Quella che segue è un’altra testimonianza di chi, avendo lavorato nel settore privato della sanità calabrese, è stato costretto a trasferirsi in Emilia Romagna alla ricerca di una posizione lavorativa più stabile e dignitosa. Il racconto esperienziale del nostro Operatore Socio Sanitario – al quale abbiamo garantito l’anonimato – apre un’interessante spaccato sulle dinamiche neoliberiste di privatizzazione che hanno interessato l’intero servizio sanitario nazionale con il progressivo dirottamento di ingenti quantità di denaro pubblico verso i soggetti privati operanti nel comparto socio-sanitario. Le conclusioni alle quali giunge il lavoratore sono chiare e al contempo disincantate: la Calabria non potrà raggiungere quelle condizioni assistenziale e socio-sanitarie minime e dignitose se non riuscirà ad affrancarsi dalla presenza impoverente del privato e dalla logica del profitto.


La mia esperienza lavorativa inizia in ambito assistenziale prima del 2000 perché feci il mio primo ingresso in questi ambienti nei centri assistenza di Monsignor Cesare Oliveti per tre mesi dove lavorai in “Carusa” e “Spirito Santo” che sono due realtà esistenti di socio-assistenza privata. Quindi, il mio primo impatto è stato col privato in Calabria e, all’epoca, non esisteva la figura dell’operatore socio-sanitario (prima del 2001, n.d.r.); c’erano volontari o OTA oppure, in altre regioni, ASA o OSA. Erano figure molto diverse dall’operatore socio-sanitario; molto diverse da quello che oggi è la socio-assistenza sia in Calabria che in Emilia Romagna perché poi sono sopraggiunti standard nazionali che richiedono figure qualificate che all’epoca non c’erano.

Successivamente, dopo altre esperienze lavorative , mi qualificai nel 2009 come operatore socio-sanitario e lavorai in una lungodegenza a San Polo d’Enza in provincia di Reggio Emilia e successivamente trasferito in un “nucleo speciali demenza” presso una cooperativa sociale: parliamo sempre di un privato.

Dopo, nel 2010, superai un concorso pubblico per l’Asp Reggio Emilia (per Asp intendiamo l’Aziende di assistenza alla persona), azienda di proprietà del comune di Reggio Emilia che si occupa di diversi tipi di assistenza. In questa Asp ci sono diversi servizi come i “nuclei speciali demenza” e i “nuclei psichiatrici”. Ho operato per quasi 5 anni nel nucleo specializzato in psichiatria, più precisamente nel nucleo Iris di Villa Primula; poi ho lavorato e lavoro tuttora in un nucleo misto dove ci sono diagnosi differenziate.

Noi sostanzialmente ci occupiamo di socio-assistenza quindi non di sanità: siamo in ambito psichiatrico, per una parte della nostra utenza, e in ambito di patologie riguardanti la degenerazione cognitiva attinenti alla problematica della demenza.

Sostanzialmente ho superato abbondantemente il decennio di esperienza in ambito assistenziale e come struttura siamo chiaramente a stretto contatto con la sanità reggiana, quindi con l’azienda ospedaliera di Reggio Emilia: c’è un continuo scambio di informazioni, ma soprattutto di pazienti che vengono poi mandati da noi per un periodo o in ricovero definitivo (dipende da tante valutazioni che si fanno in ambito anche sociale).

Il servizio oggi non è neanche paragonabile a quello di allora. Prima, seppur con molta fatica per via dei tagli feroci che sono stati operati in ambito assistenziale dall’azienda di proprietà del comune (un’azienda pubblica), si osservava, si monitorava e si assisteva la persona a 360° nelle sue problematiche che potevano essere di tipo fisico, psichico, emotivo, sociale, di contatto col territorio; l’assistenza era anche domiciliare oppure più semplicemente spirituale: si guardavano tutte le dimensioni della persona. Oggi in epoca covid con i decreti del governo, le restrizioni e i nuovi protocolli che chiaramente sono stati imposti dal comitato tecnico-scientifico, sostanzialmente l’unica cosa alla quale stiamo prestando attenzione è il problema virale legato al covid. C’è stata una netta trasformazione: per noi la persona era emozioni, psiche, fisicità o anche più semplicemente funzioni vitali; oggi il nostro focus è tutto sull’applicazione dei protocolli anti-covid.

Quindi per me c’è stata una profonda e radicale trasformazione. Oggi la socio-assistenza, almeno secondo la mia esperienza, che è quella del lavoro nel “nucleo Lilium”, è, come già detto, concentrata prevalentemente sul problema virale. Va da sé invece che tutto il resto meriterebbe un’attenzione maggiore perché la distribuzione dell’attenzione rispetto alla totalità della persona − che è molto di più della somma delle sue diverse parti − per me è il principio fondante dell’assistenza a una persona.

