Lo stabilimento di Mirafiori, creato nel 1939 dalla Fiat (oggi marchio del gruppo multinazionale Stellantis), ha oltre 80 anni di storia industriale.
Nel primo numero del settimanale “Potere Operaio” del 18-25 settembre 1969, che riprendeva il lavoro politico svolto nel settimanale “La Classe”, si diede notizia del fatto che al rientro dalle ferie oltre 6.000 operai Fiat si autolicenziarono: “rifiutano il lavoro di Agnelli e se ne vanno”, commentava l’articolo.
La fabbrica Fiat Mirafiori aveva a quel tempo circa 50.000 operai, rappresentando uno dei centri produttivi più grandi al mondo. Veniva anche definita «un grande errore del capitale» avendo permesso a tanti, troppi operai, di lavorare insieme.
“Mercoledì 27 agosto, all’officina 32 gli operai scioperano per squadre: i saldatori prima, poi la fermata raggiunge i forni di brasatura, le squadre dei puntatori e così di seguito, con fermate di mezz’ora, che si ripetono nei giorni seguenti, sempre più di lunga durata, sempre più intense, sempre più organizzate.
Lunedì 1 settembre poche ore dopo l’entrata del I° turno sono di nuovo i saldatori che smettono di lavorare, seguiti immediatamente da altre cinque squadre con le quali si erano precedentemente accordati.
Quando si fermano anche i forni di brasatura si forma un corteo che gira per tutta l’officina paralizzandola. […] La parola d’ordine operaia che comincia a circolare è: più soldi e meno lavoro, subito, senza aspettare le scadenze contrattuali di settembre”. [“Potere Operaio”, n. 1, del 18-25 settembre 1969]
L’articolo sottolinea il continuo tentativo dei padroni di reprimere il dissenso operaio, in qualche modo coadiuvato dal sindacato che mal digeriva l’autonomia nella lotta della classe.
Lo stabilimento FIAT Mirafiori nel suo periodo di massimo sviluppo, 1967, diede occupazione a 52.000 lavoratori, saliti a 57.700 nel 1980 con una produzione di 5.000 automobili al giorno, oltre un milione all’anno.
Nel 2024 tutti gli stabilimenti italiani di Stellantis hanno prodotto circa 500.000 veicoli occupando 40.000 dipendenti.
Un anno particolare quello trascorso che si è caratterizzato per un forte tracollo della produzione ed un forte utilizzo di ammortizzatori sociali. [ https://ilmanifesto.it/per-stellantis-si-chiude-lanno-piu-nero-e-il-2025-sara-uguale]
Nel tracollo generale due fabbriche hanno numeri impressionanti con una flessione del 70 per cento per Torino Mirafiori e addirittura un meno 79 per cento per Modena. I volumi produttivi di Mirafiori nel 2024 sono pari a 25.920 unità rispetto alle 85.940 rilevate nel 2023. Nello storico stabilimento torinese si sono prodotte 23.670 auto del modello 500 Bev (elettrica), e 2.250 unità di Maserati. Quest’ultime ben lontane dal record delle 41.000 unità prodotte nel 2017.
“La situazione non vedrà miglioramenti in termini di volumi sino al lancio produttivo della 500 ibrida previsto a novembre 2025. […] Per tutto il 2024 la produzione è stata organizzata su un turno e alla richiesta di Cigo e Cds. Dal 19 febbraio 2024, nei giorni in attività, si è utilizzato l’ammortizzatore sociale coinvolgendo mediamente il 40% dei quasi mille lavoratori sulla linea della 500 Bev. Anche per i 1200 lavoratori di Maserati si è utilizzato il CDS per tutto l’anno. E’ bene precisare poi che l’anno è stato caratterizzato anche da continui fermi produttivi, con chiusura totale della linea di produzione, per oltre la metà delle giornate produttive annue. Il 2025 prefigura le stesse difficoltà, la ripartenza della produzione è prevista per il 20 gennaio sulla linea 500e e il 3 febbraio sulla Maserati”. [Fim CISL, Report: Situazione produzione STELLANTIS Italy anno 2024]
Il numero degli operai impiegati è drasticamente diminuito. Dai 50.000 del 1969 alle 2.200 unità del 2024. Al contrario la produttività del lavoro si è innalzata notevolmente: calcolando in maniera casareccia – non tenendo conto dei blocchi delle linee e della cassa integrazione – a parità di produzione (1 milione di veicoli del 1996 rispetto agli 85 mila del 2013) oggi sarebbero solo 26.300 gli operai rispetto ai 50.000 delle fine degli anni ‘60. Considerando il massiccio ricorso al blocco della catena di montaggio con il relativo utilizzo degli ammortizzatori sociali e l’enorme complessità elettronica raggiunta nelle auto moderne, non dovremmo essere tanto lontani dal vero affermando che la produttività dal 1969 al 2023 è raddoppiata. Un piccolo calcolo numerico che potrà essere utile per altri ragionamenti.
