GIORGIO NEBBIA: LETTERA DAL 2100

In memoria di Giorgio Nebbia

Professore emerito di Merceologia, Università di Bari

Pioniere del movimento ambientalista italiano

LETTERA DAL 2100

La società postcapitalistica comunitaria

Premessa

 La crisi economica e ambientale dell’inizio del ventesimo secolo è dovuta e esacerbata dalle regole, ormai globalmente adottate, della società capitalistica basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul dogma dell’aumento del possesso e dei consumi dei beni materiali. E’ possibile prevedere — come ci scrivono dall’inizio del XXII secolo — la trasformazione della società attuale in una società postcapitalistica comunitaria in grado di soddisfare, con le risorse naturali esistenti, una popolazione terrestre di dieci miliardi di persone con minore impoverimento delle risorse naturali e con minori inquinamenti e danni ambientali.

Lettera dal 2100

La società postcapitalistica comunitaria

La crisi del XXI secolo

Il ventunesimo secolo era cominciato con una grande crisi economica e politica; il mondo era diviso fra grandi gruppi di paesi in competizione fra loro. L’Europa, l’aggregato di paesi che erano stati la culla della modernità, da cui erano scaturite la cultura e la società americane, che aveva sottomesso per secoli i paesi coloniali, appena liberati, era lacerata da divisioni politiche ed economiche. Il XXI secolo è cominciato con una popolazione di 6500 milioni di persone divise in tre principali classi: quella dei paesi industrializzati, di circa 1.000 milioni di persone, quella dei paesi in via di industrializzazione con circa 4.000 milioni di persone e quella dei paesi poveri e poverissimi di circa 1.500 milioni di persone.

La struttura della società capitalistica e del libero mercato faceva sì che fra i vari gruppi di popolazione, e nell’ambito di ciascun gruppo, esistessero grandi differenze quanto a disponibilità di beni e servizi (cibo, acqua, energia, abitazioni decenti, assistenza sanitaria, istruzione, lavoro). Alcuni paesi avevano realizzato grandi progressi tecnologici che avevano portato ad un aumento della disponibilità di merci, prodotte soltanto per indurre la maggior parte della popolazione al loro possesso con conseguente profitto di pochi centri e persone che controllavano il potere economico.

Alcuni gruppi e persone nei paesi ricchi avevano accesso a beni e servizi in quantità molte volte, talvolta fino a cento volte, superiore a quella degli abitanti dei paesi arretrati, ma anche delle classi povere al loro interno. Nei paesi poveri esistevano grandissime contraddizioni, fra pochi detentori di potere e ricchezza e grandissime masse in situazioni di estrema povertà e alta mortalità infantile, coinvolte in conflitti interni di apparente natura etnica o religiosa, ma sostanzialmente di natura economica, conflitti che generavano ondate migratorie dai paesi poveri a quelli ricchi. Le merci, essenziali anche per soddisfare qualsiasi richiesta di servizi — mobilità, istruzione, salute, alimentazione e abitazioni adeguate, eccetera — venivano prodotte con una crescente estrazione di risorse naturali — vegetali, forestali, animali, minerarie, acqua — molte delle quali disponibili in maniera disuguale fra i paesi.

In genere le materie prime per alimentare i consumi dei paesi opulenti erano disponibili nei paesi meno industrializzati o poveri e poverissimi e molti conflitti nascevano proprio dal tentativo di alcuni paesi di impossessarsi delle risorse naturali altrui, l’imperialismo riproduceva la politica con cui alcuni imperi, nell’Ottocento e all’inizio del Novecento, avevano fatto la propria fortuna sottomettendo molti paesi in forma di colonie da cui asportare le ricchezze. Con l’indipedenza dei paesi ex-coloniali, nella metà del Novecento, la conquista delle loro risorse naturali era ottenuta dai paesi industrializzati attraverso la corruzione dei governanti dei paesi poveri, con contratti commerciali favorevoli alle grandi potenze industriali, incoraggiando conflitti locali fra popolazioni ed etnie alimentati con forniture di armi.

La concorrenza fra paesi industriali e i reciproci sospetti avevano favorito una continua situazione di conflitto che richiedeva la produzione di armi sempre più potenti, fra cui le bombe nucleari che, all’inizio del XXI secolo, era possedute da ben nove paesi ma che di fatto erano distribuite e localizzate, anche su navi e sottomarini, in tutto il mondo, usate per minacciare qualsiasi potenziale paese nemico di una distruzione atomica, una politica detta deterrenza. Le regole economiche capitalistiche, accettate anche nei paesi che si dicevano socialisti, in una società globalizzata, avevano fatto sì che i proprietari di suoli spingessero alla costruzione di città sovraffollate, con scadenti servizi, in cui attrarre il proletariato, anche importato da paesi poveri, da sfruttare come forza lavoro a basso prezzo. Le megalopoli diventavano anche sede di ulteriori conflitti fra popolazione povera e ricca.

La situazione di permanente violenza fra popoli e persone era accompagnata da violenze contro la natura. L’aumento dei consumi di merci agricole e industriali, di materiali da costruzione e di energia, in quell’inizio del 2000, aveva portato all’impoverimento dei giacimenti e delle riserve di molte risorse e alla produzione di crescenti quantità di scorie e rifiuti che peggioravano la qualità — cioè la possibilità di uso futuro — di tali risorse sotto forma di inquinamento. Fra i rifiuti e le scorie particolari difficoltà di smaltimento si avevano con i rifiuti radioattivi generati durante la fabbricazione di armamenti nucleari e il funzionamento delle centrali nucleari.

