L’emergenza sanitaria dovuta al corona virus potrebbe essere aggravata nei prossimi mesi da quella derivante dalla raccolta, o meglio, dalla mancata raccolta dei rifiuti. Mentre l’epidemia da Covid-19 è un fatto nuovo e non pronosticabile (anche se alcuni divulgatori scientifici ci avevano avvertito della potenziale minaccia), il ricorso all’emergenza sembra oramai un meccanismo strutturale della politica calabrese.

Partendo da Crotone, le 120mila tonnellate autorizzate dalla Regione Calabria (e prossime ad esaurirsi) per la discarica di Columbra hanno dato un po’ di ossigeno ma non senza pastoie burocratiche che ne hanno di fatto depotenziato l’efficacia pur comunque rimanendo un atto emergenziale.

Questa situazione, che porterà nuovamente il sistema di raccolta dei rifiuti in grossa sofferenza, è dovuta – secondo fonti governative – al fatto che nessun ATO ha presentato ad oggi il Piano d’Ambito ed in nessun ATO sono partiti i lavori per i celeberrimi ecodistretti e le discariche di servizio. Mentre le associazioni crotonesi si sono fatte sentire attraverso un comunicato a Jole Santelli ed al suo assessore De Caprio, la Sovreco – società di proprietà dei Vrenna – ha sostanzialmente risposto picche alla richiesta della Regione di un ulteriore ampliamento “emergenziale” concedendo soltanto le 7mila tonnellate derivanti dall’assestamento dei rifiuti già abbancati.

Da quelle parte saranno forse in attesa di nuove e più proficue evoluzioni? Di qualche importo più corposo? Molto probabilmente si, visto che le discariche si aprono e si chiudono non tanto seguendo il rispetto delle varie misure di tutela del territorio, della salute e dell’ambiente ma piuttosto seguendo l’apertura o la chiusura dei rubinetti dei finanziamenti pubblici.

Allo stanziamento dei fondi seguono magicamente l’approvazione della VIA, l’ampliamento delle discariche e l’emergenza così svanisce; almeno per un po’. Questa è la condizione del reggino dove Ecologia Oggi ha di fatto bloccato i conferimenti a Sambatello e a Gioia Tauro perché vanta diverse fatture non pagate da parte della Regione e della Città Metropolitana. Stesso copione dunque.

Il privato, che mai come in questi ultimi annista realizzando plusvalenze milionarie, chiude gli impianti nel momento in cui si assiste all’impossibilità da parte dei Comuni di saldare le fatture. Infatti, nonostante a febbraio è stato firmato il nuovo contratto di servizio, solo 3 comuni su 97 risultano in pari con la quota dovuta ai primi due mesi del 2020; senza parlare poi delle rate pregresse.

Situazione frutto certamente dei tagli lineari ai bilanci comunali da parte del Governo Centrale ma anche addebitabili ad un’amministrazione della cosa pubblica non conforme ai criteri di efficienza, efficacia ed economicità.

Se a sud la situazione langue a nord non si festeggia. Anche Marcello Manna, a capo dell’ATO che gestisce il servizio nella Provincia di Cosenza, chiede lumi al Governo Regionale sulla chiusura degli impianti e chiede fondi per gestire efficacemente il servizio nella provincia più popolosa e vasta della Calabria. Anche qui sono stati sottoscritti i nuovi contratti a favore dei vecchi gestori privati che controllano gli impianti di Rende, Rossano e Crotone e pare che si sia chiuso il 2019 con il pagamento di tutte le spettanze alla Regione.

Discorso a parte per il 2020 visto che lo stato delle finanze degli enti locali già in forte crisi – tanti sono i comuni in dissesto o pre-dissesto – si è ulteriormente aggravata dai minori introiti per tributi dovuti all’emergenza sanitaria tutt’ora in corso e dal blocco delle attività economico/produttive.

Nulla di fatto ancora sulla localizzazione dell’ecodistretto e dei siti che dovranno accogliere le discariche di servizio nonostante le rassicurazioni a mezzo stampa di qualche settimana fa. L’unica certezza è che il Dirigente Azzato, referente amministrativo dell’ATO1 di Cosenza, si è visto inviare due nuove unità di personale per coadiuvarlo nell’impresa.

Altro punto negativo – pare legato alla quarantena forzata – si evince leggendo le prese di posizioni di molti primi cittadini che denunciano un aumento puntuale dei rifiuti indifferenziati. Sembra che, nonostante il servizio di raccolta stia funzionando regolarmente, i cittadini siano meno propensi a differenziare i rifiuti limitandosi a convogliare tutto nel sacco nero dell’indifferenziata creando un ulteriore danno al sistema generale.

Lasciando comunque la stringente attualità per delineare i passaggi futuri, ci sembra che ancora una volta tutto il ragionamento degli ATO sia incentrato sull’uscita dall’emergenza senza programmare però quelle tappe successive e propedeutiche al superamento definitivo del ricorso all’emergenza.

Sono oramai decenni, infatti, che il processo è in “emergenza” e sono oramai decenni che questo va a discapito della collettività per avvantaggiare i privati che gestiscono i grandi impianti.

Ancora una volta sono allo studio misure non razionali che porterebbero all’utilizzo dei fondi del settore per la costruzione di mega impianti localizzati in aree industriali, già di per sé molto inquinate, per concentrare al massimo la raccolta ed i relativi profitti. La strada che da decenni, al contrario, viene proposta dalle associazioni, dai comitati e dai movimenti è quella di riportare tutto in mano alla collettività, decentralizzare tanti piccoli impianti seguendo la razionalità territoriale per ambiti omogenei e spingere le tecnologie più avanzate a servizio della raccolta differenziata che non può che essere di tipo “porta a porta”.

Ancora una volta però questi consigli di semplice buon senso sono totalmente inascoltati che si vorrebbe procedere a tappe forzate (ma per fortuna non ne sono capaci) alla realizzazione di discariche, ecodistretti e addirittura inceneritori proprio in questi tempi di pandemia e di quarantena e probabilmente per scongiurare un virus ancora più letale per loro che è quello dell’indignazione sociale.

Malanova vostra!

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