DALLA PANDEMIA ALLA PATRIMONIALE È UN ATTIMO!

Sarà che la terra non è piatta e che la metà della popolazione vive a testa in giù, qualora ci fosse un sotto o un sopra dell’universo, ma ultimamente pare che si ragioni alla rovescia. Causa ed effetti si mischiano così come i problemi con le soluzioni.

Era quasi primavera, anche se gli ultimi studi dicono che circolasse già dall’inverno precedente, quando è scoppiata la prima ondata virale. Un mercato, un pipistrello o un pangolino, fatto sta che si è capito che la causa principale della pandemia risiede nell’irrazionale sfruttamento delle risorse del pianeta. Gli spazi vitali delle specie selvatiche si riducono sempre più e il contatto tra loro e gli uomini è sempre più probabile così come il salto che il virus compie adattandosi a specie diverse. Giovanni Maga, direttore del CNR-IGM di Pavia, spiega che i fattori coinvolti nella crescente frequenza di epidemie degli ultimi decenni sono molteplici: «Cambiamenti climatici che modificano l’habitat dei vettori animali di questi virus, l’intrusione umana in un numero di ecosistemi vergini sempre maggiore, la sovrappopolazione, la frequenza e rapidità di spostamenti delle persone». La stessa Greenpeace afferma che «il rischio potenziale potrebbe anche essere più esteso, assumendo una “dimensione temporale”. Lo scioglimento di ghiacci e ghiacciai, infatti, potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi. Nel gennaio 2020, per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha comunicato di avere rintracciato all’interno di campioni di ghiaccio di 15 mila anni fa, prelevati dall’Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti. Tracce del virus della Spagnola sono state ritrovate congelate in Alaska, mentre frammenti di DNA del vaiolo sono riemersi dal permafrost nella Siberia nord-orientale. Proprio il permafrost rappresenta un ambiente perfetto per conservare batteri e virus, almeno fin quando non interviene il riscaldamento globale a liberarli».

Così, dicono gli esperti, ci dovremmo abituare a queste ondate virali.

La scienza allora va in affanno, gli scienziati chiedono risorse per indagare il virus; è una corsa contro il tempo, c’è bisogno di trovare il vaccino per tornare alla normalità. Alla fine siamo come degli eroinomani che vanno in crisi di astinenza sempre più spesso e, sempre più spesso, devono ritornare a iniettarsi il “farmaco” che gli regalerà un nuovo equilibrio. Purtroppo il “farmaco” è una nuova dose, più forte, di eroina, la stessa che ci ha procurato la dipendenza.

Così pensa la tecno-scienza guidata dal capitalismo. Non serve disintossicarsi dall’eroina, basta farsi una dose maggiore per mantenere in equilibrio il sistema. Questo vale, ad esempio, per l’agricoltura industriale. Immani latifondi su cui si impiantano ogni anno gli stessi prodotti impoverendo il terreno, desertificandolo. Inutile fare le rotazioni, basta aumentare la dose di concimi chimici. Come nell’eroinomane, primo o poi arriva la dose letale. Non occorre dunque, afferma il capitalista, rinunciare all’estrazione forsennata di risorse per il nostro consumo, non serve dire basta alla spremuta di plusvalore che è arrivata a mungere le nostre stesse vite; basta premere ancora più forte, inventare una macchina che strizzi meglio…un altro po’ di succo, di certo, uscirà e noi potremmo continuare a ubriacarci di questo nettare!

Seguendo lo stesso principio, quindi, non serve rimuovere le cause che hanno messo in moto l’onda virale, basta trovare un vaccino e potremmo tornare alla nostra vita di prima, tranquilli.

