L’antico vizietto del PD: acCOOPpare Cosenza

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Se chiedi a quelli del PD quali siano state le cause del clamoroso tonfo patito nelle amministrative cosentine, se la prenderanno con tutto e tutti, ma non ammetteranno mai che a Cosenza questo partito è ripugnante. Nicola Adamo, Carlo Guccione, Enza Bruno Bossio e i loro servi sciocchi sono l’escrescenza di una generazione che ha sperperato le risorse pubbliche, rinnegato i valori della sinistra, costretto all’emarginazione tante intelligenze propositive, accaparrando posizioni di potere da cui ha tratto benefici personali. Soprattutto, seminando forme di subordinazione e clientela, dure da sradicare. Eppure rimangono ancora lì, intoccabili, museali, imperterriti. Una ragione c’è. Loro in realtà sono i migliori alleati degli avversari che sostengono di combattere. Lo sono quando, tanto per fare un esempio, attaccano Occhiuto brandendo la minaccia delle manette, nella messianica attesa dell’azione punitiva di qualche procuratore cresciuto nella loro scuderia. Pochi forse lo ricordano, ma fecero la stessa cosa con Giacomo Mancini, quello vero, l’ex primo cittadino di Cosenza. Infatti lui li odiava.

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Senza tanti giri di parole, li accusava di aver ordito la trappola del tribunale di Palmi dove negli anni novanta fu inquisito per presunti legami con la ‘ndrangheta. Da quel processo Mancini uscì indenne. Eppure non trascurava mai di prendersela con quelli del PDS. A odiarli aveva imparato dai suoi grandi amici Franco Piperno e Tommaso Sorrentino, vittime negli anni settanta, insieme a un’intera generazione, di persecuzioni, rappresaglie, torture fisiche e psicologiche. Quelli del PCI-PDS-DS-PD sono sempre stati maestri nella delazione. Ieri come oggi. Rappresentano la colonia infame di un vastissimo movimento che cent’anni fa sognava di abbattere questo sistema fondato sullo sfruttamento e l’ingiustizia, e sostituirlo con una società migliore. Milioni di comunisti e socialisti, quelli veri, sono stati repressi, arrestati, uccisi o costretti all’esilio. Quelli come Nicola e la moglie, invece, hanno ottenuto ben altra sorte. Mancini lo sapeva. Infatti a questi del PDS si divertiva a fare dispetti. Quando provarono a imporgli un nominativo del loro clan da inserire in giunta, lui scelse la Maddaloni che nella sede del PDS faceva l’usciera. Come a dire: una di voi la nomino pure, ma chiamo l’ultima degli ultimi, perché i primi, i padroni del partito, solo a guardarli mi viene da vomitare.

Venne poi quello sciampagnone di Salvatore Perugini. Anche lui è uno dei migliori alleati di Forza Italia e del centrodestra cosentino, ammesso che l’esperienza Occhiuto sia da ascrivere a quest’area politica. Lo è quando sostiene che Occhiuto abbia solo portato a compimento le opere che lui, Salvatore, avrebbe avviato. È una bugia. La ristrutturazione del castello svevo, per esempio, era partita dall’amministrazione Mancini, passando per la Catizone. Progetti come il planetario, il ponte di Calatrava e piazza Bilotti giacevano nei cassetti di palazzo dei Bruzi. Oggi Perugini e i suoi amici del PD fanno un piacere a Occhiuto quando dichiarano che l’attuale sindaco sarebbe solo un continuatore di politiche avviate dalla loro esperienza amministrativa. Teoricamente, in democrazia, chi costruisce sulle fondamenta erette da altri, dovrebbe essere premiato dalla cittadinanza. Al contrario di quanti, invece, demoliscono l’operato dei propri predecessori. Ecco perché l’accusa che lanciano a Occhiuto, finisce per fargli un piacere.

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Del resto, Perugini si è sempre prestato a ragionamenti strumentali. Anche quando era sindaco, Franco Ambrogio, Nicola ed Enza gli imposero subito il loro diktat, riflesso di un odio antico: “Salvato’ tieniti alla larga dagli antagonisti e dai centri sociali. Ignorali. Tanto, quelli là non ne portano voti. Non considerarli soggetti politici. E quando proprio non puoi eluderli, lascia che a trattare con loro sia la digos. Abbiamo uomini nostri pure in mezzo a loro”. Perugini obbedì. E fece di più, anzi di meno: per cinque anni non realizzò nulla di costruttivo per la città, appagato dalla fascia tricolore di cui andava cingendosi. Nulla, tranne i piaceri ai suoi amici. Regalò la Città dei Ragazzi a Cepros, una società dell’orbita Legacoop. Donò l’ex dopolavoro ferroviario a soggetti gravitanti intorno all’area del suo partito. Lo trasformarono in “caffè letterario”. Oggi è chiuso. Apre solo per i compleanni della locale borghesia parassitaria. Progettò un inutile auditorium nella zona del parco sociale di viale Mancini, in modo da avere una scusa per epurare la zona dalle associazioni spontanee che hanno riqualificato l’area con le proprie forze. Ordinò lo sgombero su base etnica dei rom, salvo poi impattare con qualche giudice che si era reso conto di quanto quel provvedimento fosse inattuabile perché violava i più elementari principi del vivere civile.

Oggi nulla è cambiato. Il PD è ancora lì. Tifa per le manette, gestisce risorse pubbliche a fini privati, sguinzaglia esperti e scienziati dell’Unical per convincerci che dobbiamo fare la metropolitana leggera. E assegna la realizzazione dell’opera agli amici di sempre: quelli delle coop che di “rosso” ormai non hanno nemmeno più il buco del culo.

 

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