CORONAVIRUS: A COSENZA PER I SENZA FISSA DIMORA

Nella situazione straordinaria in cui ci troviamo, a seguito dell’emergenza sanitaria in corso, risulta fondamentale adottare misure utili a garantire il diritto alla salute di tutti coloro i quali vivono nelle nostre città, nessuno escluso, con un’attenzione particolare alla tutela delle persone più vulnerabili, tra le quali rientrano i cittadini senza fissa dimora.

Una condizione che le città di Cosenza e Rende ereditano dalla atavica miopia delle istituzioni locali, sempre poco attente a dare il giusto peso alla programmazione del settore welfare, spesso relegato ad un ruolo più che marginale. Stiamo parlando di un sistema incapace di progettare interventi continuativi incentrati sulla relazione e sul riconoscimento dell’unicità e della dignità di ogni essere umano, ma sempre basato solo e soltanto sull’approccio emergenziale, in grado di fornire facili alibi in relazione alle particolari situazioni che ciclicamente si vengono a creare.

Ma la situazione attuale ha molto di straordinario, e nell’ottica di superare tale impasse, dopo aver atteso invano l’attivazione di misure idonee, le realtà associative operanti sul territorio hanno cercato una collaborazione con i comuni dell’area urbana e con la Prefettura di Cosenza, al fine di richiedere interventi specifici per tutelare la salute dei senza fissa dimora, comunitari ed extracomunitari, presenti nei territori comunali.

Mentre dalla Prefettura e dal Comune di Rende stiamo ancora attendendo quantomeno una risposta formale, al netto di un contatto telefonico avuto con l’assessore Artese, in cui la stessa ci rassicurava del fatto che a Rende non ci fossero senza fissa dimora “perché non abbiamo mai ricevuto segnalazioni” (affermazione che la dice lunga sulle modalità di approccio alle problematiche sociali), dal comune di Cosenza abbiamo ricevuto un primo riscontro, pochi giorni dopo, che sembrava promettesse bene.

L’invito rivolto all’assessora De Rosa è sempre stato quello di coinvolgere nella soluzione della questione tutte le realtà che hanno lavorato e lavorano, direttamente o indirettamente, con i senza fissa dimora, anche e soprattutto quelle che sin da subito si sono spese con mezzi propri per offrire pasti e servizi spesa alle persone che ne avessero bisogno.

Tale invito si è concretizzato attraverso la programmazione di una tavola rotonda tenutasi in data 6 aprile e rivolto alle associazioni della città. L’incontro ha riguardato le modalità di distribuzione dei buoni pasto, la situazione dei cittadini senza fissa dimora e la creazione di un fondo di solidarietà per far fronte alle criticità di natura economica verso coloro i quali non possono permettersi di sostenere le spese di locazione e il pagamento delle utenze. Apprezzabile il fatto che – secondo quanto riferito dall’assessore del Welfare – nel corso delle due settimane precedenti la convocazione del tavolo di discussione, si siano cercate (invano) le disponibilità delle strutture ricettive (alberghi, hotel, B&B) presenti sul territorio comunale. Ma può un’amministrazione comunale fermarsi davanti al primo ostacolo ed evitare di pensare ad ulteriori soluzioni?

Apprezzabilissima anche la volontà di avviare le attività previste dal progetto FSE PON Inclusione, Assi 1 e 2, Azione 9.5.9 e PO I FEAD Misura 4-Periodo 2018-2019, a quanto detto dalla stessa assessora De Rosa, aggiudicato già mesi addietro ma mai attivato. Attività che, per come sono state descritte all’interno del relativo avviso pubblico (in esecuzione della determina dirigenziale n.582/2019), vanno nella direzione della progettazione sociale precedentemente agognata. Stiamo, però ragionando di obiettivi a medio-lungo termine, poco pratici in una situazione realmente emergenziale, e di attività che, se fossero state attivate in tempo, avrebbero inevitabilmente determinato una situazione e un contesto totalmente diverso. Il giorno 11 aprile attraverso una nota alle associazioni che avevano partecipato all’incontro, l’assessora De Rosa ha comunicato (così come concordato nel corso della riunione di cui sopra) di avere informato il Capo Gabinetto dell’Ufficio Territoriale della Prefettura di Cosenza, il quale ha, a sua volta, sollecitato una mappatura del fenomeno, da realizzarsi con il supporto delle organizzazioni del terzo settore, al fine di intraprendere gli opportuni interventi. Nella stessa nota si rimandava qualsiasi ulteriore comunicazione a martedì 14. 