Nelle grandi e piccole città mancavano o erano difettose le opere pubbliche per la depurazione delle acque usate che spesso finivano, con il loro carico inquinante, nei fiumi e nel mare, e per il trattamento dei rifiuti e delle aree inquinate, operazioni evitate o rimandate perché comportavano costi per gli stati senza alcun vantaggio monetario. Soprattutto nei paesi poveri erano frequenti comunità nelle quali le famiglie erano prive di servizi igienici essenziali e di acqua pura, le fogne e le acque inquinate scorrevano nelle strade ed erano fonti di epidemie.

Il principale segno della crisi si stava manifestando, già alla fine del 1900, con il lento continuo aumento della temperatura media terrestre dovuto alla crescente immissione nell’atmosfera di gas, di origine antropica, che trattengono sulla superficie delle Terra una crescente frazione della radiazione solare incidente (gas serra). Il riscaldamento delle terre emerse e, soprattutto, degli oceani, ha provocato in alcune zone della Terra sempre più frequenti piogge torrenziali, che devastavano abitazioni e raccolti, e, in altre zone, la diminuzione delle piogge e l’avanzata dei deserti. Nello stesso tempo si stavano fondendo i ghiacci dei ghiacciai permanenti con un aumento del livello dei mari e degli oceani.

I tentativi di rallentare e vietare le attività responsabili delle emissioni di gas serra (soprattutto il consumo di carbone, petrolio e gas naturale) sono sempre falliti perché comportavano un rallentamento della produzione e del consumo di energia e di merci e quindi degli affari, compromettendo la base stessa della società capitalistica. Il ventunesimo secolo era cominciato con guerre, campi alluvionati, diminuzione delle riserve di materie prime ed energetiche, aumento delle terre contaminate dai residui tossici delle attività “economiche”, con popoli dilaniati da conflitti interni e internazionali. La presenza nel mondo di un gran numero di bombe nucleari pronte all’uso ha portato più volte il mondo alle soglie di una catastrofe nucleare planetaria.

L’organizzazione delle Nazioni unite, creata 150 anni fa al fine di assicurare a tutti gli stati e nazioni, uniti nella solidarietà, condizioni di pace e di vita decente e di equi rapporti economici, non era in grado di azioni convincenti, soffocata dal potere di veto esercitato dai cinque paesi vincitori della II guerra mondiale che erano poi i principali detentori delle bombe nucleari.

A partire dai primi decenni del 2000, l’inarrestabile peggioramento del clima, la perdita di biodiversità e di specie vegetali e animali, l’aumento della povertà in molti paesi e le crescenti disuguaglianze fra popoli e persone ricchi e poveri, ha portato a riconsiderare le regole sociali e ad avviare l’uscita dal capitalismo.

Il cambiamento è iniziato con gli scritti di vari intellettuali attenti alla pace fra persone e nazioni e con la natura, e da gruppi di persone dei paesi poveri, insofferenti delle prepotenze dei grandi paesi industriali. Ci sono voluti alcuni decenni per arrivare alla definitiva trasformazione della società capitalistica nell’attuale società comunitaria basata sugli antichi, eterni, anche se mai realizzati, valori di solidarietà, pace e uguaglianza nei mezzi per soddisfare le necessità e i diritti individuali e collettivi. Nessuna persona deve mancare dei beni essenziali — cibo, abitazione, assistenza sanitaria, istruzione, occupa-zione — necessari per una vita decente.

Il principio di base è la proprietà collettiva dei suoli e dei beni della Terra e il diritto di ciascun individuo e di ciascun gruppo sociale di accedervi sotto i vincoli dei limiti della scarsità e del dovere di contenere al massimo la produzione di scorie e rifiuti che contaminano i beni, collettivi, di aria, acqua, suolo.

Sono state necessarie profonde riforme nella delimitazione dei confini, dicarattereamministrativo, fra paesi, al fine di aggregare in comunità i popoli affini come abitudini, credo religioso, abitudini di consumi alimentari, accesso alle risorse naturali, in conformità con le condizioni geoclimatiche ed ecologiche del territorio abitato.

Nella società comunitaria i bisogni di ciascuna persona vengono soddisfatti con il lavoro a cui ciascuna persona è tenuto, nell’ambito delle sue capacità, nell’agricoltura, nelle industrie e nei servizi.

La inaccettabile differenza fra la ricchezza dei vari paesi, misurata in arbitrarie unità monetarie, che caratterizzava il mondo all’inizio del 2000 ha portato all’attuale revisione delle forme di pagamento delle merci e del lavoro, su scala internazionale, in unità fisiche, legate al consumo di energia, e al numero di ore di lavoro necessarie per ottenere ciascuna merce e servizio. Queste unità sono regolate su scala internazionale da una banca centrale comunitaria.

La popolazione mondiale è adesso di 10.000 milioni di persone e sta aumentando in ragione di circa 40 milioni di persone all’anno. La natalità è quindi di poco superiore alla mortalità e il pur piccolo aumento annuo della popolazione consente di compensare gli squilibri provocati dall’invecchiamento della popolazione e per ora resta praticamente stazionario il numero delle persone in età lavorativa. L’elevato e lentamente crescente numero di anziani comporta la crescente richiesta di lavoratori nel campo dell’assistenza e della salute, il cui reddito viene dallo stato e dalle pensioni degli anziani. Il mutamento della struttura della popolazione comporta anche profonde modifiche dei prodotti richiesti dalle frazioni della popolazione mondiale nelle varie fasce di età.

