Riportiamo un frammento di Cultura, Formazione e Ricerca. Industrializzazione di produzione immateriale, libro di Romano Alquati pubblicato nel 1994 da Velleità Alternative e ripreso recentemente da Commonware.

Nel testo emergono con forza alcuni nodi irrisolti nel presente che attengono al mondo dell’università e della scuola e che ruotano intorno alla definizione di formazione e di cultura.

Il frammento che riportiamo – preceduto nei giorni scorsi dagli interventi di Giovanni Sole e di Alessandro Gaudio – apre alcune possibilità di ragionamento sul rifiuto dei processi di lavorizzazione e mercificazione della formazione a partire da una critica al movimento studentesco di allora ma soprattutto alla sacralità di alcune icone dell’intellettualità.


Alcuni problemi semantici, di parole-chiave

Vorrei ora porre dei problemi di semantica. La semantica è quella parte della linguistica (de-saussuriana) che si propone di capire che cosa è il significato (qual è, cos’è) delle parole e frasi, o solo dei segni. Io vorrei porre dei problemi di significato intorno ad alcune parole-chiave che ho ricavato dalla lettura superficiale di alcuni volantini pantereschi, da programmi di seminari cosiddetti “autogestiti” dagli studenti, in specie in università meridionali, dai programmi di concerti del movimento, di spettacoli, ecc.

Girano delle parole, usate in maniera anche piuttosto semiotica – ossia non per il loro significato -, e magica, religiosa, identificativa. Una “alternativo” l’ho già detta ed ha un’area semantica che potrebbe essere molto significativa, però è vocabolo un po’ bruciato dai verbosi usi recenti. Si può arrivare alla distruzione di una parola usandola, per cui adesso qui, così, torno a invitarvi a non usarla più, se non quando l’alternatività sia stata davvero immaginata e comunicabile. Ci sono però anche molte altre parole magiche in distruzione per abuso.

Qui finisce la digressione iniziale. Veniamo a formazione ed impresa, giacché voi ne parlate e sono nel titolo di questo mio discorso. Che robe sono? È il caso di fare un’analisi semantica su queste parole, che sono parole chiave.

Formazione (e capacità-umana)

“Formazione”: cos’è la formazione? In prima approssimazione la definisco come “la riproduzione allargata di Capacità vivente, ed umana anche. In prima approssimazione perché ci sono alcune importanti precisazioni da fare. La prima é proprio che in molte attività accreditate come formative(2) ciò non avviene per niente, o quasi. La seconda è che perlo più il formare procede solo nel senso della Potenza di capacità e quindi di “potenziamento”, ma non della sua Ricchezza(3) e quindi non di “arricchimento”. La terza è che lo stesso potenziamento è minore e comunque differente da quello possibile; e basterebbe che… Tutto ciò succede anche all’università.

Inciso importantissimo: l’università, come tutta la scuola, forma la capacità dell’attore-umano(4), non quella del soggetto-umano, che allora io considero come una “contro-capacità”, richiedente “contro-formazione”. Poi magari nell’informalità/latenza o nelle situazioni impreviste e/o contraddittorie, proprio grazie all’arretratezza dell’Università (e della scuola) italiana, momenti di formazione dell’agente-intermedio verso il soggetto-umano qui ci scappano ancora.

Chi ha letto gente come Vattimo, Rovatti, ecc. sa benissimo che c’é tutta una cultura di ascendenza anche francofortese che di fronte alla parola “vivo” va subito in visibilio e fantastica cose improbabili che io non ho nessuna intenzione di proporre usando tale ingannevole aggettivo. Per me “vivente” (già diverso da vivo) vuol semplicemente dire <che sta caldo in un corpo umano vivente ( e sociale)>. Infatti, dove sta la capacità-umana? La formazione forma la capacità-umana, singolare e collettiva, l’incrementa. Ma la capacità vivente dove sta? Sta nel corpo-umano(5). Quella umana sta “calda” nel corpo-umano vivente. Ma che cos’è il corpo-umano? È intanto il luogo della capacità-umana-vivente. Ho detto: la formazione riproduce con un incremento la capacità-umana-vivente. Quest’ultima è vivente perché sta nel corpo-umano-vivente e sociale; e sta nel corpo-umano-vivente e sociale per nascere, sopravvivere, crescere: perché tuttora può crescere solo lì: anche se combinata necessariamente con qualcos’altro che sta fuori, e cresce moltissimo lì fuori combinato con lei (e coi mezzi(6)). E nel corpo-umano sociale vivente sia singolare che collettivo. Se non ci fosse bisogno capitalistico irriducibile di questo, essa non starebbe ancora così nel corpo degli umani viventi e noi non conteremmo più granché; e dunque qui ci sono un’irriduzione ed un’irriducibilità importantissime che ci danno grande forza: la nostra principale forza anche contrattuale. E’ ovvio? Io dò molta importanza alla questione di questa forza.