Altra comparazione possibile è la risposta politica delle lotte operaie e la relativa posizione dei sindacati.
“Si sono avute negli anni Cinquanta lotte durissime, ma tutte con questa comune caratteristica disperata e difensiva. Lotte contro i licenziamenti, lotte per l’occupazione delle terre al Sud (con la prospettiva poi di essere strozzati dallo sviluppo capitalistico dell’agricoltura ), lotte contro la ristrutturazione: lotte, cioè, tutte di difesa, e dunque di sconfitta, perché se la lotta è difensiva, vuol dire che il padrone ha in mano l’iniziativa”. [da POTERE OPERAIO, dicembre 1971]
Mentre l’analisi politica di Potere Operaio, nel suo primo numero del 1969, si incentra sulla necessità di spostare lo scontro tra capitale e lavoro da una dimensione meramente rivendicativa ad una strettamente politico-organizzativa con la sottolineatura della necessità di strutturare il partito dell’insurrezione operaia, i sindacati guardavano con sospetto l’autonomia delle lotte dei lavoratori nelle fabbriche e tentava di ricondurle nell’alveo di una più tranquilla contrattazione delle parti per un miglioramento delle condizioni salariali.
“Questo processo è avvenuto, e avviene, tagliando fuori il sindacato, e rappresenta
per questo il problema più grosso per padroni e sindacati assieme. […] I sindacati, per cominciare, usano la carta della manipolazione: tentano cioè di far passare questa lotta come una protesta per l’inadempienza padronale dell’accordo-bidone – così lo chiamano gli operai – firmato il 27 del giugno scorso. Questa motivazione data dai sindacati, e ripresa nella globale falsificazione quotidiana della stampa (dal Corriere all’Unità), persegue lo scopo di recuperare una lotta che è solo e interamente operaia, collegandola con trattative e scadenze sindacali e padronali (accordo-bidone, contratti) che gli operai sentono come estranee. […] Gli operai hanno cominciato col chiedere forti aumenti sulla paga base, non sugli incentivi, e oggi i lavoratori in sciopero della officina 32 li hanno fissati a 150 lire. Hanno poi continuato con la richiesta della seconda categoria per tutti, subito, primo passo per la distruzione delle categorie stesse come strumento di divisione e ricatto in mano del padrone. […] E ancora: nel corso delle lotte gli operai hanno richiesto la pariflcazione normativa con gli impiegati, dalla mutura alle ferie, e oggi cominciano a
chiedere di essere pagati mensilmente e non ne vogliono più sapere della paga oraria legata alla produttività secondo l’interesse del padrone”. [da “Potere Operaio”, n. 1, del 18-25 settembre 1969, p. 4]
Mentre la classe operaia chiedeva miglioramenti generali della sua condizione lavorativa che passava anche, come abbiamo visto, dal rifiuto di tornare al lavoro espresso da migliaia di salariati nell’estate 1969, l’opzione politica espressa nel primo numero di Potere Operaio porta ad affermare la necessità del passaggio dalle mere rivendicazioni economico-contrattuali alla lotta politica che successivamente porteranno alla teorizzazione di una distinzione chiara tra reddito e lavoro fino al concepimento della lotta per il salario garantito che potesse accomunare gli operai del nord con i disoccupati del sud: non solo la richiesta di miglioramenti lavorativi ma un processo radicale al rapporto salariato proprio del modo di produzione capitalistico.