Nel momento in cui guardi solo un aspetto della persona il rischio che si corre è quello di focalizzarsi esclusivamente su un problema trascurando gli altri. Mi auguro che ciò non avvenga ma soprattutto mi auguro di essere smentito.

In Calabria non abbiamo solo un problema sanitario, ma anche di socio-assistenza e lo testimoniano le tante aziende private: ad esempio, quelle del territorio di Cotronei (KR) che si occupano anche di socio-assistenza perché le strutture pubbliche e la politica di questi anni non hanno mai investito nella costruzione di un servizio pubblico e di un’azienda pubblica. Mentre nelle province come Reggio Emilia c’è l’asp di proprietà del comune, a Crotone l’Asp non è capace di fare, magari non è messa nelle condizioni di poter fare questo tipo di investimenti necessari per poter erogare un adeguato servizio pubblico.

Nel momento in cui subentra il privato a erogare sanità e socio-assistenza, non c’è nessuna speranza di poter garantire una condizione favorevole per il genere umano; il privato non può, per sua natura, essere nella condizione di erogare un servizio per quello che è: ha un bilancio che mira al guadagno. Il privato eroga dei servizi laddove è venuta a mancare la sanità e la socio-assistenza pubblica.

Quindi siamo di fronte a una responsabilità pesante da un punto di vista della gestione politica ed economica del territorio; questa non può essere soltanto imputata all’ultimo decennio o all’ultimo governo regionale calabrese o nazionale.

Nel momento in cui arriva su un territorio, il privato fornisce quelle risposte che il pubblico non riesce a dare; allora è chiaro che si è assoggettati fisiologicamente ad esso. Voglio sottolineare che un privato, anche legittimamente, non fa un investimento semplicemente per erogare un servizio, ma lo fa con lo scopo di guadagnare. Quando la sanità e la socio-assistenza sono sottoposte a un guadagno economico, a mio giudizio e premettendo che sono contro ogni logica di guadagno inerente ai servizi alla persona, non c’è nessuna speranza per una socio-assistenza e una sanità che tutelino davvero i cittadini calabresi.

Non credo che questo governo possa dare delle risposte concrete perché non è riuscito a darle fino ad oggi e nel periodo di picco massimo dell’emergenza e non le darà neanche in futuro. Il governo si è dimostrato assolutamente inetto nella gestione sia pandemica, sia politica sia economica di questo Paese.

Se in regioni ricche come l’Emilia Romagna in una qualche misura esiste ancora un servizio territoriale seppur falciato da finanziamenti pubblici che si sono sempre di più assottigliati (anche in ragione dello stemma europeo che non ha nulla di dignitoso né sul piano economico, né su quello politico), in Calabria si è sottoposti a condizioni ben peggiori. Se il quadro è questo, la Calabria non potrà farcela: non potrà raggiungere quelle condizioni in cui viene erogato al cittadino un servizio assistenziale e sanitario dignitoso che abbia come obiettivo la tutela della salute delle persone.

Oggi è possibile che altre aziende private si propongano come soggetti capaci di erogare servizi che invece dovrebbero fornire lo Stato e la Regione nella logica di sopperire alle gravi e imperdonabili mancanze prodotte dalla politica negli ultimi 50, 60 anni. Dove c’è il privato, però, non ci potrà mai essere una condizione libera ma soprattutto corretta perché io ritengo che la sanità e la socio-assistenza non possano essere assoggettate alla logica di guadagno dell’imprenditore privato. Ritengo che questo sia uno dei modi peggiori di fare socio-assistenza è sanità.

Concludo dicendo che, ahimè, se non ci fossero stati questi privati, oggi in Calabria non ci sarebbero neanche i loro servizi. In Calabria la situazione è assolutamente grave e non può volgere a una felice risoluzione perché le risorse pubbliche non sono indirizzate alla costruizione di strutture pubbliche che eroghino un servizio: non ci sarà nessuna speranza di poter avere una sanità e una socio-assistenza che funzioni.

Un Operatore Socio Sanitario del crotonese (ora operante in Emilia Romagna)

LE ALTRE TESTIMONIANZE

# 1 Operatore front office medici di base

# 2 Un Operatore Socio Sanitario

#3 Un infermiere

#4 Una cittadina/utente

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106 thoughts on “CRISI PANDEMICA E SANITÀ CALABRESE: UNA TESTIMONIANZA [#5]

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