Il concetto di rieducazione sancito dall’art. 27 della nostra Costituzione è oggi più che mai una formula vaga e di rito, buona per ogni uso e capace di ospitare qualsiasi contenuto. L’introduzione di politiche alternative non ha volutamente prodotto risultati convincenti e la grave carenza dei servizi assistenziali non ha fatto altro che accentuare politiche di controllo a discapito di quelle finalizzate ad un efficace reinserimento sociale del detenuto.

Tutto come da copione. La risposta punitiva di uno Stato riesce sempre a mantenere il suo unico scopo: permettere al sistema di autoalimentarsi e di auto-riprodursi in una logica economica della pena in cui, come sosteneva Alessandro Baratta, “il sistema punitivo non si presenta come violenza inutile ma violenza utile” sempre e comunque “nell’interesse dei gruppi dominanti, sapientemente utilizzata dai detentori del potere per il mantenimento dei rapporti di produzione e di distribuzione ineguale delle risorse”.

È in forza di questo meccanismo ben studiato e calcolato che anche nell’attuale società dei diritti umani e dell’uguaglianza di principio e non di sostanza, diventano strumentali nuove forme di discriminazione e punizione sempre più diffuse. Ed è così che quando il grado di sviluppo fisico o psichico, economico o sociale o la differenza di genere o di razza non bastano più a giustificare l’indifferenza morale diventa necessario, in nome della sicurezza e del pubblico interesse, alzare il tiro per chiamare sempre più repressione.

Nel gioco delle parti il senso di colpa deve essere alleviato e ciò è possibile solo nel momento in cui si sbilanciano gli interessi in gioco. In questo senso, l’esigenza di emarginare non è più riducibile ad un problema di discriminazione ma ha un impatto ben più vasto e generalizzato traducendosi in una istanza di mera sopravvivenza in mano alle più becere forme di populismo. Nella guerra fra poveri è l’idea di soccombere che prevale, non altro. In questa prospettiva i sud del mondo e i suoi abitanti incarnano il timore di un peso economico insostenibile che affossa il Paese e i suoi abitanti.

Sono marginali i casi in cui prevale il timore di essere contaminati da una razza e da una cultura diversa. Da questo punto di vista la “crisi” dei migranti è una formidabile arma di distrazione di massa e, anche in questo caso, il meccanismo sorretto dalla triade criminalizzazione, paura, punizione ha funzionato perfettamente.

La manovra è ancora in corso. Approfittando del caldo estivo, stanno lavorando per realizzare un nuovo diabolico programma sorretto dalla richiesta di autonomia differenziata da parte di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Per questo la rivoluzione non può permettersi di andare in vacanza. La nuova ondata di criminalizzazione e di marginalizzazione spinge, senza mezze misure, verso la progressiva colonizzazione del meridione.

I continui ed assordanti appelli alla legalità fatti da una classe “dirigente” ipocrita, collusa e subalterna al potere dominante è funzionale a raccogliere il consenso verso ulteriori forme di repressione. Il nuovo nemico pubblico sarà il criminale del sud di Lombrosiana memoria, il terrone affiliato alle cosche che è solo un peso per la bella e florida Italia.
Diventa oltremodo necessario resistere alla secessione dei ricchi rivendicando le priorità di politiche di solidarietà tra i territori e pretendendo che i servizi minimi continuino ad essere garantiti. Sono necessari immediati interventi pubblici per il recupero del deficit infrastrutturale, incentivi sulla sanità e sulla scuola prima che la scure sociale, fatta di tagli indiscriminati, si abbatta definitivamente sulla parte più ai margini della società, su coloro che non hanno voce, su quegli ultimi che inevitabilmente non potranno che ricadere in quella spirale perversa che utilizza la riposta penale per far cassa.

Associazione Yairaiha Onlus

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