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Rapporto annuale ILO: l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione del mondo del lavoro.

Data: 15 maggio 2025


Nel cuore del cambiamento tecnologico e culturale che investe il mondo della produzione di beni e servizi, un nuovo report dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro (ILO), pubblicato di recente, si basa sulla ricerca svolta negli ultimi due anni dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA).

Ancora oggi, la sicurezza sul lavoro (SSL) è spesso percepita come un insieme di adempimenti burocratici e formali, scollegati dalla vita reale delle imprese e dei lavoratori: un mero adempimento spesso molto oneroso. Il documento sottolinea la necessità di superare questa visione della sicurezza lavorativa per abbracciare un modello in cui prevenzione, benessere e coinvolgimento attivo siano parte integrante della gestione aziendale.

L’evoluzione tecnologica del lavoro porta con sé novità fondamentali come lo smart working (vista anche l’accelerazione pandemica della sua sperimentazione e diffusione), l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, i rischi psicosociali, le disuguaglianze generazionali e di genere, il vulnus formativo. La prevenzione del rischio non può più seguire le logiche tradizionali ma deve saper leggere e affrontare fenomeni complessi e inediti. I nuovi strumenti digitali come l’analisi basata sull’intelligenza artificiale, il monitoraggio in tempo reale e i modelli predittivi “possono migliorare la valutazione dei rischi e le strategie di sicurezza, ma devono integrare, e non sostituire, la
valutazione umana delle pratiche di SSL”
. (Ibidem, p. 6)

Se da una parte si intravedono importanti risvolti positivi della digitalizzazione che, ottimisticamente, potrebbe ottimizzare l’organizzazione del lavoro semplificando i processi, automatizzando le attività ripetitive e fisicamente impegnative e migliorando la distribuzione del carico di lavoro, come pure riducendo lo stress sia fisico che mentale (EU-OSHA 2019) oltre che migliorare la sicurezza sul lavoro identificando preventivamente i principali pericoli, lo stesso report è cosciente della realtà che porta con se ben altri e negativi approdi. La proprietà privata di questi mezzi di produzione, infatti, non fa altro che postulare una loro utilizzazione che favorisca l’aumento della produttività del singolo lavoratore senza preoccuparsi molto delle conseguenze fisiche e psicologiche di tali utilizzazioni.

Questo tipo di tecnologia, inoltre, travalica il confine del tempo di lavoro fino ad occupare praticamente tutto il tempo di vita del lavoratore: se da una parte lo smartwork mi consente di lavorare da casa telematicamente, dall’altra comprime irrimediabilmente gli spazi liberati dal lavoro. Non dobbiamo neanche dimenticare la pervasività delle tecnologie informatiche capaci di un monitoraggio ossessivo e compulsivo che erode ogni spazio della vita privata.

L’ILO pare avere una visione positiva dell’impatto dell’intelligenza artificiale e dell’automazione sul lavoro umano. Secondo il report del 2023 l’automazione porterebbe alla perdita di circa 75 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo, ma l’intelligenza artificiale ne creerebbe 427 milioni in vari settori. Un bilancio molto positivo con differenze geografiche significative tra aree sviluppate (Europa e Nord America) e
aree in ritardo (parte dell’Asia, Africa e America latina) dove predominano i settori dell’agricoltura e della produzione informale che sono meno interessati dall’impatto dell’IA generativa(ONU/ILO 2024).

Le nuove tecnologie diminuirebbero il lavoro puramente umano in settori ad elevato pericolo e con attività pesanti e ripetitive (miniere, bonifiche, uso o disinnesco di esplosivi, irrorazione di pesticidi in agricoltura).

Non c’è settore che non possa prevedere l’utilizzo dei robot o dell’intelligenza artificiale che non solo si stanno sostituendo agli uomini nei lavori fisici ma, sempre di più, anche nei lavori cognitivi. Pensiamo alle vocine sempre più umane che rispondono nei call center, le chatbot e gli assistenti virtuali basati sull’intelligenza artificiale che possono gestire richieste sempre più complesse mostrando una sempre maggiore versatilità e naturalezza. Molti, per diminuire il loro senso di solitudine, si intrattengono in conversazioni con servizi di intelligenza artificiale messi a disposizione dai vari giganti dell’informatica (Goolge, Whatsapp, Amazon). Da alcuni studi realizzati in Inghilterra si evince che l’intelligenza artificiale potrebbe contribuire ad automatizzare circa l’84% delle transazioni ripetitive in 400 servizi governativi (The Alan Turing Institute 2024). Addio al “posto fisso” di Zaloniana memoria, ci pensa l’androide!

Non ci sono solo impatti positivi. Il report continua mostrando anche i rischi inediti provenienti proprio dall’adozione delle nuove tecnologie. L’interazione tra robot e persona può costituire di per sé un rischio. Errori meccanici o di programmazione, malfunzionamenti, sbalzi elettrici, la non corretta utilizzazione degli strumenti o la non applicazione delle regole di ingaggio, delle distanze o la semplice distrazione possono provocare nuove possibilità di rischio lavorativo. Anche la velocizzazione delle attività umane parametrate sulle possibilità robotiche possono indurre all’esaurimento delle capacità fisiche e psicologiche dei lavoratori.

