SPRAR Acquaformosa: “holding del disagio”

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Dopo 6 anni da operatore nel progetto SPRAR di Acquaformosa, non mi è stato più rinnovato il contratto di lavoro.

Su circa 30 operatori, tra cui le intoccabili mogli del sindaco e del vicesindaco, e tra fratelli, cugini del presidente e vice dell’associazione, solo io sono stato messo da parte, mandato via senza motivo, senza neanche una spiegazione.

Voglio ricordare a chi oggi si fa padrone impropriamente del progetto SPRAR che questo percorso è nato anche grazie ai miei sacrifici, nonché da quelli dei miei genitori, i quali mi hanno supportato in questi anni, a tratti difficili, perché credevano, come me, nella possibilità di affiancare alla solidarietà fattiva, la possibilità di avere un reddito.

All’ inizio del progetto, quando non girava neanche un soldo, noi operatori della prima ora, spesso e volentieri, pur di far partire il progetto, abbiamo anticipato denaro, io oltre mille euro, e non solo. Come ad esempio farmi garante presso i commercianti del paese per avere generi di prima necessità a credito. E ancora dover trovare ogni volta la soluzione per poter permettere ai rifugiati di telefonare alle loro famiglie ed avere i pocket money giornalieri.

In quegli anni, a differenza di chi oggi ha trovato tutto pronto, ogni tipo di accompagnamento a favore dei rifugiati veniva svolto con la mia automobile, ed era mia incombenza anticipare benzina e spese vive. Su e giù da Acquaformosa a Cosenza per sbrigare pratiche in questura, ospedale e uffici vari.

Eh sì, a quei tempi andava bene Antonello Di Turi, anche perché non c’erano altri disposti ad anticipare e a sacrificarsi per il bene del progetto. Una volta ho anticipato, di tasca mia, persino il costo di una settimana a Roma, per un corso di formazione obbligatorio dello SPRAR, e tutto questo lo facevo solo per elevare il livello professionale del personale di tutto il progetto di accoglienza.

Poi sono arrivati gli anni delle vacche grasse, i rifugiati sono diventati 50, 60, 70, il budget è aumentato e da accoglienza il progetto si è trasformato in una holding del disagio. Questa è una parte della realtà di questo progetto oggi.

Insomma anni di sacrifici scippati da chi nulla ha mai fatto per gli altri e che nell’accoglienza ha visto solo una possibilità di lucrare.

Ma la mia battaglia e il mio impegno verso i più deboli non finirà di certo qui, continuerò a stare con gli ultimi come ho sempre fatto con dignità e rispetto, al contrario di chi oggi specula squallidamente sulla vita di uomini, donne e bambini disperati.

Antonello Di Turi

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