mondo del lavoro salariato, della legge del valore, del dominio capitalistico che stravolge la capacità dell’uomo di produrre ricchezza nella costrizione a produrre valore (che cioè costringe l’attività umana a farsi lavoro, cioè produzione di valore e di plusvalore) – esiste, e già si scopre nei comportamenti dell’autonomia operaia, la possibilità di creare un mondo nuovo che rinneghi la barbarie dell’oppressione, della povertà e dell’ignoranza e che sia costruito sull’affinamento dell’operatività operaia, della capacità di produrre ricchezza (beni utili) e non merci, valore, capitale, dell’invenzione e di una intelligenza liberata dalla subordinazione alle necessità della produzione e della scienza capitalistica. Gli operai non vogliono subordinare se stessi ad una nuova figura dell’organizzazione capitalistica del lavoro – più avanzata, più raffinata, più astratta: il processo di valorizzazione si è mangiato il lavoro vivo senza dare speranza di riscatto e di alternativa. Solo la distruzione del lavoro incorporato al capitale può liberare, solo il rifiuto è la condizione di un mondo liberato. 

Il rifiuto di farsi merce, che esprima in se un programma di dittatura che imponga l’abolizione del lavoro salariato, che distrugga il rapporto fra lavoro e diritto all’esistenza. 

Nella lotta gli operai hanno già opposto il rifiuto del lavoro all’apparenza del dominio capitalistico! Su questa via dobbiamo marciare! 

Alle avanguardie per il partito [1970, Potere operaio] SCARICA IL PDF

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