LOGISTICA E AMERICA LATINA

Pubblichiamo la postfazione di Sandro Mezzadra* al volume collettaneo Logistica e America Latina pubblicato recentemente da Into the black box**. Questo volume è il frutto di un lavoro di approfondimento collettivo attorno al ruolo produttivo della logistica in America Latina dove il subcontinente sudamericano è assunto come un laboratorio analitico per lo studio della capacità della logistica di generare processi di valorizzazione, territori e soggettività.


Grandi progetti infrastrutturali che striano e connettono lo spazio regionale latino-americano, aree metropolitane come quella di Buenos Aires e di Città del Messico attraversate e riorganizzate dalle operazioni di app e dalla logistica dei mercati, filiere e corridoi che si distendono dal Pacifico all’Atlantico, il progetto di costruire una centrale idroelettrica in un territorio indigeno, grandi eventi come occasioni per l’approfondimento dell’“estrattivismo urbano”: sono questi alcuni dei temi affrontati nel volume che avete appena finito di leggere. Qui, direi per la prima volta, la logistica (nell’insieme dei suoi significati) è assunta tanto come oggetto di ricerca quanto come punto di vista sull’America Latina. I confini incerti tra economia formale e informale, i conflitti territoriali, le infrastrutture precarie e spesso autonome attorno a cui si articola la vita nei quartieri popolari emergono in piena luce sullo sfondo di un’analisi che descrive con piglio cartografico la diffusione e il radicamento delle operazioni del capitale nella logistica (non senza riferimenti cospicui all’estrazione e alla finanza).

Come giustamente sottolineano nella loro introduzione i curatori del volume, la congiuntura latino-americana qui sotto osservazione è caratterizzata dall’esaurimento del “ciclo progressista”, ovvero dalla crisi di quegli eterogenei governi che – dal Brasile al Venezuela, dall’Ecuador all’Uruguay, dalla Bolivia all’Argentina – a partire dai primi anni Duemila avevano appunto configurato un ciclo su scala regionale. In diversi capitoli del libro, i limiti di questi governi emergono chiaramente, in particolare per quel che concerne il modello di sviluppo da essi seguito – fondato sull’approfondimento dei processi estrattivi e sull’orientamento all’esportazione di materie prime, ma anche su politiche sociali che hanno aperto nuove frontiere a dinamiche di finanziarizzazione che hanno investito le “economie popolari”. Più in generale, la centralità di estrazione ed esportazione si è tradotta in grandi investimenti sulle infrastrutture e in una “governamentalità logistica” che è penetrata all’interno degli stessi governi “progressisti”, che hanno spesso finito per assumere e promuovere il carattere tecnico, politicamente neutrale della logistica.

Questo libro mostra a sufficienza come la pretesa neutralità della logistica sia in fondo un assunto ideologico. L’analisi di violenti conflitti determinati dai grandi progetti infrastrutturali (con il protagonismo in molti casi delle popolazioni indigene) si combina qui con l’enfasi sui molti modi con cui la logistica produce i suoi spazi, ridisegnando interi territori e aprendo nuove vie per le operazioni del capitale. Profondamente innervata da una razionalità capitalistica, la logistica entra in mutevoli relazioni con gli elementi di eterogeneità che caratterizzano i territori che investe, come si vede in particolare dalla sua capacità di espandersi poggiando su economie e lavoro informali. Lo “sguardo logistico” qui esercitato consente così di far emergere un altro profilo dello spazio latino-americano, fissandosi su un insieme di corridoi, infrastrutture, architetture algoritmiche che non cancellano l’eterogeneità sociale e culturale della regione ma la mettono semmai a valore nella prospettiva di vecchi e nuovi circuiti di accumulazione capitalistica.

Parlavo prima della fine del “ciclo progressista” in America Latina, a cui si è accompagnata negli ultimi mesi del 2019 una straordinaria ripresa di mobilitazioni sociali e di vera e propria insorgenza dal Cile alla Colombia. Collocato in questa congiuntura, questo libro getta luce su molteplici suoi aspetti. Si è detto dei limiti generali dei governi “progressisti”, pur tra loro molto diversi. L’opzione per l’estrattivismo ha finito per determinare una focalizzazione sulla centralità dello Stato dell’intero processo politico, determinando una rottura con quei movimenti sociali che erano stati un’essenziale fonte di innovazione e dinamismo per quegli stessi governi nella loro prima fase. Ma occorre menzionare un ulteriore limite che si è progressivamente manifestato: mentre nei primi anni Duemila la scala regionale dell’azione dei governi “progressisti” si esprimeva concretamente in molteplici accordi di cooperazione (promossi in particolare da due politici così diversi come Lula e Chavez), a partire dal momento in cui gli effetti della crisi finanziaria del 2008 hanno colpito l’America Latina si è assistito a un ripiegamento su politiche nazionali (evidente ad esempio nelle politiche monetarie e commerciali).

È proprio su questo aspetto della fine del “ciclo progressista” che lo sguardo logistico proposto in questo libro risulta particolarmente efficace. Una iniziativa come l’IIRSA (Iniciativa para la Integración de la Infraestructura Regional Suramericana) dispiega oggi pienamente i suoi effetti in assenza di una volontà politica che si contrapponga alla politicità intrinseca alla logistica e la pieghi a un diverso progetto di integrazione. È possibile immaginare l’irruzione di una simile volontà politica? È un problema che la lettura di questo libro solleva e che ha una valenza generale, relativa ai modi in cui una politica radicale può operare dentro e contro la logistica. Per quel che riguarda l’America Latina, in ogni caso, è evidente (e la fine del “ciclo progressista” lo certifica) che un progetto di trasformazione nel segno dell’uguaglianza e della libertà non può situarsi sulla scala nazionale ma deve creativamente combinare diversi livelli di azione su una scala regionale. È su quella scala, per fare un unico esempio, che si può immaginare di costruire le condizioni per governare gli investimenti cinesi, che giocano un ruolo di primo piano nei progetti infrastrutturali in America Latina. In gioco sono in fondo quei processi globali che la logistica consente di analizzare in modo particolarmente efficace. In America Latina, così come alle nostre latitudini.

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*Sandro Mezzadra insegna Filosofia politica nell’Università degli Studi di Bologna ed è “adjunct research fellow” presso l’Institute for Culture and Society della Western Sydney University. Ha insegnato e svolto attività di ricerca in diverse Università fuori dall’Italia. Negli ultimi anni ha lavorato sui rapporti tra globalizzazione, migrazioni e capitalismo, sulla critica postcoloniale e sul capitalismo contemporaneo.

**Into the Black Box è un progetto di ricerca collettivo e trans-disciplinare che adotta la logistica quale prospettiva privilegiata per indagare le attuali mutazioni politiche, economiche e sociali.

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