No perditempo!

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CHI SIAMO

Viviamo in un contesto sociale ipermoderno accelerato nei tempi di produzione, di trasformazione, di consumo. Si tratta di una modernità proiettata verso la continua ricerca della crescita economica lineare indefinita e del progresso tecnologico.

Una continua rincorsa al futuro, al modello dominante, al più avanzato sistema economico da parte di chi viene descritto in ritardo su necessità e tempi del capitale.

Modelli economici che mangiano il tempo, destabilizzano i luoghi, consumano la quotidianità delle persone. Comunità svuotate dell’autentico portato culturale, rimpiazzato da un tradizionalismo posticcio e un folklore ostentato vendibile e spendibile come prodotto genuino.

Comunità spinte a inseguire linee guida dettate dai promotori del nuovo codice del benessere sociale che fa del bravo consumatore il perno su cui il sistema trae profitto. Il capitale che sposta comunità e persone a proprio piacimento, che le rende incapaci di gestire il risparmio e li precarizza.

Il capitale che basa la propria azione di sviluppo sulla necessità di abbattere qualsiasi ostacolo esistente sulla strada del profitto (popoli, culture o singoli individui), travolgendolo con tutte le armi possibili, che siano le penne dei media o le bombe dei caccia, i manganelli dell’ordine o gli articoli di legge.

Il capitale che in nome di una verità assoluta, quella del profitto come progresso, si proclama come unico pensiero capace di determinare il superamento delle contraddizioni e dei conflitti sociali. Il nodo che «Malanova», come redazione militante, vuole indagare e provare a sciogliere è proprio questo: rompere la narrazione totalizzante che rende la comunicazione di massa disinformazione e strumento di affermazione del potere.

Il rapporto tra media e potere è qualcosa che non nasce oggi. Tuttavia, è proprio nella fase capitalistica moderna che questo rapporto si è andato modificando, seguendo l’evoluzione dei processi di accumulazione e delle nuove tecnologie. Ai vecchi padroni se ne sono aggiunti altri, con vesti diverse e profitti maggiori.

Parlare oggi di televisione, radio, giornale sembra quasi parlare di archeologia dell’informazione; le società hanno i social media, i canali video, i contenuti sempre pronti, presenti, visibili e accettabili a prescindere da chi li abbia creati e dal perché li abbia resi pubblici.

Le nuove tecnologie hanno aperto nuovi spazi di comunicazione, nuovi ambiti d’intervento, nuove forme di produzione di saperi. Lo hanno fatto senza destrutturare il rapporto di fondo di riproduzione del potere, ma divenendone campo d’azione e condividendone profitti e proiezioni culturali.

I media, social e no, continuano a vivere di pubblicità, di fondi privati e di finanziamenti pubblici a pioggia, di agevolazioni fiscali e di partnership industriali, fondandosi su un modello di produzione dei saperi istantaneo, privo di filtri, privo di verifica della veridicità.

L’individuo non è più colui che usufruisce dei media in modo autonomo e consapevole: diventa consumatore che, privato della possibilità di scegliere, risulta condizionato da algoritmi stabiliti altrove, sottoposto a formule di connessione che lo rendono informazione-merce vendibile sul mercato dei dati, target pubblicitario.

Del lettore non si butta via nulla. Sono proprio le sue interazioni con i social, i suoi “mi piace”, i siti visitati e le merci acquistate a fornire informazioni utili per la sua profilazione. I cosiddetti “Big Data” sono la nuova frontiera commerciale, politica e sociale.

Il web sa meglio di te quali sono i tuoi gusti, le tue opinioni, le tue tendenze e le usa per facilitarti l’acquisto con proposte mirate e personalizzate, per indirizzare il tuo voto, per orientare il tuo cammino. Proprio la ricerca spasmodica di profitto determinato dalla finanziarizzazione dell’economia ha reso i media suscettibili alle speculazioni politiche, alle pressioni, ai potentati economici.

Del tutto asserviti alla costruzione del consenso/assenso a una forma-pensiero totalizzante che è indifferente allo schieramento politico che la supporta e che agisce su piattaforme mediatiche che nascondono e consentono tali operazioni.

Il rapporto tra produzione di informazione e utenza assume, quindi, un contorno diverso dal passato. Non è più solo la penna di chi scrive a rendere servizio al potere. È la stessa macchina di produzione che ne è strumento, controllato all’origine e senza filtri, nella fase di divulgazione.

Il progetto editoriale di «Malanova» si pone come obiettivo quello di costruire una rete di informazione e approfondimento, costruita dal basso, da chi, giornalmente, si batte lavorando nei propri territori per rompere l’accerchiamento capitalista.

«Malanova» si propone di rompere il meccanismo che vede il giornalista iscritto all’albo scrivere in terza persona o per interposta persona, seguendo i lanci d’agenzia e copiando veline.

A questo teatrino intendiamo rispondere ponendo in essere la formula militante della narrazione politica e culturale attraverso l’inchiesta e la conricerca quali strumenti capaci di rendere le comunità in lotta soggetti narranti e protagonisti della vita dei propri luoghi, qualunque essi siano.

Questo progetto editoriale vuole attraversare i nostri tempi, descriverli, elaborarli. Vuole diventare fonte creativa di proposta politica culturale, essere punto di riferimento per quelli che hanno qualcosa da dire, per quelli che dispongono della pazienza di riflettere e dell’entusiasmo di partecipare.

Una redazione militante e aperta che vuole fungere da stimolo per la rielaborazione collettiva del nostro mondo, delle nostre difficoltà, dei nostri desideri. Gli strumenti di cui si dota sono le intelligenze e le sensibilità di ognuno, la creatività del collettivo, l’immaginario del politico.

Riscoprire il valore della penna contaminandolo con la potenza dell’immagine, la forza della voce, costruendo relazioni strutturate con tutti quelli che condividono i nostri sogni.

La Redazione