13/03/2025
Negli scorsi giorni, il dibattito geopolitico si è incentrtato sulla richiesta di Trump all’Ucraina di ripagare gli aiuti militari ricevuti attraverso una risorsa strategica dell’economia globale chiamata terre rare.
Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici fondamentali per la tecnologia moderna, utilizzati in settori chiave come elettronica, energia rinnovabile, difesa e mobilità elettrica. A dispetto del nome non sono poi così “rare” in quanto ampiamente diffuse nel mondo, ma difficili da estrarre con processi ecosostenibili. Per questo motivo le attività di estrazione si sono concentrate in Paesi con una legislazione ambientali molto ‘leggera’.
I principali produttori mondiali di terre rare sono la Cina, che detiene oltre il 60% della produzione globale, seguita da Stati Uniti, Australia e Myanmar. Altri Paesi, tra cui Canada, Brasile e India, possiedono riserve significative, ma la loro estrazione è ancora limitata rispetto alla domanda crescente.
La quota di mercato cinese sale all’85% nella fase successiva della filiera, quella della raffinazione oltre a rappresentare una fetta quasi monopolistica, intorno al 90%, dei magneti a base di terre rare. Questi magneti hanno un vasto mercato a livello globale trattandosi di componenti centrali per veicoli elettrici e turbine eoliche. Per la sua politica di conversione all’elettrico, la domanda di tali prodotti da parte dell’Unione Europea raddoppierà entro il 2030. Ma al momento sul territorio europeo non si estraggono terre rare e si producono solo l’1% dei magneti.
Ad oggi, l’Unione Europea è fortemente dipendente dalle importazioni, motivo per cui si stanno intensificando gli sforzi per diversificare l’approvvigionamento e sviluppare una filiera più autonoma.
La Russia possiede alcune delle più grandi riserve di terre rare al mondo, concentrate principalmente nella Siberia orientale e nella regione di Murmansk. Sebbene il Paese non sia tra i maggiori produttori globali, sta cercando di aumentare la propria capacità estrattiva per ridurre la dipendenza dalla Cina e rafforzare la propria posizione geopolitica.
Nel 2023, la Russia ha annunciato piani per espandere la produzione di terre rare, puntando su nuovi giacimenti nella regione di Krasnoyarsk e sulla costruzione di impianti di raffinazione. L’obiettivo è quello di diventare un fornitore alternativo per Paesi in cerca di una diversificazione dell’approvvigionamento, specialmente dopo le tensioni economiche con l’Occidente.
L’Ucraina, pur non essendo attualmente un grande produttore di terre rare, possiede importanti giacimenti minerari, in particolare nella regione del Donbass e nel bacino del Dnepr. Alcuni studi indicano che il sottosuolo ucraino potrebbe contenere riserve significative di terre rare, ma l’instabilità geopolitica e il conflitto con la Russia hanno ostacolato lo sviluppo di un’industria mineraria su larga scala.
Nel 2021, l’Ucraina ha firmato un accordo con l’Unione Europea per rafforzare la cooperazione nel settore minerario, con l’obiettivo di sviluppare una produzione di terre rare che possa ridurre la dipendenza dell’Europa dalla Cina. Tuttavia, la guerra ha reso incerto il futuro di questi progetti.
La competizione per il controllo delle terre rare sta diventando un tema centrale nella geopolitica globale. La Cina mantiene un dominio quasi assoluto sulla raffinazione di questi elementi, mentre Stati Uniti ed Europa cercano alternative per ridurre la dipendenza da Pechino. In questo contesto, Russia e Ucraina potrebbero giocare un ruolo strategico nei prossimi anni.
Per l’Europa, investire nella produzione ucraina potrebbe rappresentare un’opportunità per diversificare le fonti di approvvigionamento, ma il successo dipenderà dall’evoluzione del conflitto e dalla stabilità del Paese. D’altro canto, la Russia, già sotto sanzioni internazionali, potrebbe cercare di rafforzare la propria posizione come esportatore di materie prime verso Paesi non allineati con l’Occidente.

Per ridurre il divartio con la Cina, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha approvato di recente il finanziamento di due impianti di separazione delle terre rare sul suolo statunitense. È un piccolo passo verso l’obiettivo dichiarato dell’amministrazione Trump di rompere la dipendenza del paese dalle forniture cinesi di minerali critici.
In questo progetto c’è il coinvolgimento diretto del Pentagono che deve coadiuvare l’arduo compito della creazione da zero di una catena di approvvigionamento di terre rare non cinesi.
Gli Stati Uniti, infatti, sono quasi interamente dipendenti dalle importazioni di composti di terre rare e metalli nell’ultimo anno, proprio come nei due anni precedenti. Secondo lo United States Geological Survey (USGS), la Cina è rimasta il principale fornitore con circa l’80% di tutte le importazioni.
Questa dipendenza dalla Cina per i minerali in usi critici per un’ampia gamma di applicazioni civili e militari è sempre più problematica visto il deterioramento delle relazioni commerciali e geopolitiche sino-statunitensi.
Gli USA attualmente non hanno praticamente alcuna capacità di produrre magneti al neodimio-ferro-boro (NdFeB), l’uso finale più comune per le terre rare che è fondamentale per il passaggio dell’industria automobilistica globale ai veicoli elettrici.
Strano ricordare che la General Motors, proprietaria di due brevetti originali per tali magneti, ha venduto i diritti proprio alla Cina.
“La maggior parte dei magneti sono prodotti in Cina”, ha detto ad Argus Media Pol Le Roux, vice presidente vendite e marketing di Lynas Corp. (“Argus White Paper: How to build a rare earth supply chain”, luglio 2020).
Certamente continueremo a sentire parlare di terre rare a lungo visto la loro centralità economica e geopolitica. La corsa agli armamenti e allo sviluppo tecnologico è appena iniziato e continuerà sulla linea di sviluppo di razzi spaziali, tecnologie energetiche e militari. Non importa alle elite globali quando questo impattera sull’ambiente e in termini di vite umane.