La realizzazione della società comunitaria ha fatto sì che, in breve tempo, si sono attenuate le inaccettabili differenze di disponibilità di beni e servizi fra i vari abitanti e le varie comunità della Terra. Ciò significa che è diminuita la disponibilità di merci e servizi per le persone e i paesi che ne possedevano e sprecavano in eccesso e ha contribuito ad aumentare il benessere, inteso come condizioni di vita e liberazione dalla fame, dalle malattie e dall’ignoranza, della parte più arretrata degli abitanti del pianeta.

Agricoltura e cibo

La transizione ha comportato una grande modifica della struttura dell’agricoltura e delle foreste, la principale fonte degli alimenti e di molti materiali da costruzione. Ogni persona ogni anno, in media, ha bisogno di alimenti costituiti da circa 300 kg di sostanze nutritive (carboidrati, grassi, proteine animali e vegetali, grassi, eccetera) ottenibili con la produzione di circa 1000 kg/anno, circa 10 miliardi di tonnellate all’anno, di prodotti vegetali e animali. La coltivazione intensiva dei suoli, con forti apporti di concimi e pesticidi, è stata sostituita da coltivazioni di superfici di suolo adatte a fornire principalmente alimenti alle comunità vicine, con la prevalente partecipazione al lavoro dei membri di ciascuna comunità. Venuta meno la proprietà privata dei terreni agricoli si è visto che la superficie disponibile era largamente sufficiente a soddisfare i fabbisogni alimentari mondiali.

La coltivazione delle terre con la prevalente partecipazione delle popolazioni locali è integrata con le attività di conservazione, di trasformazione e di distribuzione degli alimenti. Gli alimenti sono trasformati in modo da soddisfare essenzialmente la domanda locale col che sono diminuiti gli sprechi associati al trasporto a grandi distanze dei raccolti e alle attività dei processi di trasformazione dei raccolti in alimenti di qualità e sapore standardizzati, quali richiedeva il mercato capitalistico. Il trasporto è limitato ai raccolti e agli alimenti che una comunità produce in eccesso verso comunità che hanno minore disponibilità di alimenti.

L’allevamento del bestiame, la principale fonte di alimenti — carne, latticini, uova — contenenti proteine con una adeguata quantità di amminoacidi essenziali, quelli che l’organismo umano non può sintetizzare e che sono indispensabili per il funzionamento della vita umana, assorbe una parte dei prodotti agricoli vegetali, ma soprattutto dei sottoprodotti agricoli e delle attività agroindustriali (produzione di zucchero, macinazione dei cereali, estrazione dei grassi, preparazione di conserve, eccetera).

Gli allevamenti animali generano anche rifiuti ed escrementi che sono ricchi di sostanze nutritive per il terreno e che vengono usati nei campi coltivati evitando l’uso di concimi artificiali. In questo modo con l’integrazione di coltivazioni agricole e di allevamenti zootecnici, ciascuna comunità aumenta la propria autonomia alimentare.

L’abbandono delle grandi città, la cui alimentazione e rifornimento di energia comportavano grandi sprechi a causa della necessità di trasporti di grandi masse di materiali a grandi distanza, e l’integrazione fra comunità urbane e agroindustriali ha consentito di far aumentare la frazione di popolazione addetta all’agricoltura in aziende cooperative.

Acqua

L’altra grande materia naturale essenziale per soddisfare i bisogni elementari umani è costituita dall’acqua: sul pianeta Terra, fra oceani e continenti, si trova una riserva, uno stock, di circa 1.400 milioni di chilometri cubi di acqua; la maggior parte è nei mari e negli oceani sotto forma di acqua salina, inutilizzabile dagli esseri umani; solo il 3 per cento di tutta l’acqua del pianeta è presente sotto forma di acqua dolce, priva o povera di sali, e la maggior parte di questa è allo stato solido, come ghiaccio, nei ghiacciai polari e di montagna; resta una frazione (circa 10 milioni di km3) di acqua dolce liquida che si trova nel sottosuolo, nei laghi, nei fiumi.

L’acqua si presenta con due volti, uno buono, la possibilità di sodisfare bisogni essenziali umani, e l’altro cattivo, le modificazione della superficie del suolo in seguito al deflusso delle acque piovane.

L’acqua serve per soddisfare i bisogni alimentari e di igiene personale e domestica. Rispetto ad un consumo di acqua  per usi domestici da parte dei 7.000 milioni di abitanti della Terra nel 2000, fra circa 2 e 200 m3/anno.persona, per complessivi circa 500 km3/anno, nell’attuale società comunitaria la disponibilità e l’uso di acqua è stabilizzato intorno a 40 m3/anno.persona, peraltro con grandi miglioramenti nella distribuzione e nell’efficienza dei servizi igienici e delle operazioni domestiche (trasformazione dei cibi e lavaggio), con una richiesta complessiva di circa 400 km3/anno.

Ma l’agricoltura è il principale settore che assorbe acqua. Anche qui le stime variano molto a seconda delle condizioni climatiche, delle specie coltivate, eccetera; calcolando che solo una parte delle colture agricole siano irrigue, e tenuto conto dei grandi progressi nelle reti e nelle tecniche di irrigazione, si può stimare che l’agricoltura richieda, oggi nel 2100 circa 2.000 km3 di acqua all’anno.

Una parte di questo fabbisogno è soddisfatto con l’acqua recuperata dal trattamento e depurazione delle acque usate, sia domestiche, sia zootecniche, grazie ai progressi in tali tecniche che permettono di ottenere acqua usabile in agricoltura e in attività non domestiche; si ottengono anche fanghi di depurazione dai quali è possibile ottenere per fermentazione metano usato come combustibile (contabilizzato come energia dalla biomassa).