Sottolineo: nel corpo sta unicamente perché c’è ancora bisogno(7) di lei ed anche di una certa sua crescita la quale può tuttora avvenire solo nel nostro corpo-vivente, da vedere più da vicino; e perché proprio imitando lei crescono i mezzi. Nel corpo perché stia così vivente(8) riproducendosi e finché qualcuno la conservi calda. Ma per chi? per l’uso ed i bisogni di chi? L’ho appena detto: del capitalista (collettivo). Pertanto chi è il vero possessore di quel corpo, che magari è il mio corpo, ovvero “sono io”? Se si ricorda che la nostra capacità sta calda nel nostro corpo perlopiù in quanto è merce o è almeno in mercificazione? La merce esiste innanzitutto per i bisogni del suo compratore! Chi domanda e compra la nostra Capacità-attiva? O la usa e consuma gratis? Chi mai? Il solito capitalista (collettivo). E per quali bisogni allora? Pei suoi.

Ma si può supporre simulando esplorativamente che in un secondo assai prossimo periodo non ci sia più bisogno che la capacità-attiva sia vivente, oppure piuttosto e perlomeno che non ci sia più bisogno sistemico che stia vivente nella modalità di “appartenenza al vivente” stesso che tradizionalmente si ritiene umana. E constatiamo che piuttosto ciò (di nuovo?) ormai comincia a capitare. Magari in un “vivo” macchinico…; come piace ai Cyberpunk.

Capacità-attiva-umana-merce

Formare la capacità-attiva-umana. La capacità è dunque qualcosa che si forma e si incrementa. La parola “incrementare” fa venire in mente un processo soprattutto quantitativo; ma esiste anche un altro aspetto, sempre al suo interno(9) che più naturalmente suggerisce la presenza anche di una dimensione qualitativa: capacità-attiva-umana che incrementandosi cambia un pochino la sua qualità (nel senso del suo valore-d’uso), ovvero la sua utilità-differente. Ma utilità per chi la usa; e chi la usa? la usa chi ce l’ha nel corpo? Non proprio, se si guarda meglio. La usa chi la compra, non chi la vende. E’ fatta per i bisogni di chi la compra, non di chi la vende. Ed ho già ripetuto che la compra il capitalista…. Questa è la questione centrale del nostro rapporto col capitalismo e della qualità del nostro vivere in esso! Ma questo si ignora. Anche la pantera lo sottace, e forse ne è troppo poco consapevole; ed allora questo la castra, irrimediabilmente, qualunque altra cosa dica e faccia!

Questa che ho detto è una definizione della capacità-umana solo in prima approssimazione, perché non dice ancora la cosa più importante che c’è nella capacità-attiva-umana medesima. E non é la cosa più importante oggi, ma la più importante in un paese come l’Italia da almeno un secolo. Qual è questa caratteristica fondamentale che manca alla definizione? Manca la qualità di merce che la nostra capacità-attiva-umana ha già! Però per dirlo un po’ di più, per rispondere ulteriormente, faccio una parentesi.

Tra parentesi richiamo due signori che ad alcuni di voi sono senz’altro simpatici (ma ad altri no). Il primo é una brava persona del partito comunista, che confessandosi e narrando in modo un poco ingenuo e sincero ha raccontato le sue gesta gloriose, Pietro Ingrao, il quale ha un discepolo abbastanza bravo, uno dei migliori intellettuali che ci sono oggi nella sinistra italiana (e che sta anche lui nella corrente piccista del no), il secondo Pietro, Pietro Barcellona: entrambi hanno detto di recente cose simili. Questi due Pietri vanno d’accordo nel dichiarare come punto di svolta di tutta una prospettiva politica anche uno slogan come <no alla mercificazione dei beni non mercificabili>; che é pure un modo di dire che esistono i beni non mercificabili e che non bisogna mercificarli, perché si scopre che sono un poco sacri ed é peccato mortale, e non si deve mercificarli per questo! E allora questi beni (e magari servizi…) bisogna preservarli dalla mercificazione “futura”… Questa non è la stessa frase del documento studentesco che dice “no alla mercificazione del sapere”, però non è difficile capire che qualche sovrapposizione, qualche punto di contatto con lo slogan dei due Pietri ci deve essere e infatti c’è. Soprattutto quando poi si va a vedere nel testo di Barcellona, quali sono questi beni non mercificabili. Saltano fuori tutta una serie di beni, tra i quali quelli che possiamo attribuire alle facoltà cognitive umane, intellettuali, pure emotive, quindi anche al sapere ed alla conoscenza. C’è quindi una idea comune ai due Pietri ed agli studenti di dire e bel dire <no alla “futura” mercificazione del sapere e della conoscenza>.

