INTERVENTO DAL PALCO DEL PRIMO MAGGIO DI TARANTO.

“Questo non è un festival musicale, è un giorno di lotta. Che si serve della musica per dare un megafono a chi ha urgenza e necessità di far sentire la propria condizione. E noi siamo qui per far sentire la nostra voce.
Guardatevi intorno. Taranto è stupenda. Non ci manca niente. Ma ci hanno tolto tutto. Siamo in guerra qui, né più né meno.
E ora guardate noi. I ragazzi e le ragazze di Taranto si stanno mobilitando e sono in fermento per questa città che ne ha bisogno. Per i genitori coi passeggini vuoti e il volto rigato dalle lacrime, per i bimbi barricati dentro casa durante i wind days. Ci tolgono la felicità, che dovrebbe essere il vero motivo per cui nasciamo. Non nasciamo per finire ustionati da una massa incandescente o soffocati da macerie di amianto. Nasciamo per essere felici, per provarci almeno. Nasciamo per imparare. Ma, in una città dove le scuole vengono chiuse per rischio ambientale, che cosa vuoi imparare? Impari a sopravvivere.
Noi sentiamo l’esigenza di trasformare la sofferenza che ci hanno imposto in energia positiva, in cambiamento. Siamo troppo giovani per rassegnarci all’idea di una città che è stata scelta, insieme ai suoi abitanti, come vittima da sacrificare al dio denaro. Assistiamo ancora alla contrapposizione salute\lavoro, un ricatto che penalizza gli operai tanto quanto i disoccupati che non sono riusciti ad investire nel proprio futuro in questa città martoriata.
Ora riprenderò le parole di un mio amico, Luca, uno dei diecimila ragazzi costretti a lasciare Taranto per costruirsi un futuro che non abbia nulla a che fare con l’acciaio o con la marina o con l criminalità organizzata sempre padrona dei territori quando c’è mancanza di alternative lavorative e di avamposti culturali.
Ricordo mia madre, giovane nei suoi 30 anni con la pelle abbronzata e un vestitino bianco mentre il vento proveniente dal mare di Leporano le muoveva i capelli. Ricordo mio nonno che mi portava in giro ai Tamburi e a Taranto Vecchia, e mi mostrava i luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza. Ricordo le storie che mi raccontava mia nonna su ogni sacro pertugio della mia città. E vorrei, solo il mio cuore sa quanto, ricordare Taranto solo per questi piccoli momenti di stupida intensa felicità di bambino. Ma io, che non sono un automa, ma ho cervello, cuore, mani e gambe, ricordo dolori che mi muovono più di gioie. Ricordo la risata di Vendola il paladino dell’ambiente al telefono con Archinà, il PR dei Riva. Ricordo la voce di Stefano, il sindaco pediatra, che progetta e rimanda un referendum come fosse un’antipatica dieta sul calendario. E non credete non mi ricordi di noi, che in quell’aprile 2013 andammo a votare solo in 32 mila, il 19%, IL DICIANNOVE PERCENTO. Ricordo l’ex ministro Calenda che contratta con Mittal e gli promette l’immunità penale, immunità che un anno dopo Luigi Di Maio e Matteo Salvini gli concedono, mi ricordo anche di voi. Ci tengo a ricordare anche gli onorevoli eletti in parlamento coi nostri voti, che inventano bugie per screditare chi li ha messi con le spalle al muro sbugiardando le loro false promesse.
Ma poco può esser fatto per i ricordi. Non si possono cambiare. Quelli più forti, dolorosi, gioiosi, per quanto possa odiarli e anestetizzarli, rimarranno lì. Ciò che posso fare è agire oggi, per creare i ricordi che avrò.
Tra vent’anni voglio guardare in faccia mio figlio e raccontargli di quando mi sono alzato in piedi in un maggio caldo per gridare fanculo i vostri profitti. Tra vent’anni voglio guardare in faccia mio figlio e dirgli che quando nel 2019 uscivano i dati ARPA che non riscontravano nessun aumento rispetto al 2013, io mi sono alzato il 4 maggio per gridare che a me non andavano bene nemmeno quelli del 2013. Tra vent’anni voglio guardare in faccia mio figlio vivo, sia lui che io, e dirgli che dopo il 4 maggio ho continuato a far pressione su ogni istituzione che mi circondasse: sul mio sindaco affinché dichiarasse lo stato di emergenza e chiudesse l’area a caldo; sul mio Presidente di regione affinché lo affiancasse invece di comportarsi come i suoi predecessori; sui parlamentari e i senatori eletti da questo territorio affinché non solo dicano di rappresentarmi, ma che lo facciano davvero. Tra vent’anni voglio guardare in faccia mio figlio e portarlo, in un giorno qualsiasi dell’anno, a tirare calci ad un pallone in una piazza qualsiasi di Taranto dopo esserlo andato a prendere da una scuola qualsiasi con professori qualsiasi laureati in una materia qualsiasi nel Polo universitario della Magna Grecia. Tra vent’anni voglio guardare in faccia mio figlio e raccontargli di me, di noi e di voi, che siete qui ora ad ascoltare le nostre parole, di quando mi servì una mano e ne trovai 4 alla fine delle mie braccia; di quando mi sentii fiero di essere tarantino e non solo per il mare e le cozze, ma per la gente che ci viveva e che lottava; di quando guardammo in faccia il mostro e gli dichiarammo guerra con coraggio.
Per questo sabato 4 maggio scendiamo in piazza Gesù Divin Lavoratore, nel quartiere tamburi, alle 14:00, e lo facciamo chiedendo il vostro supporto, la vostra presenza e quella di ogni realtà nazionale vicina al nostro dramma, per dimostrare che la questione ILVA non è relegata soltanto al territorio tarantino, ma rappresenta quel tipo di modello di sviluppo sbagliato, da combattere ad ogni costo.
Noi abbiamo capito da che parte stare e non vogliamo più assistere a questa lenta agonia.
Diciamolo una volta per tutte, che Taranto la testa non l’abbassa più. Guardia alta e pugni stretti. Taranto Lotta.
Buon primo maggio!”

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