Operazioni che erano difficili quando grandi masse di persone abitavano grandi città lontane dalle attività agricole e che ora sono rese possibili della diffusione di piccole comunità urbane integrate nei terreni agricoli.

Non ci sono dati sui consumi di acqua nelle varie attività industriali, alcune delle quali usano l’acqua soltanto a fini di raffreddamento e la restituiscono nei corpi naturali da cui l’hanno prelevata (fiumi, laghi) nella stessa quantità e soltanto con una più elevata temperatura (inquinamento termico).

In particolari casi di emergenza acqua dolce viene ricavata anche dal mare con processi di dissalazione che usano elettricità, come i processi di osmosi inversa.

L’altro volto dell’acqua è rappresentato dall’interazione delle acque piovane e superficiali sul suolo. Ogni anno 40.000 km3 di acqua cadono sulle terre emerse, in modo diverso da luogo a luogo e secondo le stagioni.

Nell’urto dell’acqua sul suolo e nel moto delle acque attraverso fossi, torrenti e fiumi fino al mare si hanno modificazioni del suolo e asportazioni delle terre superficiali; tali forme di erosione sono maggiori se il suolo è nudo e non protetto da vegetazione.

Talvolta i fiumi non sono in grado di contenere il flusso delle piogge più intense, spesso lo scorrimento delle acque è ostacolato da edifici o strade che erano stati costruiti nel secolo passato, spesso proprio sulle rive dei fiumi, responsabili delle alluvioni che hanno distrutto terre fertili ed edifici e vite umane.

Dall’avvento della società comunitaria sono stati presi provvedimenti per controllare il flusso delle acque nel loro moto dall’interno dei continenti fino al mare. Si tratta di rimuovere ostacoli al moto delle acque e di tenere sotto controllo torrenti e fiumi; ciò è fatto da un apposito servizio di manutenzione dei fiumi, coordinato da speciali agenzie che amministrano ciascun bacino e sottobacino idrografico. Il bacino idrografico è considerato infatti la vera unità amministrativa di base dal punto di vista ecologico e territoriale e i confini delle varie comunità sono stati tracciati anche tenendo conto dei rispettivi bacini idrografici, in modo che la solidarietà fra abitanti possa manifestarsi al meglio proprio considerando la comune condivisione delle acque e l’amministrazione delle attività urbane, agricole e industriali e dei relativi rifiuti presenti in ciascun bacino.

La pianificazione per bacini idrografici consente anche di predisporre le opere di rimboschimento e ricostruzione della copertura vegetale nelle zone esposte ad erosione e a frane. L’aumento della superficie boscata offre occasione sia per la creazione di riserve naturali, sia per aumentare la disponibilità di legna utile come materiale da costruzione, carta, prodotti chimici, energia, con attività da insediare nelle zone interne, collinari e montane di ciascuna comunità.

Energia

Dopo il cibo e l’acqua il principale bisogno delle società umane è rappresentato dall’energia che è indispensabile, sotto forma di calore e di elettricità, per produrre le merci, consente gli spostamenti, contribuisce alla diffusione delle conoscenze e dell’informazione e permette di difendersi dal freddo.

Il programma delle nuove comunità è stato basato sul principio di graduale eliminazione del ricorso ai combustibili fossili, il cui uso è limitato alla produzione di alcuni combustibili liquidi e di alcune materie prime industriali in alcune produzioni metallurgiche, e nella chimica, e di contemporanea chiusura di tutte le centrali nucleari.

L’energia necessaria per le attività umane, 600 EJ/anno è principalmente derivata direttamente o indirettamente dal Sole. La transizione dalla società capitalistica a quella comunitaria, ha consentito di attenuare le inaccettabili differenze nella quantità di energia utilizzata dai vari paesi e disponibile alle varie persone. Nei primi anni del secolo scorso l’energia richiesta ogni anno dai 7.000 milioni di persone si aggirava intorno a 500 EJ[1] con differenze fra i vari paesi che andavano fra circa 300 GJ/anno.persona (in Italia era di 110 GJ/anno per persona), e valori di 5-10 GJ/anno.persona dei paesi più poveri.

Oggi è stato possibile contenere il fabbisogno di energia dei 10.000 abitanti del pianeta a 600 GJ/anno, con una disponibilità media di circa 60 GJ/anno. persona (equivalente a circa 18.000 kWh/anno.persona e ad una potenza di circa 2000 watt), e oscillazioni fra 50 e 80 GJ/anno.persona a seconda del clima e delle condizioni produttive. Questo significa che i paesi con più alti consumi e sprechi sono stati costretti a contenere tali consumi agli usi più essenziali, in modo da assicurare ai paesi più poveri una disponibilità di energia sufficiente ad una vita decente.

Una “società a 2000 watt” era stata auspicata già cento anni fa come risposta al pericolo di esaurimento delle riserve di combustibili fossili e alle crescenti emissioni di gas serra nell’atmosfera. L’attuale riequilibrio della disponibilità di energia per persona è stato ottenuto con una graduale severa politica di informazione e di leggi adottate a livello internazionale che hanno limitato gli sprechi e razionalizzato tutti i servizi dipendenti dall’energia.

