REGIONALISMO DIFFERENZIATO (II): UN GLOSSARIO

Quella che qui riportiamo è solo una frazione minuscola della terminologia sviluppata in Italia da pochi decenni a questa parte che ha trovato alimento nelle tante strutture e commissioni istituite intorno al «federalismo» più o meno rafforzato per alcuni all’«autonomia» per altri.

Vuole essere un piccolo supporto a tutti coloro che vorranno promuovere incontri, dibattiti su questo tema o che vorranno dire la loro in incontri promossi da altri. Abbiamo anche inserito un po’ di link a documenti ufficiali e saggi.

Non è certo una lettura che suscita emozioni, che attrae. Ma chi ha messo giù queste note, non essendo né giurista, né economista, né… tante altre cose crede proprio di essersi imbattuto in un esempio di cosa sia oggi la «governance». In scelte determinanti dell’assetto statuale scompare qualunque riferimento alla concretezza delle vita quotidiana, ai luoghi dell’abitare per cui si può arrivare a definire astrusi parametri universali per valutare i «fabbisogni» validi a Milano come a Simeri Crichi a cui tutti si devono attenere perché a produrli sono i tecnici, gli esperti perché sono «oggettivi». Insomma un’altra faccia di TINA (There are not Alternatives), non ci sono alternative. Ma più lo affermano e più ci convinciamo che un altro mondo è possibile.

Del resto anche il Val di Susa le carte prodotte dagli « esperti » avevano stabilito «oggettivamente» che si doveva fare la Tav. La resistenza degli abitanti della Valle ha trovato forza anche nella capacità di rendere evidente come c’era stato chi aveva stabilito cosa era «oggettivo».

Titolo V della Costituzione «Le Regioni le Province i Comuni».

Comprende gli articoli – dal 114 al 133 – che riguardano competenze, risorse, ordinamenti delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Il Titolo V è di certo la parte della Costituzione che nella sostanza (e anche nella forma) ha subito la modifica più radicale rispetto al testo originario approvato dall’assemblea costituente nel 1948 (altre modifiche importanti sono state l’introduzione della maggioranza qualificata – 2/3 di Camera e Senato – per la concessione dell’amnistia o dell’indulto approvata sull’onda di Mani pulite nel 1992 e l’introduzione del pareggio di bilancio del 2012 a seguito della crisi finanziaria).

Nell’articolo 116 dopo i primi due commi sostanzialmente uguali a quelli 1948 (in cui si definisce la condizioni di regioni a statuto speciale e la costituzione delle provincie autonome), viene introdotto un terzo comma: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata ».

E’ questo capoverso che radica nella Costituzione tutte le richieste di autonomia che hanno fra l’altro prodotto un vastissimo dibattito teorico di natura giuridica, sociale ed economica e a tutta l’ormai sconfinata terminologia di cui si dà in minima parte conto in questo glossario.

Nell’articolo 117 viene definita una uguale esercizio della potestà legislativa dello Stato e delle Regioni stabiliti tre livelli di competenze (vedi voce successiva):

Il titolo V in particolare per le Regioni (che ricordiamo sono state istituite nel 1970) determina i criteri generali che regolano le elezioni e i rapporti fra il Governo nazionale e quelli locali e la risoluzione delle controversie. L’articolo 119 stabilisce che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Inoltre istituisce un fondo perequativo alimentato dallo Stato, per quelle autonomie non in grado di far fronte alle spese necessarie per finanziare integralmente le nuove funzioni pubbliche loro attribuite. Infine «Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» che sostituisce la precedente versione nella quale compariva esplicitamente il riferimento al Mezzogiorno: « Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali».

L’articolo 120 stabilisce la possibilità, con apposite procedure definite per legge, che il Governo può sostituirsi a organi di Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni.
Gli altri articoli definiscono i criteri generali delle procedure di funzionamento delle assemblee elettive, e del governo, soprattutto delle Regioni.

Competenze: esclusive, concorrenti, residue

Come stabilito dall’articolo 117 della costituzione, si dividono in esclusive cioè attività che competono esclusivamente allo Stato (inteso in questo caso come amministrazione centrale. In concorrenti cioè quelle attività svolte dallo Stato congiuntamente alle Regioni sulle quali è da osservare, la competenza legislativa appartiene interamente alla Regioni. Infine quelle residue, cioè quelle che non sono comprese nei due elenchi che riportiamo di seguito e possono essere esemplificate da quanto nella versione della Costituzione del 1948 era considerato di competenza delle Regioni.

Competenze esclusive:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull’istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;

s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Competenze concorrenti:

rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;

commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro;

istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;

professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute;

alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio;

porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione;

ordinamento della comunicazione;

produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;

previdenza complementare e integrativa;

armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;

valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio,

casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Competenze residue:

ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione;

circoscrizioni comunali;

polizia locale urbana e rurale;

fiere e mercati;

beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera;

istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica;

musei e biblioteche di enti locali;

urbanistica;

turismo ed industria alberghiera;

tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale;

viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale;

navigazione e porti lacuali;

acque minerali e termali;

cave e torbiere;

caccia;

pesca nelle acque interne;

agricoltura e foreste;

artigianato.

