La frequentazione dei racconti da parte dei bambini inizia prestissimo nella vita e non tende a diminuire a mano a mano che crescono: è questo l’assunto quasi ovvio dal quale prende le mosse la notissima riflessione di Jerome Bruner, dal suo La mente a più dimensioni [1986] (trad. di R. Rini, Roma-Bari, Laterza, 20133) fino a La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura, vita [2002] (trad. di M. Carpitella, Roma-Bari, Laterza, 2006) ed è da quest’ultimo che trarremo tutti i riferimenti al pensiero dello psicologo statunitense scomparso nel 2016.

La forma del racconto, sin dalle primissime fasi della nostra esistenza, sarebbe uno stampo che impone la sua forma alla realtà e sarebbe in grado di modellare intimamente l’esperienza quotidiana: da un lato, «contraddistingue il genere umano tanto quanto la posizione eretta o il pollice opponibile» (p. 97), dall’altro, «offre mondi alternativi che gettano nuova luce sul mondo reale» (p. 11). Mediante la letteratura di immaginazione, continua Bruner, si ha la tentazione di riesaminare l’ovvio e, in ragione di ciò, grande sarebbe la sua carica sovversiva, prima ancora che pedagogica. Pur prendendo le mosse dal familiare è nel regno del possibile che la finzione letteraria si addentra, coniugando la realtà dall’indicativo al congiuntivo, trasformando il consolidato in possibile, ma soprattutto esteriorizzando l’interiorità. Il racconto, allora, è uno strumento per trovare i problemi, più che per risolverli. Oltre a modellare il mondo, la narrazione plasma «anche le menti che tentano di dargli i suoi significati» (p. 31), in un dualismo incessante che è alla base della costruzione del Sé.

La creazione del Sé è, dunque, un’arte narrativa che avviene tanto dall’interno quanto dall’esterno: il Sé è anche l’Altro, spiega Bruner, giurando che la questione dell’identità, che ha carattere profondamente relazionale, si giochi su un equilibrio che la narrazione creatrice deve trovare tra autonomia e relazione col mondo delle altre persone: in una parola, impegno. Ovviamente qui si sta parlando di quella funzione pericolosa della narrativa che crea mondi possibili, estrapolandoli dal mondo che conosciamo, e che si pone in netto contrasto col puro intrattenimento. Non è forse proprio nel discutere se il mondo e la vita debbano essere come sono che risiede il germe della sovversione? La risposta di Bruner è risolutamente affermativa, a patto che si riesca a vincere il reciproco isolamento di narrativa e fattualità. La sensibilità per la lotta, o se si preferisce la controsoggettività, consiste nell’alleanza tra la definizione del mondo paradigmatico (o logico-scientifico) e, un po’ a sorpresa, le oscure minacce di quello narrativo. L’impegno, declinato in questo modo, non ha la postura sciattamente engagée, positiva, superficiale e in un certo qual modo formalmente orientata sulla cronaca, di chi vuole guarire le persone o provare a riparare il mondo, cercando un adattamento; bensì, detiene quel carico di dubbio e di ambivalenza che gli consente di agire soggettivamente nelle mille contraddizioni della realtà capitalistica di oggi.

La redazione di Malanova

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