E se uno legge il vostro documento (su cui io sono peraltro d’accordo perché questa non é una critica immediatamente politica) vede che le parole “sapere” e “conoscenza” e “mercificazione” sono messe in relazione alle parole “capacità” e “formazione”. Ma vi chiedo: la mercificazione di tutto quanto ciò è davvero “futura” come dite voi e i Pietri? Io rispondo subito: No! Niente di più sbagliato o falso! No. Questa mercificazione è in atto da molto tempo!

La cosa un po’ strana, rimarco, è che nel discorso comune dei Pietri e dei panterini sembra che la mercificazione del sapere e della conoscenza nella nostra società sia un progetto per il futuro di alcuni signori malvagi e perversi cosicché bisogna impedire che, appunto nel futuro, avvenga questo sacri­legio, ritenuto ancora un futuribile. In realtà questa mercificazione non solo esiste da almeno un secolo anche in Italia. Ma non è allora nemmeno un punto di arrivo del capitalismo avanzato, bensì è la nascita, il punto di partenza di ogni sistema capitalistico! I Pietri (come voi) ignorano un aspetto clamoroso e macroscopico del capitalismo come tale, e definitorio! È incredibile, c’è di che indignarsi. In vero il sistema capitalistico nasce proprio mercificando il sapere(10), mercificando la conoscenza proletaria calda e fredda, e proprio di questo poi cresce: cresce mangiando il sapere proletario mediante la sua mercificazione e poi razionalizzazione, ed incorporandolo nei mezzi e nel macchinario in quanto sono capitale-mezzi. Da secoli. Altro che “futuro”!

Che cos’è allora la forza-lavoro-merce? La capacità-attiva-umana-merce? Nel tempo in cui il lavorare era quello operaio delle “mani callose” qualcuno poteva essere così cretino (e quasi tutta l’intelligenza di sinistra quindi lo era), da immaginare che il lavoro operaio fosse solamente una questione di manualità e quindi di mani callose. Era chiaro che gli operai cedevano al padrone il loro sistema muscolare ed in parte nervoso. Potevano però farlo funzionare attaccati a qualsiasi oggetto di lavoro, a qualsiasi macchina in modo produttivo, senza appiccicargli contemporaneamente il restante sistema nervoso, la testa, l’intelligenza, il loro sapere e pensiero, la loro conoscenza, singolare e collettiva? Non potevano. Quindi magari i padroni pagavano loro la mano, ma essi dovevano dare tutto il corpo sociale compresa la testa e non solo la propria e basta e neppure solo la loro (ed in parte gratis) ma anche quella dei loro congiunti, per muovere la mano: testa davvero collettiva; e se non avessero dato tutto quanto il resto, e il sapere ed il conoscere, già un secolo fa, non sarebbe venuto fuori un accidenti di niente da quelle cose che voi chiamate imprese, e fabbriche. E mercificavano più o meno surrettiziamente, sempre meno, il sapere e la conoscenza che avevano incorporati dentro di sé come corpo sociale essi stessi, e inoltre che erano incorporati nel corpo sociale di certi collettivi di loro appartenenza. E gli intellettuali non se ne sono mai accorti? Eccoci dunque alla caratteristica che mancava alla definizione. La Capacità nostra, proletaria ed iperproletaria, ed anche la conoscenza in essa, pure nella sua sacrale intellettualità e culturalità, è già merce: da molti decenni pure in Italia.

Così i “lavoratori manuali” davano tutto vendendolo come merce: anche la testa, la mente, il sapere (un tempo endogeno ma ora quasi più), la conoscenza, individuale e collettiva. E se la “mercità” di fatto già effettiva di certi momenti del contenuto della loro testa non era riconosciuta e così pagata, questo era ed é uno svantaggio e non un vantaggio della situazione loro! E infatti questo semmai bisognava farsi pagare(11)! E di lì è nato il capitalismo. Onde dire oggi come Ingrao e voi “no alla mercificazione del sapere”, può far ridere della pochezza teorica e di conoscenza di certa sinistra; ma permette anche di vedere che su questi punti non ci si capisce. Non ci si capisce neanche su che cosa è il sapere o quel sapere, da un lato; e/o su che cosa è la mercificazione dall’altro, e sulla sua centralità e funzione complessa.

Sul primo lato, è evidente che ci sono due distinti saperi presupposti dalla nostra cultura ufficiale effettiva. Il sapere (e conoscenza) che io chiamo calda(12) (iper) proletaria mercificabilissimi e profani. E quello che io dico freddo o caldo accumulato come cultura-esplicita dagli intellettuali di professione che invece è sacro. A guardar bene è solo quest’ultimo che si ritiene che rimanga davvero sacro e inviolabile! Non il primo. E questa è una precisazione importantissima. Tuttavia oggi è mercificatissimo anche quest’ultimo! E allora c’è comunque tutta un’altra situazione storica. D’altronde il capitalismo da sempre mercifica il sacro senza patemi… Non ha più da decenni nessun senso dire <no alla mercificazione del sapere> che è sacro, se non che ci sono in giro degli intellettuali sinistri di professione così distratti da non avvedersi di come la loro stessa conoscenza calda e fredda siano già entrambe merce! Ma solo per questo o per questi poveri distratti, fra cui purtroppo moltissime pantere.

