Brevi considerazioni su crisi, recessione e debito

I tempi delle purghe marca Troika sembrano appartenere ad un tempo remoto, forse dovremmo chiederlo ai greci e non sembrerebbero tanto lontani, eppure potrebbero presto riaffacciarsi. Con modalità forse differenti ma preservando le medesime finalità predatorie. Dal momento che la BCE sta man mano ritirandosi dall’acquisto di titoli di Stato, e dal momento che, al netto dei titoli già acquistati, l’indebitamento con l’Europa riguarderà i prestiti del programma Next Generation (quello che finanzia il PNRR italiano per intenderci) i rientri debitori e gli scostamenti di bilancio sono il nodo centrale del dibattito a Bruxelles.

Forse questa volta le cose potrebbero essere più complicate, dal momento che da pandemia, inflazione e crisi energetica ne stiamo uscendo, chi più chi meno, tutti un po’ acciaccati e in recessione. Ma quando ad essere instabile è l’economia considerata il motore trainante del PIL europeo cosa potrebbe accadere? Ebbene la Germania, attorno alla quale si è sviluppato il grosso della produzione europea, appare alquanto fiaccata dalla congiuntura economica e politica piuttosto sfavorevole. La sovrapposizione dei contraccolpi economici dovuti al lockdown, uniti al rincaro dei prezzi delle materie prime e quelli del comparto energetico, stanno seriamente preoccupando la nazione considerata una garanzia di stabilità. Non dimentichiamo che i titoli di Stato tedeschi sono utilizzati come riferimento per il rendimento dei vari altri titoli europei, il famoso spread è il differenziale di rendimento fra il titolo più sicuro e stabile, (il BUND) e qualsiasi altro titolo di stato dell’eurozona. Ebbene anche questa certezza al momento sta vacillando pericolosamente. Tra taglio delle stime di crescita[1] e flop nelle emissioni di BUND[2], l’immediato futuro non appare roseo per quella nazione che poco più di dieci anni orsono ha contribuito non poco a fare della Grecia un esempio per tutta l’Europa[3] delle conseguenze nefaste dell’indebitamento eccessivo.

Ora che potrebbe toccare proprio alla Germania di sforare sui conti sarebbe interessante capire cosa potrebbe accadere. Nessun caso Grecia 2.0 ovviamente, dal momento che i conti tedeschi sono attualmente in perfetto ordine, ma per mantenerli tali cosa è disposto a fare il Governo centrale? Attualmente sono alle prese con un piano da duecento miliardi di euro per ammansire il caro energia ma con molti problemi a farli saltar fuori con la vendita di titoli di Stato. Quasi un cane che si morde la coda.

La crisi energetica rallenta l’economia tedesca, più questa rallenta meno fiducia c’è nel suo debito, il che implica meno acquisti di BUND, cioè meno fondi per alleggerire il carico del caro energia, quindi costi più alti per le imprese, licenziamenti e il ricorso agli ammortizzatori sociali, ossia altro debito. Quindi un’emissione di BUND trentennali andata malissimo e a fargli eco un’altra di titoli quinquennali abbondantemente sotto le aspettative minime (1.7 miliardi di titoli venduti a fronte di una vendita prevista di 4 miliardi di euro), non sono notizie che passano in sordina. Una congiuntura assai infelice che con tutta probabilità costringerà la Germania ad uno scostamento di bilancio e ad un taglio di alcuni capitoli di spesa per mitigare il caro energia che sta rallentando di fatto l’economia. Rallentamento che per inciso riguarda non solo i tedeschi ma tutto quello ad essi collegato, compresa l’economia nostrana, solidamente ancorata a quella teutonica da filiere produttive condivise (meglio sarebbe definirle catene di valore) per quanto concerne la manifattura.

Dopo aver tratteggiato la situazione sarebbe da capire cosa potrebbe accadere, ma siamo molto sicuri che alla Germania, difficilmente potrà mai toccare la stessa sorte della Grecia. Tant’è vero che la Commissione europea approva aiuti per 225,6 milioni di euro alla Germania per l’acquisto di SEFE, “ex-Gazprom tedesca”. Detta in soldoni si tratta di un sostegno statale per 225,6 milioni di euro affinché la Germania acquisisca il 100% del controllo su SEFE, l’ex Gazprom Germania. Dovrebbe quindi essere oltremodo chiaro che nell’UE ci sono figli di un dio minore o figli e figliastri se vogliamo. Una prima spiegazione a tali distinguo (verrebbe da dire de iure oltre che de facto) consiste nel fatto che la Comunità Europea è un mercato costruito attorno ad interessi specifici in cui baricentro è la Germania. Mentre, come abbiamo detto, l’ingresso nell’Unione monetaria europea ha imposto all’Italia un rovesciamento della sua linea tradizionale di politica valutaria, lo stesso non si può ripetere della Germania. Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo e ripercorriamo brevemente alcune fasi salienti del percorso che ha condotto all’UE. Citando Augusto Graziani[4] possiamo rammentare che quando in Europa vigevano cambi flessibili (ad esempio fra il 1973 e il 1978) e anche successivamente, quando entrò in vigore il sistema monetario europeo, la Germania fece in modo di mettere in pratica una sua politica valutaria particolare [5]. In linea di principio, la Germania accettò più di una volta di rivalutare il marco rispetto alle altre valute europee; ma le successive rivalutazioni del marco furono sempre minori di quanto il differenziale di inflazione avrebbe richiesto per ripristinare il cambio reale precedente. Poiché per molti anni la Germania godette di una sostanziale stabilità dei prezzi, mentre gli altri paesi europei non potevano evitare una lenta ma continua inflazione, con il risultato che il marco tedesco, sebbene ufficialmente rivalutato in termini monetari, in realtà si andava svalutando in termini reali. L’industria tedesca riusciva in tal modo ad accoppiare la sua superiorità tecnologica al vantaggio derivante dalla possibilità di mettere in vendita i propri prodotti a prezzi relativi decrescenti. Questa strategia procurò alla Germania l’accusa di praticare una politica neomercantilista[6].