La lunga transizione nei fabbisogni di energia ha rallentato il riscaldamento planetario. All’inizio del 2000 la concentrazione nell’atmosfera dell’anidride carbonica (il principale gas serra proveniente soprattutto dalla combustione dei combustibili fossili) era arrivata al valore di 400 ppmv; il valore di emissioni era di circa 35 miliardi di t/anno di anidride carbonica e altri gas serra. Tale inquinamento è andato aumentando nei primi decenni del secolo per cominciare poi a diminuire, col progredire della società comunitaria e col cambiamento della struttura della produzione e dei consumi, fino a raggiungere l’attuale valore di emissione nell’atmosfera dei gas serra di 5 miliardi di tonnellate all’anno, una quantità di gas che va a sommarsi alla massa di gas serra già esistente e che complessivamente è arrivata a 4000  miliardi di tonnellate di anidride carbonica, con una concentrazione stabilizzata a 500 ppmv, tale da almeno frenare e stabilizzare l’aumento di temperatura dell’intero pianeta.

La vera soluzione dei problemi energetici si è avuta col ricorso alle fonti di energia rinnovabili, tutte, direttamente o indirettamente, legate al Sole. L’intensità della radiazione solare che arriva ogni anno sulla superficie della Terra equivale a circa 3.000.000 EJ. Di questi circa 1.000.000 EJ raggiungono le terre emerse, un valore circa 1.600 volte superiore al fabbisogno energetico totale mondiale attuale.

L’energia solare tiene in moto il grande ciclo dell’acqua: il calore solare fa evaporare e condensare ogni anno 500.000 miliardi di tonnellate di acqua dalla, e sulla, superficie dei mari e delle terre emerse. 100.000 miliardi di t/anno ricadono sulle terre emerse e circa 40.000 miliardi di t/anno scorrono sulla superficie dei continenti nel loro ritorno al mare, superando talvolta grandi dislivelli. Questo flusso ha un “contenuto” potenziale medio di circa 55.000 miliardi di kilowattore (kWh) all’anno, di cui attualmente vengono recuperati sotto forma di energia idroelettrica 7.000 miliardi di kWh/anno.

Ciò è possibile affiancando a grandi centrali idroelettriche, che utilizzano la forza della caduta dell’acqua trattenuta ad alta quota in laghi artificiali creati da grandi dighe, quelle costruite nel corso del Novecento, con numerose piccole centrali che ottengono elettricità da piccoli salti d’acqua o dall’acqua corrente dei fiumi; centrali diffuse nel territorio che forniscono elettricità alle comunità vicine, evitando le grandi reti di distribuzione dell’elettricità, responsabili di grandi perdite di energia.

I nuovi confini fra le comunità, tracciati tenendo conto dei bacini idrografici, consentono di produrre energia idroelettrica senza compromettere il flusso complessivo delle acque di ciascun bacino idrografico ed arrecare danni alle comunità che vi abitano. La disponibilità di energia idroelettrica anche in zone finora isolate o abbandonate come quelle di collina o montagna o nelle zone tropicali attraversate dai grandi fiumi, ha permesso di trasferire in tali zone insediamenti e attività agricole e produttive.

Ai fini dell’utilizzazione “umana” dell’energia solare va notato subito che l’intensità della radiazione solare è maggiore nei paesi meno abitati; molti dei paesi che un secolo fa erano arretrati, hanno potuto uscire dalla miseria proprio grazie all’uso dell’energia solare; la società comunitaria ha così potuto contribuire a ristabilire una forma di giustizia distributiva energetica fra i diversi paesi della Terra, realizzando la profezia formulata due secoli fa dal professore italiano Giacomo Ciamician, “i paesi tropicali ospiterebbero di nuovo la civiltà che in questo modo tornerebbe ai suoi luoghi di origine“. Con l’energia solare si può ottenere energia in tutte le forme desiderabili: calore a bassa temperatura, calore ad alta temperatura, energia elettrica a seconda delle condizioni e delle richieste locali. Agli inizi del secolo l’energia solare era utilizzata principalmente per la produzione di elettricità mediante celle fotovoltaiche o in grandi centrali a concentrazione, per lo più sul modello delle centrali termoelettriche di grandi dimensioni alimentate da combustibili fossili, allora predominanti. Nella società comunitaria prevale invece l’uso di impianti solari in forma diffusa, di piccole dimensioni. Riscaldatori di acqua solari consentono alle abitazioni di avere acqua calda per le necessità domestiche.

In molte comunità i fornelli solari a concentrazione, di grande semplicità costruttiva, con materiali disponibili dovunque anche nelle zone isolate, permettono di cuocere il cibo senza ricorrere a combustibili e senza inquina-mento. I raccolti agricoli e le derrate alimentari possono essere essiccati mediante essiccatoi solari. Con l’energia solare è possibile azionare dei frigoriferi ad assorbimento. Si sono diffusi anche i distillatori solari con cui ottenere acqua dolce potabile dall’acqua di mare, di grande utilità specialmente lungo le coste dei mari in zone dove l’acqua dolce è scarsa. La forma più avanzata di tecnica solare riguarda gli impianti fotovoltaici che trasformano direttamente l’energia solare in elettricità in dispositivi fissi. Gli impianti attuali sono in grado di produrre, con le insolazioni delle latitudini medie, circa 100 -150 kWh/anno.m2 di superficie di fotocelle. L’attuale produzione di elettricità per via fotovoltaica (6.000 TWh/anno) richiede una superficie esposta al Sole di circa 60-100 mila km2, apparentemente grandissima ma che in realtà può essere distribuita nel territorio, soprattutto in forma di impianti di poche decine di metri quadrati sulla superficie di edifici e di abitazioni.