Livelli essenziale delle prestazioni (LEP)

Nel punto m) dell’articolo 117 si introducono i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali affidati alla potestà legislativa esclusiva dello Stato con ciò implicitamente introducendo in Costituzione il concetto di una diversità costituzionalmente compatibile, per quel che essenziale non è ed è pertanto rimesso  alla legge di ciascuna Regione.

Secondo il punto m) è competenza esclusiva dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».  Cioè il godimento di quei diritti civili e sociali uguali per tutti coloro che sono cittadini italiani, indipendentemente dal territorio ove risiedono. Quindi sono condizione sine qua non per poter discutere di qualunque forma di federalismo fiscale. Nella legge delega per l’attuazione del federalismo fiscale (42/2009) fra un lunghissimo elenco di compiti e di attribuzioni che prefigurano l’inclinazione del dibattito sul federalismo fiscale c’è anche «la determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica; definizione degli obiettivi di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali e locali nell’esercizio delle funzioni riconducibili ai livelli essenziali delle prestazioni o alle funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere m) e p), della Costituzione »; formulazione in cui la nettezza del punto m) si scioglie e si tende a collegare la definizione dei LEP alla determinazione del costo e del fabbisogno standard. Ma rimane pur sempre il fatto che qualunque ragionamento sul federalismo fiscale ha come riferimento la definizione dei LEP.

A tutt’oggi i LEP non sono stati definiti se non per il Servizio sanitario: i Livelli essenziali di assistenza.

Federalismo fiscale

Il termine compare nella legislazione italiana con i provvedimenti per l’attuazione dell’articolo 119 (Capitolo V) che recita: «I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principî di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio ».

Proprio per definire queste entrate e queste risorse autonome nel 2009 viene approvata la legge 42. Si tratta della « Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione » (legge Calderoli) (www.parlamento.it/parlam/leggi/09042l.htm)

(La ragione per cui questa legge è approvata ben otto anni dopo la riforma della Costituzione in altra parte).

Successivamente l’espressione federalismo fiscale ha assunto una più ampia accezione e soprattuto un mutamento di significato, tanto che è finita per indicare «una dottrina economico-politica volta a instaurare una proporzionalità diretta fra le imposte riscosse da un certo ente territoriale (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) e le imposte effettivamente utilizzate dall’ente stesso ».

Esemplificativo di questo indirizzo è quanto è avvenuto, dal 2010 in poi, con l’applicazione della legge 42/2009 sul federalismo fiscale in materia di finanziamento dei Comuni: con una congerie di disposizioni normative si è mirato a trattenere nei comuni più ricchi la maggior quantità possibile di risorse, ignorando le esplicite previsioni perequative di quella legge.

Fondo di solidarietà comunale

E’ istituito dallo Stato a vantaggio di quei comuni che non hanno fondi sufficienti per garantire ai cittadini i servizi considerati indispensabili, per assicurare la perequazione dei cittadini italiani in qualunque Regione risiedano è stato istituito nel 201. Il Fondo è alimentato prevalentemente dai Comuni tramite una quota dell’imposta municipale propria (IMU). Come viene ripartito il Fondo, quali servizi e quali i costi di questi servizi avrebbero essere fissati con la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni come previsto dalla Costituzione. Cioè quei servizi essenziali per la garanzia dei diritti civili e sociali fissati dalla Costituzione.

Nonostante che ad oggi i Lep non siano stati definiti il Governo, anzi i governi che si sono succeduti dalla data dell’approvazione della Legge delega per la realizzazione fiscale si è proseguito nella fissazione di costi e fabbisogni standard

Il fondo per il 2016 era pari a quasi 5.700 milioni di euro.

Il 55% del fondo di solidarietà è riservata alla spesa storica (vedi voce del glossario), ovviamente più larga al nord. Cioè non sulla base della perequazione di quanto si è speso nell’anno (o negli anni precedenti). E il restante 45%, almeno quello è realmente perequativo? No perché si è ulteriormente dimezzato essendo riservato per il 50%, ancora, ad un’allocazione secondo la spesa storica!

Residuo fiscale (ovvero Roma ladrona)

