Grande è la confusione sotto il cielo

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Le vicende delle ultime ore ci consegnano un quadro molto disordinato, contornato però da un intenso dibattito politico, non confinato solo ai salotti della borghesia e delle tv ma vivo anche nelle strade, tra la gente, a dimostrazione di come, nonostante il governo gialloverde non rappresentasse un cambiamento in senso progressista esso era comunque percepito da ampie quote di settori popolari come una rottura rispetto alle politiche di lacrime e sangue degli ultimi 10 anni.

La cartina di tornasole del grande clima di confusione è rappresentato dal moderno agora della società globalizzata: facebook e i social network. Profili con la faccia del duce gridano alla deriva autoritaria, finti sinistrorsi denunciano un ritorno al fascismo, prezzolati del PD condannano la scelta di ministri tecnici e non votati scordando o facendo finta di negare la natura del governo Renzi, o l’appoggio a Monti o il già dichiarato prossimo appoggio a Cottarelli. Dietro l’impersonale tastiera di un pc o il touch di uno smartphone ci si improvvisa costituzionalisti un giorno, giuristi un altro ancora, economisti il fine settimana

Ma così come lo stolto guarda il dito anziché la luna, allo stesso modo si grida allo scandalo, al golpe, al ritorno alla dittatura, nel commentare una prerogativa che rientra invece a pieno titolo nelle facoltà del presidente della repubblica, quello cioè di porre un veto sul nome di un potenziale ministro nella squadra di governo senza voler invece indagare a fondo sulla natura ideologica che sta alla base di tale scelta.

Altrettanto emblematica della confusione che aleggia sotto il cielo e del basso spessore culturale dei media di regime e di una quota consistente di politologici da tastiera è il continuo ricorso alla dietrologia e al complottismo che ha portato ad esempio a riconoscere ad un decerebrato come Salvini e alle sue presunte manovre pro-Savona un pensiero strategico che non solo non gli appartiene ma che lui stesso è cosciente di non possedere. Salvini sa al contrario di trovarsi nella posizione in cui si trova non per la giustezza della strategia leghista, che al contrario è quanto di più campato in aria si possa pensare (si allea con Berlusconi in una coalizione di centrodestra gridando alla sacralità dell’alleanza per poi trovarsi a firmare un contratto con i grillini e infine una volta trombato da Mattarella, trovarsi a ribadire la propria autonomia politica dai 5 stelle e rioptare per una nuova coalizione di centro destra) ma per l’incidente di percorso rappresentato dallo scemo di Rignano sull’Arno che pensava di poter concretizzare i diktat europeisti senza colpo ferire. È innegabile infatti che sia stato il PD e la sua politica di lacrime sangue incentrata sui diktat europei ad aprire la strada all’ascesa dei movimenti anti casta: m5s e lega. Ad ogni modo, volendo anticipare questa breve analisi, è del tutto evidente come il PD, la sponda politica della costituente borghesia europeista sia destinata a scomparire o comunque a ristrutturarsi, mentre le uniche formazioni che otterranno ancora maggiore consenso nella prossima scadenza elettorale saranno le due formazioni che da questa vicenda ne escono fuori come le vittime dell’arroganza dei poteri forti ai quali loro a parole dicono di volersi contrapporre.

In tutta questa vicenda la questione sottaciuta o non presa nella giusta considerazione è la natura ideologia della scelta operata da Mattarella. Artatamente omessa è la motivazione di fondo che ha portato al veto di Mattarella e che invece lo stesso presidente ha espresso in maniera inequivocabile. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana una scelta di politica economica fa saltare l’insediamento di un governo.

La designazione del ministro dell’economia costituisce sempre un messaggio immediato per gli operatori economici e finanziari (…) ho chiesto per quel ministero l’indicazione di un autorevole esponente politico che non sia visto come sostenitore di linee che potrebbero provocare la fuoriuscita dell’Italia dall’euro”.

Perché nessun veto per Salvini all’Interno? Perché nessuna preclusione per il profilo di piccolo cabotaggio di Di Maio al ministero del lavoro?

