La lunga notte della Repubblica

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Alla stazione di Bologna le lancette dell’orologio segnano ancora le 10:25. A quell’ora si fermarono anche le esistenze di ottanta persone, si scossero le vite di centinaia di inconsapevoli viaggiatori, si minarono le certezze di un popolo intero. Una bomba nascosta in una valigetta squarciò l’intera ala ovest della stazione, sventrandone le mura, facendo saltare in aria cose e persone e uccidendone 85. Matrice, mandanti, esecutori furono subito chiari ai più tranne che ad uno Stato che arzigogolava nella comoda teoria degli opposti estremismi e ad una classe politica e una magistratura che sulla dietrologia, gli sviamenti e i depistaggi creò le fortune di interi romanzieri e saggisti dell’epoca e di oggi.

La lunga notte della repubblica venne definito il periodo che dalla bomba alla Banca dell’agricoltura in Piazza Fontana a Milano nel dicembre del 1969, passando per Piazza della Loggia, l’Italicus, per i tentativi di più o meno accertati di colpi di stato, ha caratterizzato i primi decenni della storia della neonata Repubblica Italiana. Strategia della tensione è forse l’etichetta più consona ad indicare il piano eversivo messo in atto in quegli anni. Anni in cui organizzazioni fasciste, in concorso con settori statali (politici, magistrati, forze dell’ordine e apparati militari) “deviati”, avevano programmato e cercato di attuare un disegno terroristico contro la neonata repubblica sorta sulle macerie della seconda guerra mondiale dalla lotta contro il nazifascismo. Un piano finalizzato a spegnere l’anomala scintilla italiana di riscatto proletario, data sul piano istituzionale delle buone affermazioni elettorali del più grande Partito Comunista occidentale, e sul piano della lotta di classe dall’insorgenza della moderna classe operaia e delle sue formazioni combattenti; Un piano teso a restaurare una sorta di fascismo all’altezza  dei tempi, senza il folklore dei vessilli imperiali, delle aquile romane e delle camicie nere, ma con le stesse ambizioni imperialiste del ventennio, questa volta però apertamente schierato nel campo alleato USA e Nato; Un piano finalizzato ad instaurare quello che alcuni avanguardie operaie di allora avevano giustamente definito come  lo stato imperialista delle multinazionali, un modello di governo fortemente presidenzialista, un esecutivo forte senza le zavorre del parlamentarismo schiacciato sugli interessi delle lobby economiche e bancarie nazionali e sovrannazionali di riferimento. Una sorta di anticipazione di quello che sarebbe diventata l’Italia solo qualche anno più tardi.

La strategia della tensione sembra avere vari punti di rassomiglianza con quello che sta succedendo oggi a livello continentale e mondiale. Lungi da noi voler operare forzature di carattere analitico, (mestiere invece tanto caro ai vari analisti che dispensano sante verità in televisione o sui giornali), ma sotto certi aspetti, le modalità stragiste vissute in Italia negli anni di piombo hanno vari punti di somiglianza col cosiddetto terrorismo jiadista. Si colpisce nel mucchio. Si colpiscono i simboli. Si attacca la normale quotidianità della popolazione per diffondere clima di paura totale, di insicurezza. Con la differenza che, mentre nei decenni scorsi l’obiettivo delle azioni stragiste era creare un clima di terrore nella popolazione ed indurla nella scelta di uno stato forte e che trasmettesse sicurezza, oggi per certi aspetti sembra che attraverso il ricorso alla strategia stragista si voglia esportare tra le masse occidentali quell’incertezza propria delle popolazione e dei territori neocolonizzati e oggetto degli interessi e degli appetiti delle potenze imperialiste.

