PROGETTO AZADI “Il nostro no alla riforma costituzionale”

1

Fin dal primo momento questa riforma costituzionale è stata presentata da Renzi e dai sostenitori del si come “cura” ai mali che affliggono la vita politica e sociale del Bel Paese. I concetti a cui questa riforma si ispira sono la governabilità e la competitività, questo è il mantra della propaganda renziana, questa potrebbe essere secondo Renzi ed i suoi, il punto di svolta della vita economica e politica dell’Italia, presentando invece gli oppositori come conservatori intenti a mantenere il “malato” status quo italiano. Ma in realtà competitività e governabilità non sono la panacea di tutti i mali ma l’epilogo definitivo verso la completa svolta oligarchica/neoliberista.

Governabilità e competitività hanno infatti un significato economico e politico ben preciso.

La governabilità tanto decantata dal governo vuol dire potere di comando senza limiti dal basso, difatti con questa riforma l’equilibrio dei poteri viene spezzato in favore dell’esecutivo che in questo modo non avendo più nessuna opposizione potrà eseguire rapidamente e fedelmente i dettami dei mercati e della finanza globale. Riforma e Italicum sopprimeranno il tratto distintivo delle costituzioni antifasciste del Secondo Dopoguerra, grazie a un premio di maggioranza spropositato rispetto ai reali voti ottenuti chi vincerà le elezioni entrerà in possesso dell’intero assetto costituzionale. L’artificiosa maggioranza consentirà al governo di eleggere a sua “immagine e somiglianza” le istituzioni di garanzia.  Inoltre il processo di verticalizzazione del potere si afferma altresì nella trasformazione delle autonomie territoriali da fantomatici enti espressione di una collettività ad enti amministrativi,  funzionali al perseguimento dell’indirizzo politico statale, eliminando così un importante  limite alle mire accentratrici della maggioranza parlamentare e dell’esecutivo. Difatti attraverso la riforma costituzionale verrà ulteriormente modificato il Titolo V. Diverse competenze tra cui trasporto e distribuzione dell’energia; infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e navigazione; beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; attività culturali e turismo; governo del territorio; protezione civile; porti e aeroporti civili, ritorneranno ad esclusiva competenza dello stato. Questo è esemplificativo della linea politica che questo governo che mira a verticalizzare i meccanismi di decisione e ad escludere la volontà popolare dai processi decisionali riguardanti i territori e le sue risorse. Con la riforma dell’articolo 117 della Costituzione s’invoca l’interesse nazionale per forzare l’applicazione di determinate leggi a livello regionale.

Inoltre la retorica che vuole un parlamento farraginoso e in preda all’immobilismo è contraddetto dalla storia dei governi italiani. Ogni anno il parlamento italiano approva più leggi dei parlamenti di Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti.  Tra decreti legge, leggi delegate e leggi di iniziativa governativa si è prodotto un sostanziale processo di smantellamento dei diritti sociali, ad esempio come emerge dai dati del Censis nel 2015, 11 milioni di persone hanno rinunciato alle cure sanitarie.

La coalizione guidata da Renzi è riuscita, senza avere la maggioranza al senato, a eliminare le garanzie sociali e del lavoro, ad approvare lo sblocca italia, la riforma della pubblica amministrazione, il piano casa, la buona scuola, la legge di stabilità e il jobs act.

Quest’ultimo è esemplificativo di come il governo intende la competitività, ovvero riuscire ad essere competitivi sul livello internazionale nell’attrare gli investimenti esteri tramite l’abbassamento dei diritti e delle tutele sanciti in costituzione.

Il provvedimento mira infatti a deregolamentare il sistema delle relazioni industriali, a diminuire i contratti a tempo indeterminato con un aumento della precarietà e della ricattabilità sul posto di lavoro, come affermano i dati dell’Inps del 2014 e 2015. Gli sgravi alle imprese rappresentano uno spostamento di reddito nazionale in favore della competitività aziendale e dei profitti.

Mentre si incentivano le imprese, le tutele sul lavoro diminuiscono, aumenta l’utilizzo dei voucher, il lavoro occasionale e aumentano i casi di sfruttamento.