Molte centinaia di milioni di abitazioni familiari hanno installato pannelli fotovoltaici in grado, con adatti sistemi di accumulo, di fornire circa 3000 kWh/anno di elettricità per famiglia. La produzione di elettricità in questa forma diffusa nello spazio corrisponde a circa il 10 % del fabbisogno elettrico mondiale totale. Impianti fotovoltaici di piccole dimensioni sono essenziali in molte zone isolate per alimentare linee di telecomunicazione e di istruzione a distanza, frigoriferi elettrici per la conservazione di derrate alimentari deperibili e di medicinali.

Anche il vento è una fonte di energia rinnovabile solare perché il moto dell’aria è provocato dal differente riscaldamento solare dei continenti e dei mari. I motori eolici sono in grado di fornire, in media, circa 1500-2000 kWh/anno per kW di potenza installata e sono diffusi sia sotto forma di piccole centrali di diecine di kW di potenza, adatte per comunità diffuse nel territorio sia sotto forma di centrali di maggiori dimensioni a torre, della potenza di centinaia di kW, installate nelle pianure o lungo le coste, collegate mediante reti di distribuzione con città più grandi.

L’inconveniente della irregolare disponibilità dell’energia solare, come anche dell’energia eolica, nello spazio e nel tempo, nelle ore della giornata e nei mesi dell’anno, è stato superato fin dal secolo scorso con la diffusione di impianti di accumulo dell’energia, soprattutto con il perfezionamento delle batterie di accumulatori o dei generatori di idrogeno elettrolitico; questo può essere prodotto quando l’energia è disponibile, può essere immagazzinato e bruciato nelle celle a combustile producendo elettricità quando occorre e quando le fonti solare ed eolica non sono disponibili.

Sono anche stati perfezionati motori che ricavano elettricità dal moto ondoso e dalle correnti marine, forze solari anch’esse, derivando dal differente riscaldamento solare delle varie zone degli oceani e dei mari.

Una società comunitaria elettrica

La maggior parte delle fonti rinnovabili fornisce energia sotto forma di elettricità che oggi viene usata in ragione di circa 30.000 TWh/anno, superiore a quella usata agli inizi del XXI secolo, circa 22.000 TWh/anno, allora ottenuta principalmente bruciando combustibili fossili, inquinanti e con riserve scarse.

La produzione di elettricità da fonti rinnovabili è oggi (2100), così distribuita, in TWh/anno

Idro                                                     7.000

Solare elettrico                                  6.000

Vento                                                  9.000

Maree e moto ondoso                      2.000

Geotermico                                        3.000

Biomasse (*)                                       3.000

(*) Produzione termoelettrica da gas ottenuti dalla fermentazione di rifiuti solidi o di fanghi di depurazione delle acque. Trascurabile la produzione di elettricità da fonti fossili.

La necessità di rallentare i mutamenti climatici dovuti alle emissioni di gas serra dagli impianti che bruciano i combustibili fossili ha permesso la trasformazione di molte produzioni e servizi alimentati a energia fossile a servizi alimentati ad energia elettrica.

Molti processi industriali soni stati trasformati in modo da utilizzare essenzialmente energia elettrica: l’alluminio, alcuni altri metalli, l’idrato sodico e il cloro, prodotti chimici richiesti per il trattamento e la trasformazione di molti altri prodotti chimici; anche l’ammoniaca, altra importante materia prima per la produzione di concimi e di altri prodotti, è ottenuta per reazione dell’azoto, ottenuto per distillazione dell’aria, resa liquida mediante compressori elettrici, con l’idrogeno ottenuto per elettrolisi dell’acqua.

Con l’elettricità è ottenuto anche l’acciaio, il principale materiale da costruzione, richiesto nel mondo in ragione di circa un miliardo di tonnellate all’anno, con processi elettrotermici partendo dal minerale ma soprattutto da rottami, la cui quantità aumenta continuamente a mano a mano che vengono abbandonati fuori uso impianti e macchinari.

Il processo di scomposizione elettrolitica dell’acqua fornisce idrogeno un gas combustibile che trova impiego in molti settori dell’industria e per azionare motori elettrici.

La biomassa come fonte di energia

L’altra grande funzione “naturale” dell’energia solare è la “fabbricazione” per fotosintesi di biomassa vegetale: circa 100 miliardi di t/anno negli oceani e circa 100 miliardi di t/anno sulle terre emerse a spese di circa 400 miliardi di t/anno di anidride carbonica tratta dall’atmosfera; tale anidride carbonica quasi totalmente ritorna nell’atmosfera in breve tempo, nel corso del ciclo del carbonio. La biomassa vegetale, oltre a fornire alimenti, fornisce materie prime per altre industrie (legname, materiali da costruzione, carta) e per l’industria chimica (concimi, medicinali, fibre tessili, gomma, eccetera) in passato ottenute per trasformazione di idrocarburi ricavati da combustibili fossili (petrolio e gas naturale).

Industria

La struttura economica della società comunitaria richiede molti macchinari e oggetti e strumenti che devono essere fabbricati con processi industriali. Questi sono diffusi nel territorio integrati con le attività agricole e le abitazioni; la loro localizzazione è pianificata in modo da ridurre le necessità di trasporto delle materie prime e dei prodotti a grandi distanze e da ridurre il pendolarismo dei lavoratori fra fabbriche e miniere e abitazioni. Macchine e merci sono prodotte con criteri di standardizzazione che assicurano una lunga durata e limitata manutenzione. I processi industriali richiedono minerali, metalli, materie estratte dalla biomassa, prodotti chimici, e inevitabilmente sono fonti di rifiuti e scorie.

L’abolizione degli eserciti ha portato ad un graduale declino e poi estinzione delle fabbriche di armi ed esplosivi.