A meno che non si abbia in mente tutt’un altro atteggiamento che ci si dimentica forse di esprimere e manifestare verbalmente, del tipo utopistico (nel senso buono), intendendo dire in vero ma dimenticandosene: “de-mercificazione del sapere e della conoscenza che da secoli si mercificano!”, come momento della de-mercificazione della capacità-attiva-umana. Facciamo finta che le pantere in verità intendessero dire questo che è tutt’altro: <De-mercificazione del sapere e di tutta la capacità-attiva-umana-vivente>! Questo oggi è strategicamente (e ormai tatticamente?) il minimo! Ma questo, miei cari, è rivendicare la fine del Capitalismo! Questo si che sarebbe uno slogan nobile e radicale! Ma in vero proprio questo non si dice! E noi dovremmo invece dirlo? Io lo dico… E voi quando vi deciderete?

Sarà allora proprio meglio dire tutti quanti noi “si alla de-mercificazione del sapere”: esso è (quasi) tutto mercificato? bene, vogliamo demercificarlo! A partire da oggi, subito, effettivamente! Liberiamo il sapere già mercificato da anni dalla sua mercificazione e “mercità”! Questa sarebbe l’unica via, da esplorare, per cui lo slogan di Ingrao/Barcellona e anche del movimento studentesco possa essere portato ad acquistare senso: ribaltarlo così! Si? Ma ci rendiamo conto del significato, delle conseguenze e della portata di una rivendicazione simile nel capitalismo odierno? Siamo disposti ad assumere le conseguenze anche materiali di una rivendicazione simile, anche politicamente? Non mi pare. Fra l’altro avremmo contro proprio la grandissima massa degli attuali studenti! Ecco un problema davvero aperto! Col quale vale la pena di fare i conti!


note

1 Alquati fa una differenziazione tra capacità calde, che stanno nel corpo umano e capacità fredde quelle che vengono incorporate nelle macchine.

2 Ossia che dovrebbero darci, produrci, la riproduzione allargata, con incremento, della capacità-attiva-umana almeno del discente, dello studente, il quale vi investe non poco e si attende un corrispettivo di effettiva formazione.

3 Chiamo “Potenza” della capacità-umana la sua prerogativa di incrementare applicandovela altre utilità; chiamo Ricchezza la gamma delle sue utilità, anche solo potenziali. Suppongo che nel capitalismo le due prerogative siano spesso in contrasto fra loro e purtroppo prevalga la potenza; ma che a noi occorra di più la ricchezza della nostra capacità.

4 Io distinguo l’agente-umano quale attivatore delle attività secondo tre sue differenti determinazioni: 1) quella di attore-umano in cui egli interpreta ruoli sociali già predisposti ed ascritti a lui ed attesi dagli altri; 2) quella di persona o agente-intermedio che implica già una certa autonomia dai ruoli; 3) quella di soggetto-umano che implica anche interessi e fini propri distinti da quelli del sistema e quindi un certo antagonismo nei confronti del sistema capitalistico che non li gradisce. E mi interessano soprattutto i soggetti-umani collettivi.

5 O animale o vegetale o minerale: la capacita` dell’acqua, del vento, del sole; sta nel loro corpo naturale. La questione più grossa é che c’é anche una capacità-dei-mezzi, che sta incorporata nel corpo “freddo” dei mezzi.

6 E con le soggettività macchiniche.

7 E -più per certe sue parti e frammenti, ma non per altre- ce ne sarà ancora per un certo periodo di tempo, però non all’infinito)

8 E solo però per quella parte di essa che a qualcuno (un capitalista utiliz­zatore) occorre che stia viva, perché fra l’altro cresce (in specie in potenza) tuttoggi solo essendo così viva.

9So­prattutto se al posto di dire “riproduzione allargata” e quindi “incremento” si dice “accumulazione”, che é una parola migliore e più giusta.

10 Ma che altro é mai la proletarizzazione? Solo pauperizzazione? No!

11 Ed é semmai vergogna del sindacato non averlo fatto pagare, talora.

12 Anticipo che chiamo “caldo” ciò che appartiene al corpo-umano-vivente dell’Agente e sta al suo interno; anche collettivo (come il corpo di un gruppo). Chiamo freddo invece ciò che appartiene ai Mezzi. Agente-umano e Mezzi sono sempre combinati insieme, ossia reciprocamente applicati, nell’agire-umano.

Print Friendly, PDF & Email