i nostri sbagli li paghiamo con la libertà, ma la vita è troppo

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Forse quella di Antonio Verde non verrà mai conteggiata in quel lungo elenco dei “morti in carcere” che quotidianamente registra nuovi decessi e suicidi per il sol fatto che gli era stata sospesa la pena a metà marzo.
Antonio Verde è stato detenuto nel carcere di Siano. Gli ultimi 6/7 mesi di carcerazione li ha trascorsi in condizioni disumane, dilaniato da un tumore al pancreas che giorno dopo giorno lo stava inconsapevolmente consumando, nella quasi totale indifferenza dei sanitari penitenziari che avevano completamente sottovalutato la gravità della sua malattia. Veniva curato con i soliti antidolorifici del “carrello della felicità” ma senza nessuna diagnosi. A metà marzo scorso le sue condizioni precipitarono, svenne in sezione e venne (finalmente) portato in ospedale dove gli diagnosticarono un tumore al pancreas e varie metastasi. Purtroppo c’era poco da fare ormai, per i medici reggini era già arrivato ad uno stadio terminale! I familiari chiesero di poterlo assistere ma gli vennero concesse solo le ore ordinarie di colloquio. Venne ricoverato in isolamento, ma non era un ammalato come gli altri, si trattava di un detenuto, una persona di serie B e pertanto senza più nessun diritto agli occhi di chi amministra la giustizia, nessuna umanità. La discrezionalità dell’amministrazione penitenziaria consente di non rispettare la Costituzione, di non rispettare l’Ordinamento Penitenziario, di non rispettare i diritti umani. Le regole in carcere vengono ribaltate impunemente e quasi nessuno si scandalizza. Nessuna deroga alle “regole ribaltate”, neanche in casi drammatici come questo. Solo dopo il nostro sollecito il magistrato di sorveglianza fece quello che avrebbe dovuto fare in base alle sue prerogative: sospendere la pena in quanto malato terminale, permettendogli di andare a morire a casa.
I familiari naturalmente non si arresero a questa sentenza di morte certa senza tentare di salvarlo, Antonio venne ricoverato al Cardarelli e lì è stato curato. Cinque mesi di chemioterapia, ma le metastasi al fegato erano ormai in uno stadio avanzato, c’è stato poco da fare. A fine settembre Antonio Verde, 56 anni, muore perché, come attestato dai medici del Cardarelli, il tumore e le metastasi soprattutto non gli hanno lasciato scampo.
Se il tumore fosse stato operato in tempo, un anno/dieci mesi fa, Antonio sicuramente si sarebbe potuto salvare. La famiglia chiede giustizia e anche l’associazione si costituirà parte civile. Già ad aprile i familiari avevano presentato un esposto contro la direzione sanitaria del carcere per lesioni personali, ad oggi ancora non si sa niente, neanche il diario clinico del carcere è stato rilasciato, ma andremo avanti perché non si può morire così nelle mani dello stato.
E non dimenticheremo mai le ultime parole di Antonio che ci volle incontrare durante il viaggio di ritorno a casa per salutarci: <<continuate così, non mollate. I nostri sbagli li paghiamo con la libertà, ma la vita è troppo. Un ultimo pensiero ai tanti fratelli lasciati a Siano, non lasciateli soli.>>

Associazione Yairaiha Onlus

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