Dal 14 aprile, nonostante i ripetuti solleciti e le ripetute manifestazioni di disponibilità nel trovare delle soluzioni condivise, è stata inviata alle realtà coinvolte nella suddetta tavola rotonda, solo una comunicazione ufficiale, trasmessa alla Prefettura il 15.04, accompagnata da una mail in cui si chiedeva di attendere la risposta della stessa Prefettura per qualsiasi ulteriore intervento.

Peccato, però, che l’emergenza Covid-19 sia scattata nel mese di febbraio, e il primo Decreto restrittivo sia stato emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri il 23 febbraio (DL n.6/20). Peccato che a due settimane dalla risoluzione delle misure restrittive contenute nel DPCM, nulla sia stato fatto. 

Peccato che alcune delle persone costrette a vivere per strada ci riferiscono di numerosi controlli da parte delle forze dell’ordine e dei vigili urbani di Cosenza i quali intimano loro di abbandonare il suolo sul quale dimorano.Non è tollerabile che nessuna istituzione, a distanza di quasi un mese e mezzo dall’inizio dell’emergenza, abbia offerto una minima possibilità di difesa contro il contagio da covid-19 a persone costrette a dormire alla stazione di Vagliolise, sui marciapiedi della città vecchia, sulle panchine dell’autostazione. Persone che, in virtù delle condizioni di vita alle quali sono sottoposte, risultano essere maggiormente a rischio contagio e trasmissione del virus. 

Il fenomeno dell’esclusione e dell’emarginazione è in crescita nelle città di Cosenza e di Rende e, soprattutto in questo momento, avrebbe richiesto una serie di interventi urgenti che ad oggi non ci sono stati. Chi era costretto a stare per strada prima, lo è ancora adesso! Chi vive di stenti paga l’eredità di anni di assenza di politiche strutturali di accoglienza e la mancanza di un “piano casa”. Non basta rafforzare il pur utile lavoro dell’unità di strada; non basta garantire i pur necessari pasti caldi e beni di prima necessità. In questa precisa fase storica sarebbero serviti atti e comportamenti volti alla tutela della salute delle persone particolarmente vulnerabili presenti sul territorio dell’area urbana. 

Così come previsto dalla Circolare n.1 del 27.03.20 del Ministero dell’Interno occorre che i servizi sociali pubblici territoriali coordinino gli enti, le associazioni del terzo settore e di volontariato che affiancano i servizi comunali e di ambito, ai fini di individuare strutture alloggiative adeguate cui indirizzare i senza dimora, raccordandosi, ove attivati dal Sindaco, con i Centri Operativi Comunali COC per l’emergenza.

In tal senso, occorre utilizzare la quota del Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà, dedicata al rafforzamento dei servizi per i senza dimora e le persone in povertà estrema per mettere in atto interventi a supporto delle persone che non hanno una abitazione, particolarmente vulnerabili in questa situazione di emergenza.

Occorre, eventualmente, che la Prefettura, così come previsto dall’art.6 del Decreto Legge n. 18/2020, sentito il Dipartimento di prevenzione territorialmente competente, disponga, con proprio decreto, la requisizione in uso di strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità.

Riguardo ai cittadini stranieri richiedenti asilo o beneficiari di protezione (internazionale o per motivi umanitari), occorre che il Prefetto sospenda le fuoriuscite dai centri per quanti hanno concluso il loro progetto di accoglienza e acceleri il trasferimento nelle strutture per quanti ne abbiano diritto e siano in attesa di accedervi, creando eventualmente ulteriori posti nei circuiti per richiedenti asilo (CAS) e per i titolari di protezione internazionale (SIPROIMI).

Da parte della Prefettura e dei due comuni capofila dei rispettivi ambiti territoriali ci saremmo attesi risposte concrete. Le attendevamo noi e le attendevano le persone costrette in strada.

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