La linea è tracciata, l’appartenenza all’eurozona e alla comunità europea non possono essere oggetto di ripensamento. In campagna elettorale, potete fare tutti i proclami rivoluzionari di questo mondo ma all’atto di governare dovete rientrare nei canoni della compatibilità istituzionale, all’interno del campo di alleanze europeiste. Non sono tollerati la messa in discussione dei vincoli e dei trattati europei. Si va avanti chini ai diktat della BCE e dell’UE, si va avanti nella costruzione del polo imperialista europeo ad ogni costo, anche a quello di svelare il volto autoritario di Bruxelles già smascherato sul piano economico con la vicenda Greca, su quello militare con la guerra in Libia, con il finanziamento del regime turco e con l’appoggio ai nazisti di Kiev e sul piano politico con la spoliazione ed il depauperamento della democrazia rappresentativa con la vicenda del governo Monti in Italia.

Il governo di Monti prima ed il prossimo governo Cottarelli, non rappresentano infatti un incidente di percorso ma la messa in mora del parlamentarismo tradizionalmente inteso, la fine della farsa democraticista e l’affermazione di nuovo paradigma nei rapporti politici (svuotamento di potere popolare, disconoscimento della rappresentanza parlamentare) con la conseguente subalternità della sovranità nazionale ai vincoli UE e ai moderni arbitri degli equilibri economicopoliticofinanziari: i mercati, le agenzie di rating, la Troika.

È evidente come gli interessi economici che tradizionalmente hanno sempre influenzato l’agire politico garantendo comunque a questo un certo margine di autonomia o una certa parvenza di autonomia, oggi non solo lo influenzano ma lo determinano. Il cretinismo parlamentare è divenuto una zavorra per il capitale, specie se la sua base di rappresentanza (nel caso italiano il PD) viene spazzata via dalla nullità politica e dall’autoreferenzialità della sua classe dirigente prona ai diktat della Troika e sempre pronta a scaricare sulle masse popolari gli effetti delle politiche di austerity commissionate da Bruxelles, cedendo il passo alle spinte populiste che almeno a parole mettono in discussione l’ordine costituito.

E già a parole perché Savona, il presunto soggetto del contendere, non avrebbe certo rappresentato una minaccia agli equilibri internazionali, essendo di questi espressione (uomo delle banche e di Confindustria), ne tanto il costituente governo giallo verde avrebbe rappresentato una breccia della fortezza europea, avendo, Di Maio e Salvini, scelto consapevolmente di smorzare le dichiarazioni incendiarie della campagna elettorale, tipo il referendum sull’euro, la rinegoziazione del debito, il rifiuto del fiscal compact. Il governo che si apprestava a nascere, autoproclamatosi governo del cambiamento, avrebbe rappresentato un governo tra i più ballerini nell’Italia repubblicana, un’accozzaglia appunto che mette insieme elementi molto diversi con punti programmatici molto differenti, alcuni progressisti come l’abolizione del job acts e la ri-pubblicizzazione dell’acqua, e altri fortemente reazionari come la spinta securitaria, la costruzione di nuove galere, l’inasprimento delle pene, contornate da politiche xenofobe e classiste come caccia al nero, la lotta ai poveri (non alla povertà), la flax tax. Un governo che non era certo espressione delle masse popolari e delle classi che vivono di lavoro, anche se da queste avevano ricevuto un ampio margine di sostegno anche grazie alla pochezza delle organizzazioni della sinistra di classe. Un governo che non ci avrebbe di certo rappresentato e che avremmo contestato nelle piazze.

Ma se l’alternativa al governo reazionario gialloverde è il governo lacrime e sangue del macellaio Cottarelli, la prospettiva è allettante tanto quanto dover decidere se morire dissanguati o con un colpo di pistola alla testa.

Grande è la confusione sotto il cielo.

La situazione sarebbe eccellente se le forze antagoniste di classe, riuscissero a farsi forza egemonica culturale tra le masse popolari e i settori sociali subalterni, ad organizzare il frastagliato campo di chi vive di lavoro e non lavoro e fronteggiare la lotta di classe dall’alto condotta dalle classi dominanti, ad inserirsi nella tempesta populista che soffia sul paese con parole d’ordine che capovolgano le narrazioni tossiche destrorse e xenofobe.

Ed invece su questi 3 fronti c’è ancora molto da fare e tanto da sporcarsi le mani anche se non si parte certo da zero.

Malanova Vostra!

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