Per quanto riguarda le università, esse sono diventate da luogo di confronto e conoscenza, strumento di omologazione, precarizzazione, sfruttamento, repressione e chiusura degli spazi di democrazia in piena linea con le logiche neoliberali dominanti. Quindi anche nell’università l’economico, la logica della concorrenza e del profitto sono diventati l’asse centrale della suo funzionamento. Ciò non ci sorprende, poiché l’università è una micro-società in cui si riproducono le condizioni politiche, sociali ed economiche del Paese. E’ da dieci anni che assistiamo a tagli sistematici al finanziamento degli atenei, alla precarizzazione della ricerca, allo smantellamento dell’università pubblica. Dal 2008 al periodo 2014-2015, “il corpo docente nelle università passa da 63mila a poco meno di 52mila, mentre il personale amministrativo passa da 72mila a 59 mila”. Il fondo di finanziamento ordinario delle università è diminuito, negli stessi anni, di circa il 22 per cento: oltre un miliardo di euro in termini assoluti. Sempre più spesso i dipartimenti provano a far leva sui progetti privati o europei. Così viene svilita la ricerca e la sua indipendenza intellettuale che, quindi, diviene oggetto di interesse economico, nella mera ottica del profitto. Risulta infatti chiara la linea politica intrapresa dal governo Renzi che vuole investire su pochi centri di eccellenza, a scapito dell’intero sistema pubblico universitario. Inoltre è di pochi giorni fa la notizia del regalo di Renzi alle scuole paritarie di 100 milioni in vista del referendum.Nel frattempo, le indiscrezioni sulla prossima legge di stabilità parlano di risorse da destinare direttamente ai dipartimenti più meritevoli secondo la valutazione ANVUR e un pacchetto per l’assunzione tramite chiamata diretta di 500 professori da scegliere tra i “migliori” ricercatori. Ma inseguendo esclusivamente merito ed eccellenza viene meno la funzione stessa dell’università pubblica quale volano per l’uguaglianza nelle opportunità di intere generazioni di studenti e ricercatori. Dall’altro lato, la definizione stessa di merito accademico risulta discutibile. In generale, la valutazione dell’Anvur si basa sul numero di pubblicazioni all’interno di una classifica di riviste accademiche. In sintesi, da anni viene perpetrato un attacco sistematico al sistema di istruzione pubbilco, dalle scuole alle università. Ciò è inscritto in quel processo di destrutturazione del welfare state ed eliminazione dei diritti sociali conquistati in anni di lotte, “consigliati” dai detentori del potrere economico nazionale e transnazionale.

Infatti le dichiarazioni di appoggio a questa riforma che vengono da FMI, BCE, UE, Stati Uniti, colossi finanziari e corporazioni dimostrano chi ha interesse nel vedere questa riforma realizzata, perché con questa nuova costituzione il processo di smantellamento del welfare state, le privatizzazioni e la deregolamentazione potranno avvenire più agevolmente. Non molto diversa fu la situazione di Cile, prima, e Messico, dopo, negli anni Settanta ed Ottanta che dovettero attuare sotto l’egida di Stati Uniti, FMI e BM delle riforme strutturali per poter ricevere degli aiuti finanziari. Risulta chiara la direzione economico-politica del capitale transnazionale, già nel 1975 in un suo rapporto la Trilaterale sottolineava il problema della governabilità della democrazia in ottica dell’adeguamento delle istituzioni alla globalizzazione neoliberista. L’UE è stata campo di sperimentazione delle teorie del libero mercato e dei principi ordoliberali, ciò si nota con la prevalenza data alla libertà di concorrenza e alle economie di mercato rispetto alla solidarietà sociale e all’intervento perequativo del welfare, da qui l’inserimento del pareggio di bilancio nelle costituzioni dei paesi europei e l’affermazione del valore del mercato in sé. Arrivando alle preoccupazioni di JP Morgan per le costituzioni dei paesi del sud Europa, che in suo rapporto afferma: “mostrano una forte influenze delle idee socialiste e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo il fascismo…ci sono esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti e delle regioni, tutele costituzionali dei lavoratori, diritto di protesta se i cambiamenti non sono graditi”.

Il nostro No rappresenta le ragioni di chi in questi anni è stato escluso dalla vita pubblica, dei subalterni, di chi lotta contro la distruzione dell’ambiente, per avere una casa, contro la precarietà, per un welfare accessibile a tutti.

Un no che non vuole essere conservazione, e difesa del feticcio costituzionale ma che vuole agire dal basso per la riappropriazione dei diritti.

 

 

 

 

Progetto AZADI

Print Friendly, PDF & Email

1 thought on “PROGETTO AZADI “Il nostro no alla riforma costituzionale”

Lascia un commento