Oggi, in pieno autunno, ci troviamo di fronte alla seconda ondata virale. Come dice Marco Bersani, i 120 miliardi spesi non sono serviti per aggiustare la macchina sanitaria perché sono stati impiegati male seguendo le parole d’ordine della produzione e non quelle della riproduzione. Anche nel mondo variegato dei “sinistri” che provano a cavalcare le giuste rivendicazioni popolari, si additano le cause proponendole come soluzioni del problema. Non c’è da unirsi per gridare all’unisono contro un sistema che ha finalmente scoperto le carte della sua irrazionalità, rigettarlo in toto, chiedergli di giustificarsi per tutto quello che sta avvenendo, fargli dichiarare fallimento. No, alla fine basta la Patrimoniale! Basta un vaccino. Non c’è da condannare un sistema totalmente irrazionale fin dai suoi assiomi fondamentali ma da aggiustarlo un po’. Tutto va bene, la ricchezza c’è, basta redistribuirla meglio. Pagateci, sembrerebbe dire la massa rivoltosa che si è mossa negli ultimi giorni, e poi chiudeteci. Siamo disposti all’eremitaggio ma almeno dateci una scodella d’acqua pulita e un pugno di riso. Non importa da dove provengano i denari, o meglio, è importante che paghino i ricchi. Suppergiù è la ricetta proposta da Beppe Grillo e dai suoi ospiti del blog. Si istituisca un reddito di base universale attraverso una tassa (leggi Patrimoniale) mondiale sui ricchi del 7 o 8% per garantire a tutti gli abitanti del mondo un reddito mensile di 500€. Potrebbe sembrare un’ottima idea se non si confondesse la tattica con la strategia. Se mi chiudi mi paghi! Certamente, ma c’è bisogno di una teoria capace di accogliere una simile proposta. All’interno del sistema dato, il 7% di tassazione non è che un solletico per i patrimoni monstre di alcuni gruppi e addirittura di alcune famiglie. Questo garantirebbe loro di continuare a produrre con l’attuale ritmo accaparrandosi il 93% delle risorse lasciando per strada un 7% che garantirebbe alla massa di non morire di fame e anche di stare serena, di continuare a fregarsene del mondo rimbambendosi o terrorizzandosi davanti a uno schermo, sgranocchiando un po’ di pane e cipolla o banchettando con una scodella di riso e fagioli transgenici, a seconda di cosa passa la tessera. Certo gli toccherà stare a casa, chiusi, perché alla fine li hanno pur pagati per questo, mentre i filantropi se la spasseranno in qualche isola non toccata dal virus tra caviale e champagne!

No, non dobbiamo confondere i piani. Dobbiamo tornare a mettere a posto i pezzetti, a ragionare senza confondere la causa con gli effetti. Oggi sì, nell’emergenza, tatticamente, serve chiedere un po’ di reddito spalmato sulla cittadinanza per evitare che muoia di fame. Ma domani? Qual è la strategia? Oltre le nuvole dell’attualità, brilla ancora un sol dell’avvenire? Non basta togliere qualcosina ai padroni del mondo permettendogli ancora di estrarre valore dall’ambiente e dalle nostre stesse vite, inquinando, saccheggiando, distruggendo. Bisogna spogliarli completamente! Bisogna sovvertire completamente il paradigma capitalistico.

Lo stato attuale dell’avanzamento tecnologico e scientifico permetterebbe di produrre, attraverso robotica, automazione e informatica, tutto il necessario per una vita dignitosa per tutti e tutte. Di sicuro, come diceva Gandhi, Al mondo c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non l’avidità di tutti”. L’espansione economica su scala globale, la finanziarizzazione, mira solo al profitto individuale o corporativo. Bisogna allora ritornare a localizzare il modo di produzione, ritornare a un’economia e a una politica su scala locale [1], come nello swadeshi Gandhiano [2], interessata al benessere comunitario, a una società ecologicamente e socialmente orientata centrata sul rispetto per le risorse naturali e gli esseri viventi. Un’economia della cura, appunto.

Il problema è che l’attuale weltanschauung pone alla base di tutto il sistema un individualismo estremo quale vera leva per il progresso umano che, attraverso una forsennata concorrenza, farebbe emergere i migliori, i vincenti, che con le loro capacità sarebbero in grado non solo di arricchirsi personalmente facendo la propria felicità ma anche di arricchire il mondo facendo tracimare verso il basso benessere per tutti. Tutto ciò ha portato al completo annichilimento della cooperazione umana basata sull’empatia e sul servizio, un ribaltamento dei valori umani primari capace di spogliare letteralmente il mondo causando l’attuale emergenza ambientale e climatica nonché l’odierna pandemia che ci vede reclusi o mascherati. Questa non è la vita paradisiaca prevista dai fautori del capitalismo.