Mentre nella società capitalistica l’unico criterio che stava alla base della produzione industriale era la massimizzazione del profitto degli imprenditori, e tale obiettivo era raggiunto spingendo i cittadini ad acquistare sempre nuove merci progettate per una breve durata, tale da assicurare la sostituzione con nuovi modelli, nella società comunitaria la progettazione dei prodotti industriali è basata su una elevata standardizzazione e su una lunga durata di ciascun oggetto.

Soddisfatte con l’agricoltura e l’industria le necessità di base, ampia libertà è lasciata alle lavorazioni artigianali, sia tradizionali che innovative, purché nel rispetto dell’ambiente e della salute dei lavoratori. In tal modo l’artigianato diventa la via principale in cui si esprime la creatività individuale e collettiva.

Con i nuovi criteri di “valutazione” delle merci e dei servizi un prodotto viene caratterizzato sulla base del consumo di energia e di materie prime e delle ore di lavoro impiegate per produrlo, lavoro anch’esso valutato in unità energetiche. Hanno maggior valore i prodotti ottenuti, a parità di condizioni, con una minore richiesta di energia e di materie prime e con una limitata formazione di scarti e residui, il che consente di orientare la produzione verso processi meno faticosi e dolorosi per i lavoratori.

Il “prezzo” è fissato sulla base della quantità complessiva di energia richiesta nella fabbricazione e delle ore di lavoro, espressa in unità “A” che sostituisce le vecchie unità monetarie. 1 A corrisponde alla quantità di energia di dieci chilowattore; è difficile fare equivalenze con le unità monetarie usate un secolo fa ma si può stimare che 1 A corrisponda a circa 5 dollari o euro o a circa 1 yuan. Il compenso medio di un’ora di lavoro varia, a seconda delle mansioni, fra 2 e 20 A.

La disponibilità di denaro per ciascuna persona, assicurata dai compensi per il lavoro o da contributi pubblici nel caso di impossibilità di lavoro per età o malattie, è in media di 5.000 A all’anno, con differenze fra le diverse comunità che oscillano fra 2.000 e 10.000 A. Una frazione del reddito di ciascuna persona è versata alle comunità per compensare i servizi pubblici.

Una conseguenza fondamentale della nuova organizzazione della produzione e della società consiste nella diminuzione generalizzata dell’orario di lavoro, accanto alla piena occupazione. Attualmente la durata media della giornata lavorativa è di sei ore al giorno, rispetto alle otto ore rivendicate dal movimento dei lavoratori già nel XIX secolo.

Servizi

Fra i servizi particolare importanza hanno quelli relativi alla gestione e manutenzione dei beni naturali come difesa del suolo, rimboschimento, lotta agli inquinamenti generati nelle attività agricole, industriali e urbane, dell’igiene urbana, dello smaltimento dei rifiuti e della bonifica delle zone contaminata da decenni di attività della società capitalistica. Un grande e duraturo impegno è richiesto per i servizi di custodia e vigilanza delle grandissime quantità di scorie radioattive a vita lunga accumulate in quasi un secolo di attività nucleari civili e militari, cessate mezzo secolo fa. Circa un terzo dei lavoratori totali è addetto ai servizi sociali di assistenza a bambini e anziani, ai servizi sanitari e di istruzione; tali addetti ricevono particolare apprezzamento sociale perché assicurano stabilità e benessere sociale nell’ambito delle varie comunità.

Uno dei cambiamenti più importanti ottenuti nel passaggio alla società comunitaria ed ecologica riguarda la salute delle persone, oltre che dell’ambiente. La disponibilità di cibo sano e nella giusta quantità, assieme alla diminuzione dell’inquinamento nelle sue varie forme, hanno consentito di migliorare la qualità della vita, diminuendo drasticamente il ricorso ai farmaci e gli squilibri nella loro disponibilità che caratterizzavano la situazione agli inizi del XX secolo. Allo stesso traguardo ha concorso la diminuzione dello stress e delle forme patologiche di conflitto tra i singoli e i gruppi.

Trasporti

Il secolo ventunesimo si è aperto con una struttura di trasporti privati e pubblici basati sul continuo rinnovo di autoveicoli privati, di vita breve, e su elevati consumi di fonti di energia fossili, principalmente di origine petrolifera.

Il trasporto privato aveva luogo con un parco di oltre un miliardo di autoveicoli azionati con motori a scoppio che bruciavano benzina e gasolio. Questi autoveicoli erano una delle più rilevanti fonti di inquinamento dell’aria, specialmente nelle città, e di consumo di materiali. All’inizio del Duemila circa un terzo dei gas serra erano generati dal traffico automobilistico. Sempre nuovi modelli venivano immessi nel mercato dalle grandi compagnie automobilistiche e petrolifere, con conseguente formazione di grandi quantità di rottami, scarti di gomma, plastica, metalli.

Il trasporto ferroviario e aereo era caratterizzato dal gigantismo al fine di massimizzare i profitti delle imprese e di favorire la mobilità delle classi più abbienti.

Nella società comunitaria odierna la mobilità di persone e merci è assicurata in gran parte da trasporti ferroviari elettrici, con una ristrutturazione delle linee ferroviarie dando priorità alla mobilità richiesta dalle persone che vanno al lavoro e alle scuole. Oggi è praticamente eliminato il possesso privato di autoveicoli e il trasporto di persone è assicurato dalle comunità sia mediante efficaci mezzi di trasporto collettivo elettrici, sia mediante prestito di autoveicoli di proprietà collettiva per il tempo necessario alla mobilità richiesta. Gli autoveicoli sono progettati in modo da occupare uno spazio limitato durante la circolazione e sono prodotti in pochi modelli altamente standardizzati in modo da rendere facile la manutenzione con sostituzione delle parti avariate, ricambi che si possono trovare in qualsiasi comunità, anche lontana. E’ così aumentata la vita utile dei veicoli e diminuita la massa dei rottami. Lo stesso servizio comunitario è assicurato per i mezzi di trasporto di merci.

