di J. R.*

Sarebbe quasi scontato dire che ogni sconvolgimento ed ogni crisi portano a galla le più grosse contraddizioni del sistema che vanno a colpire: il problema è che quando si porta all’attenzione questa ovvietà si assiste ad uno sguainar di spade unito ad un levarsi di scudi, in difesa dell’azione politica che ha determinato le condizioni critiche o, nella peggiore delle ipotesi, si assiste al solito balbettio cianciante di chi non ha idea di cosa dire. Questo succede spesso non tanto per difendere un’idea o una visione politica ma, semplicemente, per coprire le pudenda di una classe politica incapace e completamente supina ad esigenze altre rispetto a quelle della collettività ed evidentemente compartecipe di questi interessi.

La crisi economica post-pandemica non solo non fa eccezione a questo meccanismo ma vista la vastità della sua portata si preannuncia come “la tempesta perfetta”, ossia una combinazione di fattori fortuiti che aumentano l’uno la portata devastante dell’altro.

Per capire quali sono questi fattori dobbiamo partire da alcuni elementi introdotti nel sistema normativo attuale, i quali generano una serie di contraddizioni macroscopiche nei nostri territori. Una di queste contraddizioni, ad esempio, soggiace all’interno del dibattito istituzionale, nel quale impera una coscienza ecologico-ambientalista di cartapesta la quale strologa di consumo di suolo zero, facendo risaltare questo slogan nei documenti ufficiali, negli strumenti strategici della pianificazione urbana, in realtà però l’unico zero che abbia un senso è il livello di adempimento a quello slogan.

Il perché di questo atteggiamento ambiguo è presto detto; c’è bisogno di essere credibili mentre si gira col cappello in mano per svendere il territorio al peggior offerente. I processi che hanno trasformato gli enti locali in mendicanti si chiamano Patto di Stabilità (1997 e successive modifiche),[1] modifica della fiscalità comunale,[2] [3] Fiscal Compact (2012),[4] che ha poi portato all’introduzione dell’assurdità per eccellenza del Pareggio di Bilancio in costituzione (2014);[5] questi processi, soprattutto al livello locale, hanno provocato forti squilibri indebolendo la capacità di spesa degli enti locali in genere e dei comuni in particolare.

Una delle prime conseguenze, misurate soprattutto a causa della modifica della fiscalità comunale, è stata una forte riduzione delle entrate: ciò, unito all’impossibilità di indebitarsi, ha consegnato i territori comunali al ricatto degli immobiliaristi, i famosi “stakeholders” che ogni programma di ridefinizione urbana tiene in debita considerazione. Vengono tenuti così tanto in considerazione che i programmi vengono redatti ascoltando le loro necessità di investimento. Ciò può accadere in quanto uno dei più consistenti introiti sui quali le anemiche casse dei comuni possono contare è fornito dagli oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) a seguito di piani di lottizzazione conseguenti all’approvazione di strumenti urbanistici “strategici”. Peccato che l’unica strategia che riescono a mettere in piedi sia la possibilità per gli enti locali di svendere il territorio alla speculazione immobiliare, derogando quanto basta per consentire una cubatura appetibile, capace di attivare la macchina del cemento; analogo discorso vedasi per le grandi opere e tutte quelle operazioni che utilizzano leve finanziarie e meccanismi speculativi a scapito delle comunità locali.[6]

Un altro nodo, che è venuto al pettine in conseguenza ai mancati introiti, è costituito dagli investimenti nella salvaguardia del territorio in generale e nel mantenimento dei servizi essenziali in particolare; tra questi spunta il diritto all’alloggio, con tutto il portato sociale che questo servizio reca con sé. Soprattutto in una fase come quella che si sta aprendo, che sarà caratterizzata da una consistente riduzione della domanda in termini di consumi a causa della contrazione dei redditi, soprattutto nelle fasce medie e medio basse del corpo sociale, la garanzia di un tetto per chi vive in affitto comincia ad essere una grossa incognita.[7]

Le toppe multicolori che il governo sta cercando di mettere ad una coperta sempre troppo corta, non bastano a risolvere il problema e non fanno altro che procrastinare l’inevitabile esplosione delle contraddizioni accumulatesi negli ultimi lustri.

Bloccare i decreti di sfratto esecutivo fino al 30 settembre non può bastare ed iniettare qualche spicciolo nel mercato degli immobili in affitto potrà servire a limitare le perdite per le grosse società immobiliari ma non è una soluzione, non può esserlo e, di fatto, non lo sarà.

