Si era intuito che Amazon & Co. avessero fatto buoni affari grazie al lockdown e alla consequenziale didattica a distanza, al lavoro agile e con gli acquisti on line.

L’onda lunga del lockdown ha spinto, oltre ogni più rosea aspettativa, i ricavi e i profitti dei colossi della tecnologia targati USA. I dati del terzo trimestre 2020 indicano chiaramente chi, durante il blocco pandemico, ha macinato quattrini: Facebook, Amazon, Apple e Google, tra vendite on line e servizi di cloud, hanno registrato entrate da capogiro.

Amazon ha riportato entrate in rialzo del 37% con 96,15 miliardi di dollari, con utili più che triplicati a 6,3 miliardi. Alphabet (holding a cui fanno capo Google LLC e altre società controllate) ha registrato un rialzo del 14% con 46,17 miliardi e utili del 59% pari a 11,25 miliardi.

I ricavi di Face­book sono saliti del 22% con 21,47 mi­liardi e utili lievitati del 29% a 7,85 miliardi nonostante il declino del numero di utenti in Nordamerica più propensi − soprattutto tra le giovani generazioni − ad altre piattaforme social. Anche Twitter, nonostante le sue difficoltà, ha superato le aspettative, per profitti e giro d’affari. Chiaramente anche i possessori di titoli sono stati tra i più premiati durante la crisi da coronavirus: Ap­ple ha guadagnato da gennaio il 54%, Amazon il 71%, Facebook il 34% e Alphabet il 15%.

Il con­fronto con i dati di previsione dà la misura dell’impatto sull’economia globale mostrata dai colossi della tecnologia. Amazon era attesa a un giro d’af­fari trimestrale di 92,7 miliardi e a utili per azione di 7,41 dollari. L’avanzata è stata trainata dal com­mercio elettronico e dalla divisione di servizi cloud, Aws (+29%). La pandemia ha generato impennate negli acquisti online dominati dal gruppo Amazon nonostante l’avanzata di concor­renti quali Microsoft.

Apple aveva previsto ricavi per 63,48 miliardi e utili per azione di 70 centesimi, sostenuti da forti avanzate nei servizi di streaming (Apple Tv). Per Alphabet le stime di en­trate erano pari a 42,9 miliardi e quelle degli utili per azione di 11,29 dol­lari. Per Facebook le attese erano 19,82 miliardi e gli utili per azione 1,94 dollari. (1)

Sul social network di casa Zuckerberg, crescono del 12% gli utenti attivi giornalieri: ciò significa che ogni giorno si connettono nella galassia virtuale di Facebook circa 1,82 miliardi di persone. E più utenti significa più pubblicità. (2)

Come per Facebook, è la pubblicità a far volare gli utili di Alphabet e YouTube. Nel primo caso, le entrate sono aumentate del 6,5% a 26,34 miliardi su base annua, mentre gli annunci su YouTube sono aumentati del 32,4% per 5,04 miliardi. Ad incidere più di tutto, però, sono state le entrate del cloud che sono aumentate del 44,5% a 3,44 miliardi di dollari su base annua. Non è un caso che la cosiddetta Google Suite è uno degli strumenti più utilizzati per lo smart working e per le attività scolastiche a distanza. (3)

D’altronde le nuove tecnologie digitali fanno ormai parte della nostra vita quotidiana, ma anche del nostro corpo, con i devices che diventano protesi indispensabili per la nostra sopravvivenza. Le portiamo addosso ovunque: controllano tutti gli ambienti della vita sociale, dal tempo libero ai luoghi di lavoro, dalla casa ai templi del consumo.

Una colonizzazione dell’immaginario a fini economici con un risvolto sociale ad essa funzionale: una nuova e spesso poco percepita subordinazione del cosiddetto popolo virtuale che, con i suoi like, i messaggi e i selfie condivisi sui social-network, contribuisce a potenziare il dominio dei Big Tech.

La potenza economica dispiegata da quello che Renato Curcio ha definito l’impero virtuale viene innervata nella società capitalistica attraverso i tanti dispositivi digitali che oggi mediano le nostre relazioni umane e le nostre attività lavorative. Siamo di fronte a una radicale metamorfosi antropologica che ha completamente rovesciato il rapporto tra gli umani e i loro strumenti di vita e di lavoro, modificando al contempo i ritmi e le relazioni umane che sembrano come affetti da un autismo digitale che «sterilizza ogni affettività relazionale costringendola a manifestarsi nei congelatori delle connesioni reticolate». (4)

Colossi come Amazon, Google e Facebook oggi costituiscono i capisaldi del capitalismo digitale i cui profitti sono direttamente proporzionali al numero dei loro utenti, forza lavoro inconsapevole e gratuita nell’iperfabbrica virtuale di internet.

Non conosciamo ancora le conseguenze sui tempi lunghi di questa ulteriore fase del modo di produzione capitalistico; è chiaro però che sin da subito occorre, da un lato, iniziare a immaginare pratiche di decolonizzazione collettiva per istituire, nei luoghi reali della vita, varchi di autonomia, dall’altro, pensare un contro-uso degli strumenti del capitalismo digitale per provare a inceppare il meccanismo accumulativo del capitale.

Un lavoro politico difficile e complesso che non può essere delegato in alcun modo ai governi nazionali o alla regolamentazione delle istituzioni internazionali.

La Redazione di Malanova


Note

  1. Amazon & Co. Vanno oltre le attese…, «Il Sole24Ore», 30 ottobre 2020.
  2. Ibidem.
  3. Covid-19: Big Tech è sempre più ricca, «Il Fatto Quotidiano», 31 ottobre 2020.
  4. Renato Curcio, L’egemonia digitale, Roma, Sensibili alle foglie, 2016.
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