Un altro rischio tecnologico è rappresentato dall’abolizione della vicinanza e dalla rarefazione delle interazioni tra lavoratori. Dalle casse delle postazioni Amazon, scientificamente posizionate a “distanza di chiacchiera”, fuoriesce un motivetto tecno che scandisce il ritmo sincopato di lavoro e impedisce al contempo la possibilità di conversazione tra gli operatori. Lo smartworking, che risolve il problema degli spostamenti, annulla le relazioni tra colleghi. Diventa così sempre più complesso il supporto tra colleghi o l’iterazione con i dirigenti, il che crea di fatto un isolamento che certamente influisce negativamente sul benessere psichico e che produce un ecosistema lavorativo meno coinvolgente. Altro elemento per noi fondamentale è il fatto che la lontananza, sfavorendo le relazioni tra lavoratori, azzera anche i processi organizzativi o di sindacalizzazione. Tra estranei o estraniati è difficile trovare strategie e prassi comuni per il miglioramento della propria condizione lavorativa.

Il mondo del lavoro sta sempre più diventando un lavoro su piattaforme. Tanti gli applicativi web-based che vengono utilizzati nella produttività individuale. Sempre più spesso, il lavoratore ha relazioni dirette solo con un’applicazione che scandisce i suoi obiettivi e le sue tempistiche.

Per capire bene l’impatto di questi software utilizzati per il monitoraggio del lavoro, si stima che negli Stati Uniti d’America l’80% delle aziende private utilizza sistemi di gestione algoritmica (Kantor J., Sundaram A., Aufrichtig A., Taylor R. 2022. “Produttività sul posto di lavoro: vieni monitorato?” The New York Times.). L’app innestata nella postazione lavorativa monitora attimo per attimo la tua prestazione lavorativa e ti sprona ad aumentare i ritmi se questi non sono in linea con le aspettative, non importa se sei nel pieno delle tue forze o magari sei andato a lavorare con una forte emicrania o una contusione alla mano. Anche questo un tempo era risolto nelle relazioni interpersonali dei dipendenti che potevano chiedere al collega una mano in caso di assenza o di malattia temporaneamente debilitante. L’estrema individualizzazione del lavoro apportata dalle tecnologie, desertificando le relazioni interumane anche verticali, ha lasciato sul campo il solo rapporto diretto lavoratore-algoritmo.

Se da una parte, analizza il report, gli algoritmi possono dare un grande aiuto nella distribuzione dei carichi lavorativi, nell’equità della misurazione della performance, nel facilitare la formazione continua ed anche nell’alleggerimento delle modalità lavorative (costruendo ad esempio dei giochi connessi al lavoro con obiettivi e livelli da superare – gamification), dall’altra rimane il rischio, anzi la certezza, di un controllo asfissiante della produttività da parte dell’azienda che genera la compressione e velocizzazione dei ritmi lavorativi che possono condurre ad incidenti e forti disturbi di natura fisiologica e psichica fino al punto di rottura. Nei comparti più evoluti tecnologicamente come la logistica, il turnover dovuto ad abbandono del lavoro da parte dei dipendenti è molto elevato.

I software aziendali utilizzati per scopi di sorveglianza nei sistemi gestionali (GA) sono molto invasivi e, come del resto tantissime altre applicazioni in uso per altri scopi come i social, hanno la capacità di raccogliere continuamente dati e informazioni personali in grado di profilare il comportamento di ogni singolo lavoratore, anche al di fuori dell’orario di lavoro. Spesso, tali software, utilizzano i dati biometrici come il riconoscimento facciale automatico, la scansione e l’analisi delle comunicazioni, il tracciamento della posizione e la registrazione dei tasti premuti dai lavoratori, l’attività dello schermo, fino alla registrazione vocale. Lavorare sapendosi sorvegliato continuamente, con alert e messaggi continui, influisce sul benessere dei dipendenti, cambia la cultura aziendale che non viene basata più sulla fiducia reciproca ma sul controllo e sulla produttività e sulla scansione stringente dei tempi invece che sugli obiettivi.

I lavoratori, in molti casi, sono divenuti utenti della piattaforma al pari degli acquirenti. Da una parte si acquista un servizio, dall’altra ci si accredita per poter lavorare. Entrambi, con scopi diversi, devono essere forniti del codice utente e della password per accedere alla medesima piattaforma dalle due estremità opposte. La pandemia Covid ha fortemente accelerato questa rivoluzione del lavoro e si stima che “tra 154 e 435 milioni di lavoratori operino su piattaforme online, rappresentando fino al 12% della forza lavoro globale (Datta et al. 2023). Il numero di piattaforme online è cresciuto in modo significativo, con stime in aumento da 193 nel 2010 a 1.070 nel 2023”. (Organizzazione Mondiale del Lavoro, “Rivoluzionare la salute e la sicurezza sul lavoro…”, op.cit., p. 25)

Il quadro dell’evoluzione tecnologica e della sua applicazione al mondo del lavoro è in continuo e velocissimo cambiamento. Anche questa velocità di cambiamento dovrebbe essere inserita tra i fattori che producono il rischio lavorativo vista la lentezza del nostro adattamento a questo frenetico e continuo aggiornamento tecnologico. Le conoscenze lavorative di base divengono presto obsolete e la prassi produttiva si modifica da un anno all’altro. Anche la legislazione arranca dietro a questa quotidianità fluida e spesso questo apre le maglie del tessuto normativo sempre a scapito degli utenti e dei lavoratori. Questo perché, e sempre di più, tutta l’innovazione tecnologica è nelle mani di poche, anche se giganti, multinazionali tecnologiche, di pochi padroni del mondo che indirizzano tutto il processo secondo i loro desiderata. Non si tratta di generare un nuovo movimento luddista ma di favorire una nuova riflessione sulla proprietà dei mezzi di produzione che parli di una socializzazione della tecnologia tesa a redistribuire gli indubbi vantaggi che l’automazione propone alla contemporaneità e a diminuirne al contempo i lati più distruttivi.