di Lanfranco CAMINITI –

In Sicilia, dall’inizio dell’epidemia di Coronavirus, 2458 persone hanno contratto il virus Sars-CoV-2. Di questi, 171 sono deceduti, con una media di 3-4 al giorno; ci sono 51 ricoverati in terapia intensiva e 1.445 in isolamento domiciliare. Il tasso dei contagiati sulla popolazione è dello 0,0004%.

Fra i siciliani rientrati nell’isola nel corso dell’emergenza, uno su cento è risultato contagiato: sono stati acquisiti circa 6mila campioni, di questi ne sono stati elaborati oltre 4mila e tra questi son stati rilevati 39 positivi, ovvero uno su cento. Tutti in quarantena. Non mi pare si registrino decessi fra i siciliani rientrati. Che su questi numeri abbia potuto incidere il gran parlare di “chiusura” – il governatore Musumeci voleva l’esercito per le strade e ha chiesto di poter fare uso dell’articolo 31 dello Statuto siciliano che delega al governatore l’uso delle forze di polizia in casi eccezionali – è abbastanza da verificare.

I dati sono che il grande esodo da Milano e dal nord (il primo, ce ne sono stati almeno tre, a distanza di circa una settimana l’uno dall’altra) è iniziato l’8 marzo proprio quando filtrò la notizia che si stava per dichiarare la Lombardia “zona rossa”. Si parla, solo per la Sicilia, di qualcosa che va fino alle quarantamila persone – nei fatti si è registrata per la tracciabilità circa una ventina di migliaia (ottomila provenienti solo dalla Lombardia, di cui seimila solo dalla provincia di Milano). Dall’8 marzo al 5 aprile (quindi circa un mese dopo) quando il sindaco di Messina scatena l’indignazione per il continuo transito ai traghetti e, con l’ordinanza contingibile e urgente n. 105, introduce il sistema di prenotazione on line, altrimenti non si passava, e fino a oggi questa orda di rientri, che era già sfuggita alla chiusura, avrebbe dovuto provocare “dentro” le mura di un’isola isolata un contagio terribile, anche perché venivano da zone a alto rischio. Non è accaduto.

In Calabria, ci sono stati a ora 67 morti. Finora il totale di casi accertati dall’inizio dell’epidemia è salito a 928, su 17.151 tamponi. Sugli ultimi 385 tamponi eseguiti nei giorni scorsi si sono registrati solo 5 nuovi casi, ovvero l’1,2 percento dei controllati, a fronte di un 98,8 percento di negativi. Tra gli ammalati, la stragrande maggioranza (619) si trova in isolamento domiciliare perché si tratta di persone che non hanno sintomi, gli altri in ospedale ma il numero dei ricoverati è di appena 12. Negli ospedali l’attuale capienza dei posti letto di rianimazione è ferma al 7 percento rispetto a tutti i posti disponibili nella Regione: i reparti di rianimazione sono praticamente vuoti. Le persone giunte in Calabria dal Nord che si sono registrate sono 14.277 (e si presume siano molte di più), e fra questi sono calcolati anche due pazienti di Bergamo che sono stati accettati nei reparti calabresi, visto che lì non c’erano più posti. Anche qui, pare abbastanza discutibile se l’attivismo del governatore Jole Santelli, che ha deciso con ordinanza di “chiudere i confini” della regione, abbia avuto un qualche peso: l’ordinanza è del 22 marzo, giorni dopo la terza delle ondate di rientro dal Nord – ma di “appestamento” provocato da questi rientri non c’è ombra.

In Basilicata i casi di contagio confermati in tutta la regione sono 306 con 18 morti. Sono risultati positivi in 255 su un totale di 2931 tamponi analizzati. Attualmente, i pazienti ricoverati presso le strutture ospedaliere di Potenza e Matera sono 64.

I contagi in Puglia hanno superato il 24 marzo quota mille (erano 1005) e quel giorno furono effettuati 594 test, e solo 99 di questi risultarono positivi al Covid-19. A quella data, poco più del 10 percento dei letti in terapia intensiva, tarato su 300 posti, era occupato.
La somma totale dei casi positivi presenti al Sud e nelle Isole, il 9 aprile, era di 10.002. Nella sola Lombardia c’erano il triplo degli infetti: 29.530. Estendendo il confronto tra l’intero Nord e il Sud, il rapporto tra le persone positive al Sars-CoV2-19 nelle differenti aree è di 8 a 1. Un divario che si fa ancora più ampio considerando il numero dei decessi: il rapporto tra Sud e Nord è di circa uno a 18.

Secondo i ricercatori dei dipartimenti di Economia e impresa, Ingegneria elettrica, Fisica e astronomia, Medicina clinica sperimentale, Matematica e informatica, Ingegneria civile e architettura dell’università di Catania che hanno condotto uno studio (Strategies to mitigate the Covid-19 pandemic risk) su dati Istat, Istituto superiore della Sanità e altre agenzie europee «l’impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve al centro-sud in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati».

I fattori strutturali sono: inquinamento atmosferico da Pm10 (Materia Particolata), temperatura invernale, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere e densità abitativa. E aggiungono: «Il nostro indice di rischio epidemico mostra forti correlazioni con i dati ufficiali disponibili dell’epidemia Covid-19 in Italia e spiega in particolare perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo molto di più rispetto al centro-sud. D’altra parte queste sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali, come rivelano i dati dell’Iss. Riteniamo quindi che non sia un caso che la pandemia di Covid-19 si sia diffusa più rapidamente proprio in quelle regioni con un più alto rischio epidemico come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto».

Nicotera (VV), 14 aprile 2020

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