Questo cambiamento nella macchina per quanto riguarda le campagne o «zone rurali» che si può vedere perfino ad un’analisi superficiale, si presenta anche nelle città o «zone urbane». Le grandi città si sono riordinate o si trovano in questo processo, dopo o durante una guerra spietata contro i suoi abitanti marginali. Ogni città ne contiene molte altre, ma una centrale: la città del capitale. I muri che circondano questa città sono formati da leggi, piani di urbanizzazione, poliziotti e gruppi di scontro. Il mondo intero si frammenta; proliferano i muri; la macchina avanza nella sua nuova guerra di occupazione; centinaia di migliaia di persone scoprono che la nuova casa promessa loro dalla modernità è una chiatta in alto mare, il bordo di una strada, o l’affollamento di un centro di detenzione per «clandestini»; milioni di donne imparano che il mondo è un gigantesco club di caccia dove loro sono la preda da catturare; l’infanzia si alfabetizza come merce sessuale e lavorativa e la natura presenta il conto del lungo debito che, nel suo saldo in rosso, accumula il capitalismo nella sua breve storia come sistema dominante[3].

Per questo è ritornato il tempo di farsi sotto. Non basta una timida patrimoniale, seppur tatticamente comprensibile, bisogna fare il processo ai padroni del mondo, chiedere il conto dello stato presente delle cose. Il muro di Berlino è caduto e con esso l’utopia del socialismo reale. Acqua passata! Ora sono i signori dal pensiero unico a doversi giustificare sul perché le cose sono andate così storte. Altri muri devono crollare oggi e le masse rivoltose non hanno da chiedere l’elemosina di un reddito di sussistenza ma l’intera proprietà dei mezzi di produzione perché siano organizzati su basi sociali diverse. Per fare questo non servono agitatori del giorno dopo, servono militanti e organizzazioni capaci di anticipare tendenze ad agirle nelle contraddizioni. Non servono padroni e schiavi, servono cooperanti. Non servono amministratori ma meccanismi di autogestione.

Il capitalismo è come una finca, dicono gli zapatisti, un latifondo, e i “sinistri” si ostinano a chiedere al padrone che gli venga dato almeno un ovetto. Oggi, invece, bisognerebbe avere il coraggio di chiedere la gallina, il pollaio e la terra intera perché il padrone ha fallito e non ha reso il feudo quello spazio sicuro e felice che aveva promesso. Il feudatario si nutre di “latte e miele” nel suo paradiso tropicale, perché il padrone non abita il latifondo, mentre noi siamo costretti a lavorare per pochi spiccioli girando con la mascherina.

È venuta l’ora di buttare via ogni maschera e chiedere il conto. Cari padroni del mondo, non solo non potete chiuderci ma non potete neanche pagarci, veniamo a riprenderci tutto per condividerlo e gestirlo in comune ribaltando la priorità tra produzione del capitale e riproduzione sociale, tra valore d’uso e valore di scambio, tra lavoro e sfruttamento.

La pandemia ci ha insegnato che nulla può e deve mai più essere più come prima, che non può esistere produzione senza riproduzione, felicità senza cura.

Dalla Pandemia alla Patrimoniale è un attimo, ma qui urge una rivoluzione!

La Redazione di Malanova


note:

1 Marco Bersani, https://www.machina-deriveapprodi.com/post/riprendiamhttps://www.machina-deriveapprodi.com/post/riprendiamoci-il-comune-per-un-diverso-futuro-urbano-e-ruraleoci-il-comune-per-un-diverso-futuro-urbano-e-rurale

2 http://www.ecn.org/molino/giornale/numero6/swadeshi.htm

3 https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/08/22/300-prima-parte-una-finca-un-mondo-una-guerra-poche-probabilita-subcomandante-insurgente-moises-supgaleano/

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