Ecco quindi che inciampiamo in un paradosso, il primo di una lunga serie: da un lato abbiamo un patrimonio immobiliare sia pubblico sia privato assolutamente vuoto, in disuso e semplicemente chiuso che supera ampiamente la domanda di alloggi attuale e supererebbe perfino la domanda che a breve giungerà: si parla di circa 7 milioni di immobili di varia natura vuoti.[8] Dall’altro lato abbiamo persone che non hanno un alloggio, comuni che non conoscono la reale consistenza del loro patrimonio di edilizia pubblica, che non assegnano o che non mantengono e lo Stato che elargisce qualche spicciolo per non far perdere la casa in affitto ad un numero crescente di famiglie. In questo paradosso, di chi praticamente muore di sete con un bottiglia d’acqua in mano perché non ha idea di come aprirla, c’è tutto il portato di quelle contraddizioni cui la politica di ha oramai abituati, con in più l’alibi dei bilanci bloccati e della penuria di fondi.

In un momento in cui si potrebbe approfittare dello shock da pandemia per ripristinare un minimo di princìpi e mettere in discussione il patto di stabilità, il pareggio di bilancio ed il fiscal compact, si preferisce tornare a legarsi mani e piedi a quei meccanismi che aumenteranno l’efficacia e l’efficienza delle politiche liberiste per dare il colpo di grazia a quel poco di welfare che resta. Già diversi comuni hanno immaginato di mettere sul mercato buona parte del patrimonio degli alloggi popolari, nella speranza di fare cassa, con la prospettiva di avviare programmi di social housing gestiti da privati e sovvenzionati dal pubblico. Inutile dire che vista la crisi del mercato immobiliare in arrivo sarebbe un boccone ghiotto per i soliti noti, magari gli stessi che avevano fatto incetta di unità immobiliari per farne B&B nelle città universitarie o turistiche.

A fronte di un patrimonio immobiliare sterminato, che potrebbe essere rimesso in sesto con una spesa forse minore rispetto a quella attualmente destinata per sostenere il mercato degli affitti, si potrebbe mettere in sicurezza una grossa fetta di società che sta in bilico sul baratro della povertà. Inutile ricordare quanto il valore sociale di un alloggio sicuro, che non erode buona parte del reddito già scarso, possa significare all’interno di una prospettiva di precarizzazione dell’esistenza; essere un po’ meno ricattabili rispetto ad offerte di lavoro impietose.

In conclusione il contraccolpo economico generato dal blocco forzato delle attività commerciali e produttive (lungi dall’essere orizzontale e colpire tutti allo stesso modo) scoperchierà un vaso di Pandora di proporzioni titaniche; l’atavica inefficacia dell’azione politica però, tutta appiattita su istanze di salvaguardia di interessi economici immediati, in altre parole l’interesse di quel gruppo, di quel settore, di quella catena di valore ecc. non riuscirà a cogliere l’occasione per scrollarsi di dosso i legacci delle politiche liberiste, esattamente perché quei precipui interessi derivano e traggono la loro forza di coercizione esattamente da quel corpus normativo che ha sancito nero su bianco la supremazia della ragion di mercato sulla sopravvivenza e la capacità di riproduzione della società.

Le contraddizioni per quanto macroscopiche saranno sempre offuscate da una cortina fumogena di finti problemi su questioni di lana caprina per giunta sintetica: è a questo che serve il teatrino della politica d’intrattenimento e da avanspettacolo, un circo per distrarre e fabbricare consensi sempre più effimeri, creando nemici dal nulla. La pandemia sta in qualche modo indicandoci il vero nocciolo del problema, come un dito ossuto che indica la Luna ma noi cosa stiamo realmente guardando?

*Umanità Nova n.19 | 31 maggio 2020

note:

[1] https://www.camera.it/leg17/465?tema=il_patto_di_stabilit_e_crescita

[2] http://www.parlamento.it/parlam/leggi/07244l.pdf

[3] https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2011-03-14;23!vig=

[4]https://temi.camera.it/leg17/post/trattato_fiscal_compact.html?tema=temi/le_regole_della_governance_economica_europea

[5] https://leg16.camera.it/465?area=1&tema=496&Il+pareggio+di+bilancio+in+Costituzione

[6] Alberto Ziparo. “Emergenze ambientali e territoriali: anche nel Mezzogiorno la svolta innovativa deve arrivare dal basso” http://www.osservatoriodelsud.it/2018/02/18/emergenza-ambientali-territorialianche-nel-mezzogiorno-la-svolta-innovativa-deve-arrivare-dal-basso/

[7] JR. “Chi pagherà lo scotto?”. https://www.umanitanova.org/?p=12154

[8] Rosy Battaglia. “Stop al consumo di suolo: le case ci sono, non ne servono altre”. https://valori.it/stop-consumo-suolo-case-ci-sono

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