La Germania è, assieme alla Francia, quindi uno dei soggetti egemoni all’interno dell’economia dell’Eurozona, va da sé che è assai difficile che faccia la stessa fine della Grecia. Vuoi anche per la capacità di somministrare “cure lacrime e sangue” alla popolazione senza troppe cerimonie, ma difficilmente si vedrà imporre lo stesso genere di ricatti che a suo tempo costrinse a far accettare alla Grecia. La crisi greca avrà a suo tempo arrecato qualche timore alla Germania in merito alla possibile tenuta dell’eurozona, ma al di là del timore  ha portato più di qualche vantaggio. Questi profitti sono, in parte, il risultato di titoli di Stato ellenici acquistati dalla Bundesbank attraverso il cosiddetto SMP (Securities Market Program) della Banca centrale europea che sono poi stati trasferiti nel bilancio tedesco. Ciò ha consentito che fino al 2017 la Bundesbank abbia ottenuto un “utile” di 3,4 miliardi di euro, utile su titoli di debito di una nazione spremuta con un limone. Ma non basta, in quanto la creatività finanziaria unita al funzionamento del sistema di equilibri economici dell’UE hanno consentito che dei succitati 3.4 miliardi, 894 milioni siano stati “girati” tra il 2013 e il 2014 al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e alla Grecia. Ciò significa non solo che una differenza positiva di circa 2,5 miliardi è rimasta nelle casse pubbliche della Germania, ma che la Grecia è stata “finanziata” con gli utili del suo stesso debito.

A questo punto è assai difficile immaginare che ci sia qualcuno che possa imporre certe carognate alla Germania dal momento che nessuno può vantare la sua stessa stabilità economica. Ma se tale stabilità venisse meno o se gli appetiti energetici tedeschi non potessero essere soddisfatti in altro modo che non fosse una serie di accordi separati con Mosca cosa accadrebbe? La tanto temuta instabilità dell’eurozona, evitata comminando sanzioni e salassi al più debole degli stati come monito per tutti i pigs (Portogallo, Spagna e Italia) sarebbe forse prodotta da chi ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo? Anche se alquanto remota come possibilità c’è comunque un rischio di frantumazione dell’eurozona, anche se non esplicitamente voluto dalla Germania.

Il dibattito sull’austerity e sui rientri debitori è approdato a qualcosa di conclusivo, rivedendo una serie di clausole che tendono ad essere improponibili visto il poderoso indebitamento generalizzato degli ultimi due anni. Ad ogni modo queste strategie che vedono sempre e comunque Berlino agire da una posizione dominante. Sta di fatto che l’Europa non è divisa solo politicamente, lo è, forse con maggiore forza, soprattutto economicamente. Ci sono di fatto membri di serie A e membri di serie B (se non addirittura di serie C), popolazioni sacrificabili e popolazioni spremibili. Territori svendibili al peggior offerente e ambiti intoccabili.

Quello che la congiuntura di pandemia, inflazione, crisi politica e conflitto stanno portando alla luce, sono le estreme differenze all’interno di una Unione solo sulla carta. Comunità fittizia che con tutte le sue vicissitudini e criticità si trova al centro di un conflitto globale, zona di contrasto fra due modalità di espansione globalista, quella unipolare a stelle e strisce e quella multipolare che vede Cina, Russia e India fra i principali animatori. Il futuro è fosco ma c’è la garanzia che per quanto possa andare male ci saranno paesi che potranno sopravvivere e paesi destinati ad anni di patimenti. la Germania sarà nel primo gruppo, ma l’Italia dove riuscirà a collocarsi?

NOTE

[1].   Cfr. https://berlinomagazine.com/2022-germania-deficit/

[2].  Cfr. https://www.money.it/debito-germania-non-conviene-piu-perche-berlino-fatica-vendita-obbligazioni

[3].  Cfr. https://www.money.it/La-Grecia-e-davvero-uscita-dalla-Crisi

[4]. Cfr. Augusto Graziani, “L’Italia prima e dopo l’euro”, url: http://www.criticamente.com/economia/economia_politica/Graziani_Augusto_-_Cambiare_tutto_per_non_cambiare_niente.htm 

[5]. Cfr. C. Thomasberger, Schlingerkurs oder externe Stabilisierung? Anmerkungen zur Politik der deutschen Bundesbank, «Weltwirtschaftliches Archiv», n. 5, 1993, pp. 265-85.

[6]. H. Hagemann, On Some Macroeconomic Consequences of German Unification, in H. Kurz ed., United Germany and the New Europe, E. Elgar Aldershot, 1993, pp.89-107. P. Ciocca, La politica economica della Germania Federale, in V. Valli ed., L’economia tedesca, Etas-Libri, 1981, pp.97-138.

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