“Questo terreno noi lo chiamiamo salario politico (termine forse non immediatamente comprensibile, ma non è questo che conta: quando diciamo salario politico diciamo fondamentalmente capacità dei proletari di liberarsi dal ricatto del lavoro, cioè potere di non essere costretti a lottare per il lavoro). Salario politico per noi significa tutto un ventaglio di iniziative che si può portare avanti, significa organizzare la rivolta e la violenza dei proletari del sud per il salario garantito, significa organizzare la lotta e la violenza dei disoccupati della metropoli sullo stesso obiettivo del salario garantito, significa organizzare la pratica dell’appropriazione della ricchezza sociale come capacità di sfuggire al ricatto del lavoro per avere il potere e la libertà di non doversi massacrare di straordinari perché non si hanno i soldi per tirare avanti. Questo tipo di indicazione che chiamiamo salario politico, che si può articolare appunto nell’organizzazione di questi momenti di violenza nel Sud sul salario garantito, sull’organizzazione di questa pratica dell’appropriazione nelle metropoli del nord e nelle grandi fabbriche, ha questo significato: di esprimere il rifiuto della lotta difensiva. Una lotta non per il lavoro ma per il reddito, per il reddito sganciato dal lavoro, significa rifiuto da parte dei proletari della partecipazione. Significa questa volta, rifiuto operaio di partecipare alla crisi dei padroni”. [da “Potere Operaio”, n. 1, del 18-25 settembre 1969, p. 4]
Passando dal 1969 al 2025, non possiamo non lamentare la pressoché completa assenza di lotta dei lavoratori che hanno ceduto, dopo la caduta del socialismo reale, alla narrazione del capitalismo come unico sistema economico funzionante. Sembrano scorrere via in un silenzio assordante le crisi cicliche sempre più vicine e distruttive di ricchezza e vite umane. Tutto scorre intorno alle vertenze sindacali, risultando una pressoché completa assenza di un’analisi politica profonda che riesca a cogliere gli elementi di rottura con l’attuale modo di produzione, un’analisi che non si limiti alla rivendicazione di miglioramenti nel lavoro ma riprenda il pensiero di una liberazione dal lavoro che passi da una riappropriazione collettiva dell’immane crescita della produttività dei giorni nostri dovuta all’automazione robotica ed informatica.
Una lotta ed un’analisi che non si accontentino, dunque, come nelle dichiarazioni degli attuali rappresentanti sindacali della Fiom, di lamentare una scarsa attenzione dei padroni rispetto alle istanze del sindacato e un aumento di investimenti e produzione che mantenga gli stessi livelli di occupazione.
“Lazzi e Mannori si dicono “stupefatti che i dirigenti di Stellantis dichiarano che serve unità d’intenti e visione, quando nella realtà non c’è alcun tipo di confronto e negoziato con i rappresentanti dei lavoratori. Ricerchiamola allora questa unità d’intenti, con un vero confronto finalizzato a portare ulteriori investimenti a Torino e a Mirafiori, utili a far cessare questa cassa integrazione che sta sfiancando economicamente le lavoratrici e i lavoratori”. [https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/stellantis-lungo-stop-a-torino-mirafiori-dxf1oiz4]
Riprendendo l’espressione dell’articolo del ‘69 apparso su Potere Operaio, si auspicherebbe che anche nella fase attuale la parola d’ordine operaia ritorni ad essere: “più soldi e meno lavoro, subito, senza aspettare le scadenze contrattuali di settembre” svincolandosi dalla propensione all’ascolto del padrone!
Sarebbe necessario anche oggi un “partito” dell’insurrezione, una nuova ricomposizione degli esclusi e degli emarginati dal sistema che conduca ad un soggetto organizzato capace di analizzare in profondità l’attuale fase capitalistica, capace di sintonizzarsi con le necessità delle classi popolari sempre più emarginate dal dibattito politico e capace di direzione politica di questo blocco sociale…ma, purtroppo, nulla di tutto ciò sembra apparire all’orizzonte della sinitra radicale tra un’esternazione di Landini e un’apparizione della Schlein.