di Alessandro GAUDIO*

Le nostre abitazioni, durante questa quarantena forzata, si sono trasformate in contro-spazi. Come diceva Michel Foucault, i contro-spazi non sono frutto soltanto della capacità inventiva dei bambini: sono nuovi luoghi reali che la società adulta ha all’improvviso dovuto creare fuori da tutti i luoghi. Casa nostra è diventata una zona, allo stesso tempo mitica e concreta, di contestazione dello spazio che abbiamo vissuto fino a ieri; si è tramutata in uno spazio altro, in un’utopia materiale, riconducibile a un luogo preciso e reale. Si parla in questi casi di eterotopia che è il luogo, familiare e privatissimo, riservato all’isolamento e che serve, in primo luogo, a far fronte a una crisi biologica senza precedenti.

La società in crisi non ha potuto individuarla ai suoi margini estremi, alla stregua di una prigione, di un manicomio o di un ospizio, perché era necessario che ciascuno di noi avesse la sua regione chiusa, la sua scatola per decomporsi: pertanto, ne ha individuato la presenza nel cuore pulsante della nostra quotidianità.

Ad ogni modo, la nostra casa si è trasformata in una specie di tappeto orientale, un giardino magico (per alcuni in una specie d’inferno) nel quale si raccolgono tutte le bellezze e le brutture di un mondo, che mai è stato così piccolo, dal quale si possono sorprendentemente esercitare delle attività che consentono un passaggio che comporti trasformazione o, magari, rigenerazione. Quanto meno, da questo spazio illusoriamente circoscritto sul quale possiamo contare, si può denunciare l’illusione che la realtà di fuori sia perfetta e ordinata; oppure si può fare di esso una specie di invito alla pausa, di riserva della nostra immaginazione che ci servirà quando la nostra casa-imbarcazione tornerà, per così dire, in porto.

Questo spazio dell’eterotopia che è la casa in cui siamo confinati, essendo fuori luogo, ha la capacità paradossale di insinuare un dubbio nei confronti del nostro benessere autarchico, a patto, però, che sia in grado di rendere sostanziale la nostra discontinuità, critica e dunque effettiva, rispetto a quello che adesso è il terreno su cui imperversa la malattia e che non si riduca a spazio di disperazione, a scenario di psicopandemia o, peggio ancora, di esaltazione del luogo comune.

Torre della Signora, 6 aprile 2020

* R.A.S.P.A. (Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela)

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