Sono stati gradualmente abbandonati i mezzi di trasporto alimentati a prodotti petroliferi non rinnovabili, sostituiti oggi per la quasi totalità da autoveicoli azionati con motori elettrici alimentati con nuove batterie di grande capacità, ricaricabili in stazioni di rifornimento diffuse nel territorio, riforniti dalle reti elettriche solari ed eoliche. Ciò è stato reso possibile anche con l’unificazione in tutte le comunità del voltaggio delle reti di distribuzione dell’elettricità. Le attuali batterie di accumulatori consentono di percorrere centinaia di chilometri con una ricarica. In alternativa i motori elettrici possono essere azionati con celle a combustibile che “bruciano” idrogeno elettrolitico, disponibile in stazioni di ricarica diffuse nel territorio al fianco di quelle per la ricarica delle batterie degli autoveicoli elettrici.

Le città

Uno dei principi della società comunitaria è il diritto alla casa per tutte le famiglie. Eliminata la proprietà privata dei suoli, adesso amministrati da ciascuna comunità come beni collettivi, è cambiata la struttura delle città. Sono stati gradualmente svuotati i grandi agglomerati urbani, sedi delle principali differenze e conflitti fra classi e sono stati rivitalizzati piccole città e villaggi e nuove unità comunitarie sono state costruite, integrate nelle campagne.

L’organizzazione comunitaria ha rivolto attenzione alla pianificazione degli spazi urbani in modo da assicurare alle abitazioni servizi di energia in grado di soddisfare le necessità della vita domestica e reti di distribuzione dell’acqua potabile. Sono ugualmente assicurati i servizi di assistenza sanitaria e di istruzione; le università, sedi di ricerca scientifica e di istruzione superiore, sono localizzate in spazi autonomi forniti di alloggi per docenti e studenti.

L’approvvigionamento delle merci avviene attraverso piccoli negozi che distribuiscono soprattutto merci locali. Le nuove città sono diventate anche occasioni di attrazione di attività industriali basate sulla trasformazione di risorse naturali locali o di risorse importate; è così oggi assicurata la piena occupazione degli abitanti. Adesso le singole comunità danno priorità all’impegno di assicurare alle città e villaggi servizi igienici come bagni e gabinetti familiari per i quali sono state sviluppate tecnologie apposite, e efficienti fognature di raccolta dell’acqua usate avviate a impianti di trattamento e depurazione che consentono di recuperare acqua usabile in agricoltura. La stessa attenzione è rivolta al trattamento dei rifiuti urbani domestici, la cui massa è diminuita a valori di circa 1000 kg/anno per persona, circa il 10% della massa dei rifiuti delle città opulente ai tempi del capitalismo. Ciò è stato possibile con la diminuzione della massa di imballaggi e di merci e facendo aumentare la durata dei prodotti e macchinari usati da ciascuna famiglia. I perfezionamenti nella progettazione delle merci e dei macchinari consente di trattare le merci usate in modo che è facile recuperare i materiali con processi di riciclo. L’attuale organizzazione urbana ha portato molte innovazioni anche nell’edilizia e nella costruzione di abitazioni ed edifici, con priorità per l’uso del legno come materiale da costruzione rinnovabile, al posto del cemento la cui produzione richiede molta energia ed è fonte di inquinamento e di gas serra.

Uno sguardo al futuro

Siamo alle soglie del XXII secolo; ci lasciamo alle spalle un secolo di grandi rivoluzionarie transizioni, un mondo a lungo violento, dominato dal potere economico e finanziario, sostenuto da eserciti sempre più potenti e armi sempre più devastanti. L’umanità è stata più volte, nel secolo passato, alle soglie di conflitti fra paesi e popoli che avrebbero potuto spazzare via la vita umana e vasti territori della biosfera, vittima della paura e del sospetto, è stata esposta ad eventi meteorologici che si sono manifestati con tempeste, alluvioni, siccità.

Fino a quando le “grandi paure” hanno spinto a riconoscere che alla radice dei guasti e delle disuguaglianze stava dell’ideologia capitalistica del “di più”, dell’avidità di alcune classi e popoli nei confronti dei beni della natura da accumulare sottraendoli ad altre persone e popoli. Con fatica abbiamo così realizzato un mondo in cui le unità comunitarie sono state costruite sulla base dell’affinità fra popoli, in cui città diffuse nel territorio sono integrate con attività agricole, in cui l’agricoltura è stata di nuovo riconosciuta come la fonte primaria di lavoro, di cibo e di materie prime, un mondo di popoli solidali e indipendenti, in cui la circolazione di beni e di persone non è più dominata dal denaro, ma dal dritto di ciascuna persona ad una vita dignitosa e decente.

 Questo testo è stato reso possibile dagli scambi e discussioni con Pier Paolo Poggio che ringrazio.

Giorgio Nebbia – 2018. Testo pubblicatonel libro di vari autori “Alle frontiere del capitale” (Jaca Book e Fondazione Micheletti)


[1] 42 exajoule EJ equivalgono all’energia “contenuta” in un miliardo di tonnellate di petrolio o in 1,4 miliardi di tonnellate di carbone

42 gigajoule equivalgono all’energia contenuta in 1 tonnellata di petrolio

In altre unità: 1 GJ = 280 chilowattore kWh

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