No perditempo!

Email: redazione@malanova.info


Il prezzo della velocità: l’inchiesta del Senato USA svela la verità sui magazzini Amazon


Washington, dicembre 2024. La reputazione di Amazon è, per milioni di clienti nel mondo, quella di efficienza e velocità: ordini che arrivano a casa in poche ore, confezioni impeccabili, assistenza puntuale, diritto di recesso. Questa reputazione è fondamentale per il colosso della logistica. Ma dietro la promessa di consegne sempre più rapide si cela un sistema che, secondo un’indagine ufficiale del Senato degli Stati Uniti, ha trasformato la velocità in un imperativo disumano.

L’inchiesta è durata diciotto mesi, guidata dal senatore Bernie Sanders e dal Comitato per la Salute, l’Educazione, il Lavoro e le Pensioni (HELP), ha raccolto le testimonianze di quasi 500 lavoratori e migliaia di documenti. Il risultato è un rapporto dal titolo emblematico: “Il compromesso tra infortuni e produttività” (ingl: The “Injury-Productivity Trade-off), che descrive un ecosistema dove le condizioni di lavoro non solo mettono a rischio la salute dei dipendenti, ma vengono scientemente ignorate — o peggio, coperte — dall’azienda.

L’ossessione per la velocità

Il rapporto parte da una constatazione semplice: la velocità è il cuore del modello di business di Amazon. Dal magazzino alla porta di casa del cliente, tutto è progettato per massimizzare la rapidità. Ma a farne le spese sono i lavoratori. “Non userei mai Amazon — ha dichiarato uno di loro al Comitato — preferisco aspettare, piuttosto che sapere che qualcuno si sta spezzando la schiena per consegnarmi un libro in sei ore.”

Nei magazzini Amazon, ogni dipendente è costantemente monitorato da sistemi automatizzati che misurano la produttività in tempo reale. Tre parametri guidano la performance:

  • Rate: il numero di compiti completati all’ora.
  • Takt time: il tempo massimo per completare ogni singolo compito.
  • Time off task (TOT): il tempo in cui un dipendente non è attivamente impegnato in un’attività.

Se i lavoratori rallentano — per stanchezza, per andare in bagno, per sollevare un pacco pesante in sicurezza — rischiano ammonizioni o licenziamenti.

Infortuni sistemici e taciuti

La velocità, tuttavia, ha un costo fisico. I lavoratori Amazon soffrono tassi di infortuni muscolo-scheletrici (MSD) ben superiori alla media del settore. Movimenti ripetitivi, carichi pesanti, posture forzate: ogni turno è una corsa a ostacoli contro il proprio corpo. Il Comitato ha scoperto che più del 30% degli infortuni in Amazon supera la media dell’intero settore della logistica. In alcune sedi, si registrano oltre 25 infortuni ogni 100 lavoratori.

Ma c’è qualcosa di più grave. Il rapporto depositato presso il Senato americano accusa Amazon di manipolare i dati sugli infortuni, mettendo in atto confronti favorevoli e ritardando o evitando le segnalazioni alle autorità. I centri medici interni, chiamati AMCARE, spesso non indirizzano i lavoratori a cure esterne e, talvolta, operano senza supervisione medica adeguata. L’obiettivo? Evitare che l’infortunio diventi “registrabile” secondo le norme federali.

I progetti interni ignorati: Soteria ed Elderwand

Il punto forse più inquietante del rapporto è la prova che Amazon conosce da anni la correlazione tra ritmi imposti e infortuni, ma ha scelto di ignorarla.

Nel 2020, l’azienda ha lanciato Project Soteria, uno studio interno per analizzare le cause degli infortuni. Le raccomandazioni erano chiare: ridurre la pressione sui ritmi, abolire le sanzioni per chi non raggiungeva le quote, aumentare le pause. Tuttavia, quando i risultati hanno mostrato che queste misure miglioravano la sicurezza ma riducevano la produttività, Amazon ha abbandonato le raccomandazioni.

Poco dopo, è partito Project Elderwand, che ha identificato il numero massimo di ripetizioni giornaliere sostenibili per evitare danni fisici, specialmente alla schiena. Anche in questo caso, l’azienda ha ignorato i dati, preferendo mantenere le prestazioni alte.

In un passaggio del rapporto, si legge che i dirigenti Amazon hanno persino imputato la causa degli infortuni non alla velocità, ma alla “fragilità intrinseca” dei lavoratori. Un’accusa che suona come un’aggravante, più che una giustificazione: i lavoratori sarebbero umani, troppo umani! In attesa del superuomo robotico meglio non staccare il piede dall’acceleratore della produttività!

Una cultura del silenzio e della paura

Molti dei lavoratori intervistati dal Comitato hanno dichiarato di temere ritorsioni per aver segnalato problemi di sicurezza. Alcuni hanno raccontato di essere stati licenziati mentre erano in congedo medico, altri di aver rinunciato a chiedere accomodamenti per non compromettere il proprio impiego. Il sistema disciplinare automatizzato di Amazon lascia poco spazio alla compassione o alla flessibilità: un algoritmo decide chi viene sanzionato, spesso senza nessuna interazione umana o possibilità di appello.

Non è un caso che in molti magazzini americani — da New York al Missouri — siano nati movimenti sindacali per rivendicare condizioni più dignitose. “È tutto per i numeri — ha detto un lavoratore — non importa se ti fai male. Devi solo andare più veloce.”

Amazon risponde: negazioni e minimizzazioni

Amazon ha contestato le conclusioni del rapporto, sostenendo di aver condiviso “migliaia di pagine di documenti” con il Comitato (molti dei quali, secondo il rapporto, erano solo manuali di pronto soccorso). Ha anche ribadito che “non esistono quote fisse” e che l’azienda “investe in sicurezza”.

Ma i numeri e le testimonianze raccontano una storia diversa. Due terzi dei magazzini Amazon hanno tassi di infortuni superiori alla media. Le “quote non fisse” sono nella pratica obiettivi produttivi imposti e monitorati digitalmente. E i lavoratori, stando al rapporto, continuano a lavorare in ambienti che “non rispettano gli standard minimi di sicurezza”.

Conclusione: un bivio per Amazon e per il lavoro moderno

Il caso Amazon è un simbolo. Non solo del potere di un colosso tecnologico, ma anche della trasformazione del lavoro nell’era digitale: un mondo dove i ritmi sono dettati da algoritmi, dove l’efficienza ha un costo umano, e dove la logistica diventa invisibile ma centrale.

Il rapporto del Senato USA lancia un messaggio chiaro: non possiamo più permetterci che l’innovazione proceda a scapito della dignità e della salute dei lavoratori. Il futuro della logistica non può essere costruito sul dolore di chi la rende possibile.

Il report: