Partiamo dalla più banale delle considerazioni quella che, in un momento in cui vige l’obbligo di permanenza a casa per garantire il “distanziamento sociale”, chi è senza un alloggio non solo è esposto al contagio, ma si trova anche ad essere un “colpevole” per decreto.

Forse non si pensava ai senza tetto quando si emanavano i vari DPCM, benché negli ultimi dieci anni questa categoria è andata ampliandosi, a causa della crisi economica permanente nella quale siamo sprofondati dopo il 2008. Le multe di questi giorni ai senzatetto, “perché non stanno in una casa che non hanno”, sarebbero ridicole se non fossero tragiche. Ma sono servite a scoperchiare il vaso, rendendo evidente un altro corto circuito del sistema: la costante dismissione del welfare abitativo.

Il diritto all’abitare è un concetto centrale nella complessità della vita contemporanea delle aree urbane. È proprio questa complessità che non viene presa in considerazione, quando si decide di svendere il patrimonio pubblico. Azione spesso utile per fare cassa, considerati i vari meccanismi nei quali l’austerity ci ha imbrigliati. Dall’altra parte è anche innegabile che la gestione del settore dell’edilizia sociale e popolare è stata spesso condotta con logiche clientelari da amministratori comunali e regionali. Scelte politiche, inefficienza e austerity hanno quindi creato i presupposti per il collasso di una parte centrale dei servizi essenziali.

Questo andazzo ha reso cronico il problema del diritto alla casa, creando i soliti paradossi all’italiana, un patrimonio immobiliare pubblico sterminato, spesso abbandonato, troppo spesso assegnato a chi non ne ha reale bisogno, a fronte di un piccolo esercito di persone in mezzo alla strada, che il “lockdown” da pandemia andrà ogni giorno di più ad ingrossare.

Alle tante famiglie che oggi si trovano in grande difficoltà a pagare l’affitto, con la crisi economica in arrivo se ne aggiungeranno molte altre. La risposta delle istituzioni al momento è stato il blocco temporaneo (fino al 30 giugno) degli sfratti già esecutivi e un contributo straordinario all’affitto, quale sostegno alla morosità incolpevole e agli studenti fuori sede.

Servono invece misure strutturali e un’urgente capacità di autorganizzazione, per pretendere un serio investimento nel settore dell’edilizia residenziale pubblica con un ampliamento dell’offerta di case popolari, senza ulteriore cementificazione, ma con il recupero dei vuoti abitativi, sia pubblici che privati di cui l’Italia, la Calabria e la nostra città sono ricchi.

Su questo stato di necessità molto si sta muovendo, vista la complessità e la drammaticità del momento, in particolare sull’emergenza affitti; dalla richiesta alle istituzioni di aumento del contributo per la morosità incolpevole e del fondo affitti, alla richiesta di blocco di affitti e utenze, all’autoriduzione, allo sciopero degli affitti autorganizzato.

Anche sul nostro territorio, insieme ad altre realtà collettive ed a famiglie in stato di bisogno, da qualche anno abbiamo costituito l’Osservatorio sul Disagio Abitativo, operando un’azione costante di pressione autorganizzata dal basso sull’amministrazione comunale e l’ATERP.  Chiediamo:

  • Una politica abitativa a sostegno prima di tutto delle fasce più deboli, con la pronta assegnazione degli alloggi popolari, molti vuoti o abitati senza titolo, a chi ne ha effettivo bisogno.
  • Una manutenzione puntuale e costante.
  • L’abbandono della pratica consolidata di dismissione e svendita del patrimonio di edilizia popolare.
  • La creazione di un dormitorio comunale diffuso per i senza tetto.
  • La restituzione al settore ERP degli 11 milioni di euro del Decreto Reggio, come deliberato dal Consiglio comunale accogliendo una petizione popolare da noi indetta, e che questi soldi vengano finalmente utilizzati per acquisire nuovi alloggi.

CSOA A. Cartella, Reggio Calabria

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