Riduttivo e controproducente però, per una seria analisi del fenomeno, sarebbe ricondurre tale manifestazione all’etichetta di fascista o quella molto in voga di terrorista “islamico”. Se col neofascismo dei nar o delle altre formazioni eversive di destra la moderna opzione stragista jidaista conserva solo alcuni tratti violenti ed eversivi, rispetto alla filiazione religiosa i punti di intersezione sembrano essere ancor minori. Il richiamo alla religione sembra rappresentare quell’ elemento di demarcazione tra la propria condizione di sfruttato, emarginato e colonizzato e l’occidente, responsabile dello sfruttamento, della miseria, nella quale lo ha relegato. La religione come gemito degli oppressi, direbbe qualcuno. Ad uno sguardo un tantino meno superficiale dalla vulgata comune, che vuole schiacciare lo scontro globale in atto ad uno scontro di civiltà, quello di daesh sembra essere piuttosto l’aspirazione di un nuovo costituente polo imperialista, in competizione con il tradizionale polo statunitense ed europeo in uno scenario di guerra globale che vede in campo attori ed interessi diversi, e che trova consenso non solo tra masse dei subalterni nelle nuove colonie ma anche nelle periferie e nelle banlieue delle metropoli occidentali .

Tornando invece alle similitudini tra Bologna 1980, Nizza o Monaco 2016, se non fosse per la differenza nella nitidezza delle immagine diffuse dai nostri moderni tv ultrapiatti rispetto alle scene sfocate del tubo catodico di alcuni decenni fa, ad ascoltare le parole ed i commenti dei nostri saggi esperti analisti sembra essere tornati indietro di 40 anni. Ma mentre lo spauracchio di degli anni ‘70 era rappresentato dalle Brigate Rosse, alle quali in primis erano sempre ricondotte tutte le vili stragi messe in atto in quegli anni anche se le evidenze, gli indizi o le rivendicazioni portavano ad altri, oggi a Monaco, mentre la sparatoria nel centro commerciale era ancora in atto già si lanciavano anatemi sulla matrice islamica dell’attentato, invocando leggi d’emergenza e interventi speciali, salvo poi scoprire ad un analisi meno di pancia e più razionale che il nemico era in casa, un ragazzo tedesco con chiare simpatie naziste. Come sempre in queste occasioni emerge in tutta la sua pochezza la saccenza della casta politica e del popolino, che si scoprono grandi conoscitori di geopolitica ed intrallazzi internazionali e spionistici salvo dimostrarsi ignoranti come pecore nel confondere su facebook Jim Morrison con un ladro slavo, e nell’invocarne il carcere a vita.  Dall’attacco alle twin towers ad oggi nessuna seria e ponderata analisi del fenomeno, sembra essere stata prodotta dalla propaganda ufficiale, ma solo vuota retorica sciovinista che richiama alla supremazia della civiltà democratica occidentale contro l’oscurantismo islamico, invocando e fomentando uno scontro globale che seppur in maniera latente sembra essere già in atto. Quello che bisognerebbe capire oggi è se abbiamo la volontà di ricadere negli stessi errori di quasi 100 anni fa, quando le sinistre europee si schierarono ognuna al fianco dei governi dei loro paesi o se, considerando le nuove composizioni di classe internazionalizzate che si registrano ormai in tutte le periferie e i quartieri popolari delle nostre città, abbiano più affinità e punti di intersezione le condizioni del lavoratore cosentino e napoletano con quelle del proprio omologo libico, siriano, greco, indiano o romeno, o quelle del lavoratore cosentino con quelle del proprio padrone. Laddove i padroni hanno lavorato a rompere, bisogna nuovamente ricomporre, nella prassi quotidiana cosi come nell’immaginario. Perché là dove vi sarà un avanzamento per un padrone si registrerà sicuramente una regressione per noi, a Melfi come a Dacca. Sostituire all’io proprio della società atomizzata e atomizzante, l’io collettivo della classe che non tiene da perdere che le proprie catene. Bisogna riscoprirsi nuovamente come parte di un processo collettivo internazionale ed in questo gli anni ’70 possono dare un grande insegnamento.

La mia patria sono i lavoratori, i sottoproletari, gli emarginati. La mia patria sono gli sfruttati di sempre, la mia patria sono gli ultimi di sempre. La mia patria ha mille idiomi, mille capitali, mille confini, mille religioni, mille bandiere. La mia patria non ha idiomi, non ha capitali, non ha confini, non ha religioni ed ha una sola bandiera. Chiunque ne faccia parte mi è fratello e con lui mi muoverò, mi organizzerò, lotterò.Chiunque la osteggi mi è  straniero e contro di lui muoverò, mi organizzerò, lotterò.La mia patria è la mia classe. (cit. Militant-blog)

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