Appunti Geopolitici (3): Risiko – giochiamo a fare la guerra fredda

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Quelli del “mondo di sopra” istituzionale si stanno annoiando. Non si può parlare solo di crisi e di ricette per superarla. La vita ha bisogno di qualche emozione in più. Quindi per rompere la routine, fra un orgia, una pippata e un bicchiere di champagne, passano il tempo a tirare i dadi davanti a una mappa del Risiko. Vanno con la mente agli anni belli della guerra fredda quando un escalation di paura permetteva e giustificava la rincorsa agli armamenti. Si tirano i dadi ed esce la Libia, un altro tiro e il teatro diventa quello siriano, un altro ancora e ci troviamo in Ucraina o nello Yemen. Si divertono, svuotano i magazzini militari dalle bombe datate e li riempiono nuovamente con gli ultimissimi ritrovati bellici. In tal modo hanno anche trovato la ricetta per far uscire il capitale dalla crisi di sovrapproduzione che lo attanaglia.

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Gli Stati Uniti, potenza sempre meno egemone, riposiziona le sue truppe. Un po’ in Polonia, un po’ nei paesi baltici, un po’ in Romania e Turchia, tanto per far sentire accerchiata la Russia che nel frattempo riposiziona i suoi giocattolini ai confini allertando le truppe affinché si trovino pronte alla battaglia in caso di attacco.

Dopo la Libia, il Risiko globale si è spostato in Siria dove si gioca una sorta di guerra mondiale regionale. Tutti provano a lanciare i dadi, Stati Uniti, Turchia, Russia, Isis, Curdi, Iran, Cina, Arabia Saudita, chi in maniera diretta, chi attraverso alleanze o tramite la donazione di armi e addestramento. In palio l’egemonia economico-militare del futuro. Non entrando in questo articolo sul chi abbia ragione e su chi torto, su chi fa il tifo a destra e chi a sinistra, ci posizioniamo al centro, dove c’è la popolazione civile siriana che come sempre apporta il sangue necessario per decretare il vincitore. Le alleanze si fanno giorno per giorno a seconda di com’è andato il lancio di dadi precedente. Gli Stati Uniti, pare sostenitori della causa curda, di recente sono corsi alla corte di Erdogan che in questi giorni ha fatto partire l’operazione “Scudo dell’Eufrate” ufficialmente tesa a mettere in sicurezza i confini Turchi ma in realtà finalizzata a stoppare l’avanzata delle milizie curde. L’operazione turca è scattata subito dopo la strage perpetrata durante una festa di nozze di un esponente del partito filocurdo Hdp a Gaziantep . Per Erdogan c’è la mano dell’Isis, per noi la certezza che le stragi di Stato sono ancora molto quotate negli uffici dei servizi segreti sparsi per il mondo. Solo 54 vittime, di cui 29 minori tra i 4 e i 17 anni sacrificati sull’altare della patria.

Dal sito Sputnik Italia apprendiamo che la Russia ha preso subito le distanze dall’operazione: “L’operazione militare della Turchia in Siria non è stata concordata tra Putin ed Erdogan, e Mosca non ha dato alcun consenso. Lo ha dichiarato oggi il presidente dell’Accademia di geopolitica, generale Leonid Ivashov”. Sull’altro versante anche l’Iran pare contrariata dalla fuga di notizie dei media russi sull’utilizzo da parte dell’esercito di Putin di una basa militare iraniana per i raid in Siria. Le alleanze sono inestricabilmente confuse. Chiaramente oggi, visti gli sviluppi della guerra che vede il crollo del fantoccio ISIS sia sul fronte Siriano che Irakeno, il principale nodo da risolvere per la pacificazione dell’area è la questione curda. I Peshmerga irakeni e le milizie YPG, del Rojava utilissimi nella fase del combattimento a terra contro lo Stato Islamico, oggi preoccupano per la loro pretesa di autonomia all’interno dell’area che potrebbe culminare con la richiesta della nascita ufficiale del Kurdistan attraverso la concessione di parte del territorio ufficialmente in mano a Turchia, Siria, Iran e Irak.
Dopo le coalizioni pro e anti Assad, dopo i raggruppamenti pro e anti ISIS, pare che la soluzione sia quella di unire tutti contro i curdi ed il loro Confederalismo Democratico che, a dire il vero, non prevede l’edificazione di una nuova entità statuale ma l’abolizione di ogni Stato specialmente se di natura etnica o religiosa.

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