« Il residuo fiscale è la differenza tra tutte le entrate (fiscali e di altra natura come alienazione di beni patrimoniali pubblici e riscossione di crediti) che le Pubbliche Amministrazioni (sia statali che locali) prelevano da un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese ». Chiaro no?. Ma se sulle entrate non ci sono stati molti dubbi e discussioni. Tutt’altro è per quanto riguarda le risorse spese dallo Stato in un determinato territorio. Infatti a determinazione dei residui fiscali dipende criticamente dai criteri adottati per la regionalizzazionedelle entrate e soprattutto delle spese centrali e ha quanto meno una forte variabilitàdei risultati. Le richieste di maggiore autonomia fondate sull’analisi dei residui fiscali hanno basi relativamente incerte .
Proprio sulla quantificazione delle risorse spese ha trovato nuovo alimento tutta la miserabile e consunta retorica sul « Sud che vive sulle spalle del Nord », sulla necessità che ogni Regione « sia padrona a casa propria » « così anche  al Sud impareranno a essere efficienti ». Secondo questa versione per esempio i cittadini italiani che risiedono in Lombardia ricevono dallo Stato 2.333 euro a testa, quelli del Veneto 2.697 mentre quelli che risiedono in Calabria ne ricevono 3.855 e quelli che risiedono in Campania 3.401. E’ evidente Calabria e Campania succhiano i soldi versati dai cittadini lombardi e campani. Lasciamo ad altra parte la territorializzazione della cittadinanza che c’è in questo ragionamento. E veniamo ai numeri. In una nota tecnica sull’attuazione dell’autonomia differenziata a cura della Commissione SVIMEZ sul federalismo fiscale (www.astrid-online.it/static/upload/2019/2019_04_09_nota_regionalismo.pdf) si spiega come essi si fondano sui dati della Ragioneria generale dello Stato (RGS) che precisa come nei suoi conti prende in considerazione solo il 43,4% del totale della spesa dello Stato. Il restante 56,6%, costituita da spese, secondo la RGS non regionalizzabili (23,0%) ed erogazioni ad Enti e Fondi che vengono considerate non regionalizzate (33,6%).

Per intenderci in quei 2333 che riceve la Lombardia non sono comprese tutte le spese previdenziali, né quelle sanitarie, né quelle delle società pubbliche e tanto altro ancora… fino agli interessi sul debito che lo Stato paga a chi possiede titoli pubblici. Ma, si dirà, queste spese lo Stato le fa tanto in Lombardia che in Calabria, ci sono pensionati a Milano come a Cosenza, titoli di stato l’ha comprati un crotonese come un torinese. Proprio come questo non sia vero dimostra la nota dello Svimez che partendo dai dati dei Conti pubblici territoriali (Cpt) che « regionalizza » quelle spese che la RGS non ha « regionalizzato » o ritiene  « non regionalizzabili » arriva a tutt’altre conclusioni. Se si parte dai Cpt la somma stimata dalla RGS corrisponde appena al 22,4 delle spese sostenute dallo Stato. Guardando i conti da quest’altro punto di vista risulta che la spesa dello Stato pro-capite in Lombardia è pari a 16.979 e del Veneto a 14.188, in Calabria 13.605 e in Campania 12.084. Ma un momento. Dimenticavamo che questa non comprende gli interessi sul debito. A questo provvede l’Istituto Pio La Torre (http://www.piolatorre.it/public/art/un-analisi-delle-proposte-avanzate-sul-federalismo-differenziato-2405/). Riportiamo solo un dato: nel 2015 la spesa per interessi sul debito nel Mezzogiorno (cioè interessi pagati a cittadini residenti nel Mezzogiorno)  era di 4.906 milioni di euro mentre nel Centro-Nord corrisponde a 15.961 milioni di euro.

Costi e fabbisogni standard

Il decreto del 26 novembre del 2010 (https://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/10216dl.htm) indica come vanno definiti i fabbisogni dei servizi essenziali e i relativi costi. Standard indica che viene individuato un sistema di definizione e di calcolo valido che consente per esempio di stabilire qual è il bisogno e quale il costo giusto di un asilo di Milano come di Simeri Crichi.

Si tratta di un complesso sistema di calcolo che prende in considerazione più elementi ma che finiscono per prendere il posto dei Livelli essenziali delle prestazioni.

Così i parametri per tale calcolo arrivano all’assurdo, ad esempio, di considerare nullo il fabbisogno di asili nido di un paese che non possiede asili nido, per il solo fatto di non averceli Ad esempio, ancora, il fabbisogno in termini di viabilità ha tra i criteri il numero attuale di veicoli circolanti e le presenze turistiche, come se questi fattori non fossero essi stessi influenzati negativamente dalle già pessime condizioni del territorio. Il fabbisogno scolastico è messo in funzione del numero di edifici, utenti della mensa, utenti trasportati da altri centri e quota delle classi a tempo prolungato già presenti. Inoltre sono stati introdotti, nel meccanismo di calcolo dei fabbisogni sociali, delle variabili chiamate tecnicamente dummy (fantoccio), tese a ridurre il calcolo del fabbisogno delle Regioni che offrono meno servizi.

Nelle Pre- Intese di febbraio 2018, concluse dal Governo Gentiloni, le risorse nazionali da trasferire sono parametrate, dopo un primo anno di transizione, a fabbisogni standard calcolati tenendo conto anche del gettito fiscale regionale; e fatto comunque salvo l’attuale livello dei servizi (cioè prevedendo variazioni solo in aumento).

Rapportare il finanziamento dei servizi al gettito fiscale significa stabilire un principio estremamente rilevante: i diritti di cittadinanza, a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto.

Coordinamento Territoriale #DecidiamoNOI

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