ASSEMBLEA MERIDIONALE: PRIME IMPRESSIONI IN ATTESA DEL DOCUMENTO CONCLUSIVO

L’assemblea meridionale dei movimenti e dei comitati lascia un buon retrogusto fatto di tanti volti, di tante esperienze e di nuovi contatti. Ci si è sforzati di andare oltre le autonarrazioni per capire come procedere collettivamente, su quali basi, con quali programmi e verso quali obiettivi.

Il punto centrale è stato come sempre il tentativo di creare comunità sempre più estese a partire dai territori per raggiungere man mano dimensioni di coesione regionale, meridionale e nazionale.

Continuare nell’unificazione delle lotte, tra chi in egual misura è vittima di un sistema aggressivo che vive sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente. Cambiano solo i punti di vista ma non la sostanza della lotta che passa dalla liberazione di tutti e tutte da un meccanismo “biocida”.

Il quadro meridionale è aggravato da un’atavica e spesso studiata subalternità che lo relega allo status di pattumiera nazionale e drenaggio di risorse umane e materiali verso altre latitudini. Luogo di grandi opere costruite da imprese con sede altrove ed espressione di consorterie affaristiche e di potere che poco hanno a che fare con quel progresso socioeconomico di cui abbiamo bisogno. Luogo da lasciare ai margini per attrarre fondi europei e nazionali per lo sviluppo che lasciano, ogni volta, problemi peggiori di quelli che si volevano risolvere. È la storia passata della Legnochimica, a Rende, messa su a suon di finanziamenti pubblici da imprenditori piemontesi (pensate un po’ i ricorsi storici) e poi scappati lasciandoci in eredità alcuni pantani tossici. È la storia più recente del Parco Acquatico costruito con risorse programmate altrove, in Europa, e calato sul nostro territorio che avrebbe avuto bisogno di ben altro. È la telenovelas senza fine della Metrotramfilovia a Cosenza o del Ponte sullo Stretto tra Reggio Calabria e Messina.

Tutti progetti presentati come risolutori del declino economico e sociale del meridione dove in realtà migliaia di giovani ogni anno continuano a emigrare verso altri lidi nella speranza di una vita e di un futuro migliori.

Bisogna dunque abbandonare le piccole e grandi “zimeche” quotidiane per serrare i ranghi e farsi spazio nell’arena politica nazionale, quella di movimento e quella istituzionale, partendo da una definizione di programmi chiari, costruendo strategie condivise che facciano emergere, territorio per territorio, nuove energie e nuove capacità per incidere profondamente nello stato delle cose presente.

Rimane inutile la richiesta di maggiore visibilità da destinare a terze parti all’interno del movimento o della società. Come ben sappiamo da che mondo e mondo gli spazi di agibilitá si sono sempre conquistati a spinta, attraverso la produzione di conflitto e l’organizzazione di soggettività radicate sui territori e portatrici di una visione diversa e “incompatibile” con lo stato di fatto.

Questa rimane l’unica via per non creare uno strabismo territoriale fatto di presenzialismo agli eventi collettivi nazionali e di scarso radicamento e produzione di massa critica a livello locale. Partendo da una sana autocritica, più volte espressa in assemblea, c’è bisogno di uno slancio positivo che metta su nuovi binari l’impegno militante, quartiere per quartiere, città per città, capace di raccogliere le sfide sempre più stringenti relative alle tematiche del lavoro, della comunicazione, della salute, dei beni comuni e sicuramente delle trasformazioni ambientali e climatiche. Tutto questo passa dalla valorizzazione e della messa in rete delle pratiche alternative già in essere (comitati, gruppi di acquisto solidali, comunità contadine in lotta, sportelli, ambulatori, economia informale) senza tralasciare il livello macroregionale, nazionale e internazionale.

Sarebbe infatti fatica sprecata pensare di trasformare il presente partendo solo dal basso o solo dall’alto. Accanto alle consolidate prassi territoriali occorre una strategia collettiva di ampio respiro sulle questioni centrali della comunicazione, dei linguaggi e una piattaforma condivisa su temi e obiettivi che rendano visibile all’opinione pubblica l’altro mondo possibile a cui tanto aspiriamo e che vogliamo costruire pietra su pietra, ma che spesso rimane invisibile a causa della mancanza di una capacità di programmazione, di analisi e di cooperazione tra le realtà e i territori.

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